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«Come l’acqua del mare» è l’ultimo romanzo di Daniela Saraco, autrice partenopea che nel suo libro accosta il fluttuare dei sentimenti a quello del mare. Come il mare, l’amore autentico, si evolve e può essere sconfinato, ritirarsi o espandersi. È proprio la vastità di questo sentimento, in tutte le sue sfaccettature che descrive nel suo romanzo, la cui protagonista è Felicia, una giovane donna, segnata sin da piccola dalla mancanza di conferme in famiglia, tanto da rimanere vittima del suo bisogno d’amore. L’unica che le offrirà amore incondizionato sarà la tata Germana, che gioirà dei suoi successi e del suo temperamento umile e semplice, sino alla fine dei suoi giorni. Le starà accanto anche la sua amica, Cristina, di umile estrazione, ma con un simile vissuto, accomunato dalla mancanza di figure di riferimento nella sua crescita. Un legame forte e indissolubile tra le due donne complementari - tanto profonda e sensibile l’una, tanto estroversa e impenetrabile l’altra - che si evolverà, senza subire i contraccolpi del tempo. E infine, Salvo, l’amore “patologico”: un sentimento profondo in cui Felicia affonda con tutta se stessa, desiderosa di bere a pieno nel calice della vita, dopo un’infanzia segnata dalla freddezza patologica dei suoi genitori. Un finale non scontato, che racconta la presa di consapevolezza della protagonista, che trova nell’insegnamento la sua strada e riesce a perdonare la propria famiglia d’origine, aprendosi a un sentimento più autentico: l’amore per se stessa. La prefazione approfondita è a cura della psicologa Rosaria Varrella, che prepara il campo alla comprensione di un romanzo che aspira a leggere tra le righe più recondite della nostra anima.

Daniela Saraco è originaria di Castellammare di Stabia, dove è nata nel 1980 e ancora risiede. Docente, giornalista scopre di essere cardiopatica all’età di 32 anni e senza remore si sottopone a due interventi al cuore che modificano il suo approccio alla quotidianità. Inizia ad apprezzare la bellezza delle piccole cose, dei valori, della famiglia e dei sogni. Figlia di divorziati e madre divorziata a sua volta, ha conosciuto a fondo la sofferenza e ne ha fatto tesoro, acquisendo maggiore consapevolezza sul valore dei sentimenti autentici. È amante della lettura e della buona musica e della scrittura in modo smisurato, che rispecchia la sua primaria esigenza di comunicare e trasmettere ciò che ha appreso nel suo percorso di vita. Pubblica a luglio di quest’anno “Come l’acqua del mare”, dopo “Il bianco e il nero” (2016), “Gli inadeguati” (2017), “Il diario di Aylen” (2019) ed “È andato tutto bene? Parliamone”, di cui è coautrice.

Il marchio CSA (Cultura, Scienza, Arte) Editrice nasce nel 2006 a Castellana Grotte e si ripropone subito di orientarsi verso il mercato nazionale e internazionale. Pubblica opere di “varia” che vanno dalla saggistica alla manualistica, dalla narrativa alla poesia. Nel 2016 nasce la CSA Editrice Srl che oltre ad acquisire l’intero catalogo della CSA Editrice, genera i marchi editoriali Planet Book (per le opere di autori italiani), Let’s Print Edition (per chi vuol pubblicare da autore indipendente), e l’agenzia letteraria IBA (International Book Agency, che rappresenta nel Mondo opere di scrittori italiani e di altre nazionalità). Con il marchio CSA Editrice vengono attualmente pubblicate per l’80% opere di autori stranieri.

Fonte: e foto A. L. Grasso

Da qualche settimana è uscito un agile volumetto pubblicato dalla Fondazione Thule Cultura di Palermo sul Papa polacco, “Giovanni Paolo II e il suo vivo magistero”, una pubblicazione di appena ottanta pagine, autore Domenico Bonvegna, un appassionato cultore di storia, studioso e ricercatore. Il testo é prefato dal professore Alberto Maira, reggente regionale di Alleanza Cattolica per la Sicilia. E’ un lavoro, scrive Maira “frutto di un amore razionale, ma anche ricco di sentimenti profondi per quello che è stato il Papa della nostra vita, ha la caratteristica e il pregio della antologia che permette a quanti volessero un primo approccio con il pensiero e la sensibilità di Karol Wojtyla. Una introduzione generale ad una miracolosa grandezza umana e spirituale”.

L’opera  è nata in occasione della canonizzazione di Giovanni Paolo II. L’autore ha inteso rendere omaggio alla grande figura del Pontefice polacco, leggendo e studiando una serie di testi (per la precisione ventitre), fornendo così ai lettori un’interessante miscellanea. Bonvegna inizia con un testo originale e singolare, curato da Saverio Gaeta, “50 Parole per il nuovo millennio”, in poche pagine il volumetto riassume tutti i temi che caratterizzano il pontificato di Karol Wojtyla, il dolore, la libertà, la famiglia, la giustizia, pace, la libertà,i giovani e altri. A seguire l’autore presenta il testo di Aldo Maria Valli, “Il mio Karol”, edito da Paoline (2008). Il giornalista descrive il Papa dei record. Atletico, sportivo, nuotatore, sciatore. I 104 viaggi all’estero, centocinquanta visite pastorali in Italia, 317 visite nelle parrocchie romane. Un Papa che si sentiva come San Paolo, un Papa viaggiatore, perché prima di tutto, era un missionario. Wojtyla fu un grande comunicatore, ha utilizzato i nuovi strumenti di comunicazione a cominciare dalla televisione. Nel 2° capitolo, il testo tratta “L’Italia di Giovanni Paolo II”. Per affrontare l’argomento Bonvegna ha presentato due testi, il primo di Antonio Scornajenghi, “L’Italia di Giovanni Paolo II”, (San Paolo, 2012), il secondo di Renzo Allegri, saggista e mariologo, “Papa Wojtyla, pellegrino di Maria” Edizioni Medjugorje (2004).

Nel 3° capitolo è dedicato interamente alla monumentale opera del teologo americano George Weigel, Testimone della speranza. La vita di Giovanni Paolo II, protagonista del secolo”, Mondadori (1999). Un grande raccolta di informazioni e testimonianze di quasi milletrecento pagine. Bonvegna ci tiene a precisare che ha letto e studiato tutti i libri che raccoglie nella sua anomala antologia di testi sul grande Papa polacco.

Dopo l’elezione del primo papa slavo in assoluto, “Il capo del KGB Yuri Andropov - scrive Weigel - mette in guardia il politburo sovietico sul pericolo che hanno di fronte [...]”. Pericolo che si aggraverà per il sistema comunista quando Wojtyla nel giugno del 1979 tornerà nella sua terra innescando la rivoluzione di coscienza che produrrà il crollo non violento dell’impero sovietico. Per Weigel quello di Wojtyla è un pontificato tra i più importanti dei secoli per la Chiesa e per il mondo. Alexander Solzenicyn, definì il Pontificato di Wojtyla, come la cosa migliore che ha offerto il secolo XX. Certamente Giovanni Paolo II è “il Papa più visibile della storia”, anzi per il teologo americano si potrebbe dire che è “l’uomo più visibile della storia”. E’ “il paladino, il campione della causa della libertà umana”. Weigel cerca di descrivere anche le caratteristiche “politiche” del Pontefice, che certamente non possono ridursi a quelle categorie politiche risalenti alla Rivoluzione Francese: destra/sinistra, conservatore/progressista. Per Weigel non esistono due Wojtyla: il fondamentalista in materia di dottrina e il socialprogressista su questioni politiche ed economiche. C’è un solo Wojtyla.

Nei successivi capitoli l’autore sviluppa l’itinerario “politico” del grande Papa del XX° secolo. E’ forse questo l’aspetto che più di ogni altro Bonvegna vuole evidenziare di Giovanni Paolo II. Si comincia con il primo viaggio in Polonia, giugno 1979: “I nove giorni che cambiarono il mondo”. Bonvegna ha scelto il libro di Stanislao Dziwisz, il segretario del papa, “Una vita con Karol” (Rizzoli, 2007). Monsignor Dziwisz racconta un episodio curioso: mentre l’aereo si avvicinava alla pista di atterraggio, il papa era teso, emozionato e parlava talmente piano che si faceva fatica a sentirlo.

Un evento straordinario, in pratica, si trattava della prima visita di un Papa in un Paese comunista. In un mondo diviso in due, Usa e Urss, che si reggeva di fatto sull’equilibrio del terrore e della paura reciproca di un conflitto nucleare. Il Cremlino aveva fatto di tutto per impedire che Giovanni Paolo II tornasse in Polonia. “Quest’uomo porterà solo guai”, aveva detto Breznev. Furono nove giorni di successo per il Papa, un popolo intero si è raccolto intorno al loro Papa. Un viaggio entusiasmante, un “pellegrinaggio”, che ha toccato i più importanti luoghi della storia della Polonia. Da Gniezno a Cracovia, passando per Czestochowa e le reliquie di san Stanislao.

Dopo il viaggio in Polonia, “Giovanni Paolo II aveva vinto una grande battaglia, - scrive Weigel -  aveva segnato un punto di non ritorno”. Dopo qualche anno di pontificato scoppia la “Rivoluzione dello spirito”, il movimento operaio Solidarnocs di Lech Walesa, comincia la sua battaglia. Wojtyla aveva liberato il suo popolo dalla schiavitù, aprendo la strada a un grande movimento non violento, di autodifesa sociale. Per questi avvenimenti seguo la biografia di Alain Vircondelet, e poi soprattutto di Bernard Lecomte, “La verità prevarrà sempre sulla menzogna”, col sottotitolo significativo: “Come papa Giovanni Paolo II ha sconfitto il comunismo”, pubblicato da Mursia nel 1992. E’ un racconto che entusiasma ancora, la rivoluzione silenziosa, guidata per certi versi dal papa slavo, “ha riportato la speranza a milioni di cattolici polacchi, cechi, ungheresi e ucraini. Non temete, la Verità vincerà!”

Della rivoluzione non violenta, affrontata dal Papa polacco, Bonvegna utilizza ancora un testo del più grande studioso di Giovanni Paolo II, mi riferisco a George Weigel, e al suo saggio, L’ultima rivoluzione. La Chiesa della resistenza e il crollo del comunismo”.

Nel libro Weigel si domanda, “Come è potuto accadere che uomini e donne, all’apparenza rassegnati a subire la loro sorte all’interno di un regime totalitario e corrotto, si siano infine ribellati?”. Il teologo americano vuole dimostrare come la Chiesa, un’istituzione religiosa tradizionalmente moderata, conservatrice, abbia contribuito a demolire una delle maggiori roccaforti del totalitarismo ateo del ventesimo secolo.

Un capitolo importante dell’antologia di Bonvegna è il tema dell’Europa. Per Andrea Riccardi, il papa polacco si percepisce come un vero e proprio primate d’Europa. Non solo per i suoi numerosi interventi, “quasi mille” che ha dedicato all’Europa e poi anche per l’esortazione apostolica, “Ecclesia in Europa”. Per questo argomento sono stati utilizzati i testi, “Memoria e Identità”, del Santo Padre, e un bellissimo testo storico, “Sacrum Poloniae Millennium. 966-1966”, pubblicato proprio in occasione dei mille anni della Polonia cattolica, infine “Un’altra Europa è possibile”, di monsignor Aldo Giordano e Alberto Campoleoni.

“Se sarete quello che dovete essere metterete fuoco in tutto il mondo”, dice il Papa ai giovani, usando la frase di S. Caterina da Siena. E siamo all’argomento “Giovani”. Per questo argomento Bonvegna utilizza il testo di monsignor Boccardo, organizzatore delle GMG, insieme al giornalista Renzo Agasso, “Il ‘Mio’ Giovanni Paolo II”. E poi la monumentale opera di don Salvatore Rumeo, “Giovanni Paolo II e i giovani insieme”, uno studio di ben 856 pagine.

Le ultime schede del libro pubblicato dalla Fondazione Thule Cultura affrontano il tema della Missione. Si dà spazio al pamphlet di Marco Invernizzi, “San Giovanni Paolo II. Un’introduzione al suo Magistero”, pubblicato da Sugarco (2014) e alla singolare intervista di Vittorio Messori al Papa, in “Varcare la soglia della speranza”. Infine, “In difesa della Fede”, di Giovanni Miccoli. In questi testi emerge la Dottrina del Pontificato di Giovanni Paolo II, la Nuova Evangelizzazione, attraverso lo strumento privilegiato del Catechismo della Chiesa Cattolica.

La morte di Giovanni Paolo II ha segnato in maniera profonda molte persone, per questo quella sera del 2 aprile 2005 molti dissero: “Se ne è andato il mio Papa”. Perché “mio”, risponde la giornalista Cristina Siccardi con la sua biografia, pubblicata dalle Edizioni Paoline. Insieme a questo testo Bonvegna ha letto e proposto in questa antologia, Le donne secondo Wojtyla. Ventinove chiavi di lettura della ‘Mulieres Dignitatem’”, della compianta giornalista Maria Antonietta Macciocchi. Vengono segnalati gli interventi di Régine Pernoud e Armanda Guiducci.

L’ultimo testo preso in esame da Bonvegna è quello del giovane studioso Daniele Fazio,In difesa dell’umano. La filosofia di Karol Wojtyla”, si dà spazio all’aspetto filosofico e teologico della poliedrica figura di Giovanni Paolo II. Forse un aspetto trascurato dagli studiosi. Se il testo di Invernizzi, si presenta già nel titolo come un'introduzione al grande Magistero di Giovanni Paolo II, anche l’agile saggio di Domenico Bonvegna potrebbe essere un ottimo e sintetico strumento per introdurre i giovani, e chi non lo ha conosciuto allo studio del Pontificato di Giovanni Paolo II.

 

Gli invisibili sono persone sull’orlo dell’oblio. Sono anche luoghi maledetti sui quali il tempo e l’indifferenza umana provocano una rimozione lenta del loro valore simbolico. È la memoria civile e collettiva l’unico antidoto al rischio concreto del silenzio mentre la documentazione, di ogni tipo, è da sempre lo strumento privilegiato per sensibilizzare l’opinione pubblica. Si muove da questa esigenza l’indagine di Lavinia Caminiti, fotografa, autrice e curatrice de La mafia uccide, il silenzio pure. GLI INVISIBILI ammazzati dalla mafia e dall’indifferenza, la mostra visibile a tutti dal 7 al 30 novembre in piazza del Campidoglio, promossa da Roma Capitale in occasione del trentennale degli omicidi dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, con l’organizzazione di Zètema Progetto Cultura.

"Noi tutti abbiamo l’obbligo e il dovere morale di ricordare e tramandare, soprattutto alle nuove generazioni, quanto accaduto. Perché è la memoria la condizione necessaria per continuare la nostra battaglia per la legalità e la giustizia, per onorare chi ha sacrificato la vita per questo. Ringrazio Francesco Greco, delegato alla legalità di Roma Capitale, e Lavinia Caminiti, fotografa e curatrice di questa mostra, per averla portata qui a Roma e messa a disposizione della cittadinanza e dei turisti. Tutti abbiamo il dovere di ricordare" dichiara il Sindaco di Roma Capitale Roberto Gualtieri.

Dopo aver esordito nel 2014 a Palermo e aver toccato negli anni molti luoghi della Sicilia e dell’Italia intera, l’esposizione fotografica della Caminiti, realizzata con la preziosa collaborazione del Procuratore della Repubblica Fernando Asaro, giunge a Roma, in uno dei luoghi più significativi della città, per una tappa fondamentale del suo lungo viaggio. I cittadini romani e non solo avranno l’opportunità, così, di avvicinarsi all’enorme lavoro di indagine svolto dalla Caminiti che, in una sorta di itinerario della memoria, racconta i delitti di mafia avvenuti nella sua Sicilia e nel resto d’Italia attraverso le immagini odierne dei luoghi in cui si sono consumate quelle tragedie. Gli scatti dimostrano, però, come la vita quotidiana abbia in parte occultato il valore di quei luoghi, con la gente che spesso percorre con indifferenza quegli angoli, quelle strade, quelle vie, senza accorgersi dei segni delle ferite ancora aperte. Un’indifferenza che diventa quasi cinismo davanti agli sfregi di luoghi privi di qualsiasi riferimento alla memoria: con targhe cancellate, lapidi divelte o, peggio ancora, nascoste da bancarelle, immondizia o decorazioni natalizie.

È per questo che Lavinia Caminiti tenta di risvegliare la coscienza del visitatore mettendo a confronto le immagini attuali di quei luoghi con le foto e gli articoli di stampa realizzati immediatamente dopo i tragici eventi. Le tracce del sangue lungo quelle strade diventano per la Caminiti i segni di una virtuale mappa del terrore, da ricostruire con rigore e sensibilità partendo dall’assassinio del poliziotto italo-americano Joe Petrosino, avvenuto in piazza Marina a Palermo nel lontano 12 marzo del 1909, fino ad arrivare all’uccisione del diciassettenne Genny Cesarano, avvenuta il 6 settembre 2015 nel rione Sanità a Napoli. In mezzo oltre un secolo di orribili delitti, di vittime sacrificali, a volte del tutto inconsapevoli, che hanno combattuto e sono morte per un’ideale di giustizia e libertà o più semplicemente per essersi trovate nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Ecco quindi, le storie tristemente conosciute di Peppino Impastato, ucciso nel 1978 nella sua Cinisi per aver combattuto la mafia e il suo rappresentante locale Gaetano Badalamenti; di Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo “freddato” in un bar di via Francesco Paolo Di Blasi; o del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso in via Carini insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e al suo autista Domenico Russo. E si parla proprio di quest’ultimo atto efferato in un ulteriore prezioso documento presente nel percorso di visita. All’indomani dell’attentato al Generale Dalla Chiesa, la nipote del magistrato Cesare Terranova, Geraldina Piazza indirizzò uno sfogo all’allora giudice istruttore Giovanni Falcone che le rispose con una lettera oggi visibile a tutti, un documento emozionante pieno di gratitudine e coraggio, senso del dovere e speranza.

Nonostante ritraggono luoghi dalla normalità quasi sconvolgente, gli scatti di Lavinia Caminiti riescono ugualmente a farci tornare con la mente alle barbarie esecuzioni del passato. Come quelle ai danni di Piersanti Mattarella, ucciso sotto gli occhi della sua famiglia in via Libertà il 6 gennaio 1980; di Pio La Torre, inseguito e ucciso insieme al suo autista per i vicoli stretti che conducono a piazza Generale Turba; o di Don Pino Puglisi, sacerdote della zona di Brancaccio la cui missione venne bruscamente interrotta il 15 settembre del 1993 mentre rincasava in piazza Anita Garibaldi.

E come non lasciarsi assalire dalla commozione davanti ai tanti luoghi in cui magistrati, poliziotti e servitori dello stato hanno perso la vita. Il riconoscimento di quei luoghi è un esercizio necessario sul quale la nostra società deve allenarsi, non solo per sottrarli alla quotidianità che li rende invisibili ma per tenere sempre vivo il ricordo di eroi come Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i componenti della scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo; come Paolo Borsellino ucciso in via D’Amelio insieme agli agenti Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. O come i magistrati Rocco Chinnici e Pietro Scaglione, Cesare Terranova, Gaetano Costa e Rosario Livatino. Come il Capitano dei Carabinieri di Monreale Emanuele Basile e il suo successore Mario D’Aleo, il poliziotto della Squadra Mobile di Palermo Calogero Zucchetto, l’agente Antonino Agostino.

Ma il lungo cammino di Lavinia Caminiti non si ferma qui e ci porta ancora in viale Campania a Palermo, sul luogo esatto dell’uccisione di Mario Francese, giornalista che aveva “osato” intervistare la moglie di Riina e sorella di Bagarella, Antonietta; in via Claudio Domino, dal nome del piccolo Claudio Domino, figlio undicenne del gestore del servizio di pulizia dell’aula bunker di Palermo, ucciso, perché durante il maxi-processo fu testimone involontario di scambio di stupefacenti tra spacciatori; in via Alfieri dove fu assassinato Libero Grassi, l’imprenditore che decise di ribellarsi non pagando il pizzo ai mafiosi; nella borgata di Tommaso Natale, ritrovo della vita sociale di Palermo, dove fu ucciso Giuseppe D’Angelo, uomo qualunque e onesto lavoratore colpevole solo di assomigliare a un boss locale nemico del clan Lo Piccolo. Per arrivare, infine, al Policlinico di Palermo, luogo in cui lavorava Paolo Giaccone, medico legale che venne ucciso per essersi rifiutato di “aggiustare” le conclusioni di una perizia dattiloscopica che incastrava uno dei killer di una strage di mafia avvenuta a Bagheria.

L’indagine fotografica termina poi con le odierne immagini di quei luoghi simbolo in cui, nella tragica annata stragista del 1993, la mafia decise di sferrare il suo tremendo attacco allo Stato attraverso gli attentati dinamitardi, e purtroppo ancora sanguinari, di Roma, alla Basilica di San Giovanni in Laterano e alla Chiesa di San Giorgio al Velabro (27 – 28 luglio), di via Palestro a Milano (27 luglio) e di via dei Georgofili a Firenze (28 maggio).

A conclusione della mostra, infine, un’ultima sezione dal titolo Le Rose Spezzate, fortemente voluta dall’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) su proposta dalla Procura della Repubblica di Tivoli e del suo Procuratore Francesco Menditto e curata da Lavinia Caminiti. Il titolo è tratto dal manifesto simbolo dell’ANM, che ritrae delle rose spezzate in due parti con accanto i nomi dei 28 magistrati assassinati dalla mafia, dal terrorismo e per causa di servizio. Grazie alla gentile concessione dei familiari delle vittime, Lavinia Caminiti completa questa lista con una galleria fotografica dei magistrati ripresi durante le scene di vita quotidiana.

Fonte Zètema Progetto Cultura

L’Auditorium dell’Ara Pacis di Roma ospita il 25, 26 e 27 novembre MITI ED EROI. La nascita di Roma, un ciclo di tre reading per raccontare Roma, recuperando storie e narrazioni sulle origini della città, le sue istituzioni e la sua identità culturale, quella di una comunità che fu un crogiuolo di civiltà e culture. Ad accompagnare il pubblico in questo viaggio sarà Maurizio Bettini, classicista e scrittore, che con la sua capacità narrativa, incalzato dalle letture dell’attore Jacopo Rampini, porterà alla luce aneddoti, curiosità e leggende del passato, dando voce ogni sera a un personaggio diverso: prima Enea, poi Romolo e infine Numa.

Enea, Romolo e Numa prenderanno la parola per raccontare in prima persona le vicende che sono state loro attribuite dalla tradizione, storie antichissime e leggendarie, alcune affidate alla tradizione orale, altre documentate e trascritte nelle opere di Livio, Plutarco e Dionigi di Alicarnasso, che ancora oggi leggiamo. Una pluralità di racconti che narrano episodi come l’arrivo di Enea nel Lazio, la fondazione di Alba, quella di Roma, il ratto delle Sabine, l’istituzione del Senato e così via.

Nel corso delle tre serate, in programma alle ore 21.00, Maurizio Bettini assumerà dunque, di volta in volta, l’identità di ciascuno di questi eroi e racconterà in forma drammatizzata le loro vicende e la nascita delle istituzioni che hanno creato, illustrando così la genesi della “cultura romana”. Attraverso le voci di Enea, Romolo e Numa si rifletterà quindi sull’essenza stessa della civiltà, ciò che i romani ritenevano rilevante e fondativo delle loro leggi, dei costumi e delle istituzioni.

Sul palco, al fianco dell’eroe, ci sarà una voce fuori dal tempo, quella di un giovane personaggio interpretato dall’attore Jacopo Rampini, capace di incalzare il racconto con curiosità, letture di passi letterari e aneddoti che la storia ha saputo tramandare intorno alla figura dei protagonisti.

Fonte Zetema

Mentre si infiammano le polemiche e le discussioni sul nuovo Governo Meloni, io continuo nel mio studio della Storia tra le due guerre mondiali. Ho iniziato con l’interessante e documentato volume del professore americano Stanley Paine, ora tento di presentare “Hitler e il Vaticano”. Sottotitolo: “Dagli archivi segreti vaticani la vera storia dei rapporti fra il nazismo e la Chiesa”, di Peter Godman, pubblicato da Lindau (2005. e 27,00; pagg 361)

Il periodo storico che affronta il testo è uno tra i più difficili e contraddittori per la Chiesa cattolica. Sono gli anni ‘30 quando prende il sopravvento in Germania il Nazionalsocialismo di Adolf Hitler. In quegli anni la Chiesa era guidata da Papa Pio XI, Achille Ratti, mentre in Germania come segretario di Stato, dopo essere stato Nunzio Apostolico c’era Eugenio Pacelli, il futuro Pio XII. Sia il Papa che Pacelli sono stati fortemente criticati dagli storici per il silenzio sul nazismo e per la sua esplicita condanna. Addirittura Papa Pacelli è stato definito da alcuni storici come il “Papa di Hitler”, perché si è rifiutato di condannare il nazismo in modo esplicito e mai esortò i cattolici a opporsi. Tuttavia questi gravi giudizi si fondarono su prove sommarie perché il Vaticano ha tenuto segrete le carte relative a quegli anni cruciali. Nel febbraio 2003, la Santa Sede ha aperto i suoi archivi e lo studioso imparziale non cattolico, Peter Godman, è stato dei primi a visionare quel materiale inedito.

Godman espone un giudizio serrato sulla Chiesa romana di quell’epoca, un’istituzione a “più voci”, tutt'altro che monolitica, in cui il legalismo ebbe la meglio sul senso morale della tragedia che si stava consumando o profilando.

“Perché la Chiesa cattolica non levò la sua voce contro la crudeltà del nazismo, la brutalità del totalitarismo, la repressione delle libertà nel Terzo Reich?”. E’ una domanda che ancora oggi si ripete nelle varie “refezioni scolastiche”, nei cosiddetti libri di testo. Altra domanda perché dei silenzi sul nazismo da parte delle autorità di allora? Sono domande che hanno posto in tanti. In questo libro Godman vi riproduce integralmente i documenti più importanti, e analizza le conversazioni tra Pio XI e i suoi cardinali. Il libro di Godman è un viaggio all’interno degli archivi segreti del Vaticano. L’autore nonostante tutto constata che in Vaticano erano consapevoli che le dottrine di Hitler erano fortemente antiumane e soprattutto anticristiane. Già negli anni ‘30 la Santa Sede aveva preparato una condanna degli errori morali e dottrinali del nazionalsocialismo. Si basavano sulle tesi espresse nel Mein Kampf e in altri scritti e discorsi di Hitler. Le condanne colpivano gli elementi fondamentali dell’ideologia nazionalsocialista, come il “sangue” e la sua “purezza”. “L’attacco a Hitler - scrive Godman - non si fermava qui. Vennero condannate anche le sue idee e quelle degli ideologi nazisti su temi che spaziavano dall’eugenetica alla sterilizzazione, dall’educazione alla leadership, ai diritti dei singoli”. Sostanzialmente il programma del nazionasocialismo era bollato come incompatibile con il cristianesimo. Tuttavia questi documenti non ebbero sviluppo, rimasero bloccati per diversi motivi. Di fronte alle situazioni critiche si preferì fare sempre riferimento al Concordato con il governo nazista.

Naturalmente il libro fa riferimento ai protagonisti che all’interno del Vaticano hanno studiato il fenomeno nazista hitleriano e soprattutto hanno cercato di interpretarlo per quello che era. Tra questi oltre ai cardinali Pacelli e Orsenigo, una figura si è distinta più di altri, è quella di Alois Hudal, un prelato ambiguo, ambizioso, un uomo desideroso di apparire, di farsi un nome.

Questo religioso era convinto che nel nazionasocialismo fossero presenti due anime: i conservatori e l’ala sinistra, progressista del Partito, facente capo a Rosenberg, con il suo libro, “Il mito del XX° secolo”. Un testo di aperta ostilità verso il cristianesimo e in particolare il cattolicesimo. Hudal ad un certo punto fu definito addirittura il “cardinale bruno”, per lui la Chiesa doveva cristianizzare la parte conservatrice dei nazisti. Era una pia illusione quella di Hudal, che scrisse un libro sulle “fondamenta intellettuali” del movimento nazista. Hudal era convinto che da un lato la Chiesa “doveva condannare gli errori dei nazisti; dall’altro avrebbe dovuto cristianizzare il loro movimento e perseguire una riconciliazione”. In pratica Hudal secondo Godman era talmente ossessionato dai suoi piani che si stava allontanando dalla realtà.

Godman racconta il lavoro assegnato dai vertici della Chiesa ai Gesuiti per studiare le tesi del nazionasocialismo. Sono stati incaricati dal Sant’Ufficio, Franz Hurth e Johannes Baptista Rabeneck, un “servizio segreto” stimato da Pio XI in persona. Il Papa aveva fiducia in questi gesuiti, in particolare in Hurth, che aveva preso posizione sulla sterilizzazione degli incapaci. Il dibattito era aperto anche all’interno della Chiesa. Tuttavia per Hurth, la vita è sacra e lo Stato non aveva alcun diritto di distruggerla. Inoltre si apriva il giudizio sull’eutanasia, anche qui la Chiesa doveva opporsi all’omicidio legalizzato degli ammalati. Anche gli “esseri inferiori” possedevano il diritto naturale di contrarre matrimonio e procreare. “Le leggi finalizzate alla sterilizzazione o a impedire rapporti sessuali per motivo di ‘igiene razziale’ erano erronee, sbagliate, pericolose assolutamente proibite”.

Interessante le riflessioni di Godman sui due gesuiti, che sostanzialmente ancor prima del Processo di Norimberga, misero sul banco degli imputati i nazisti, condannando l'ideologia del nazionasocialismo. I gesuiti si concentrarono sulla “purezza del sangue”, naturalmente secondo loro non c’era nessuna possibilità di riconciliazione tra il principale credo razzista e le dottrine del cattolicesimo.

Intanto il libro di Godman fa una serie analisi del radicalismo del Mein Kampf, dove già si poteva intuire la terribile “logica” che avrebbe portato alla persecuzione degli ebrei, ad Auschwitz. Il Mein Kampf, scrive Godman non era uno sfogo di un eccentrico. Sia Hurth che Rabeneck vedevano con sospetto l’attenzione dei nazisti allo sport, al corpo umano, la purezza della razza unita e disciplinata.

I Gesuiti proposero 14 punti, successivamente diventati 47, dove si riassumono gli errori capitali del nazionalsocialismo, dal punto di vista dell’ortodossia cattolica. Per i gesuiti era fondamentale che “in tutta l’umanità è essenzialmente presente la stessa natura”, indipendentemente dalla razza o dalle circostanze, ciascuno possiede i diritti e i privilegi che derivano dalla natura comune. Per cui i gesuiti respinsero il nazismo in nome dell’unità del genere umano. I gesuiti catalogarono tutti i diritti negati agli individui dell’ideologia nazista: dalla vita, alla integrità fisica, alla libertà personale, al culto di Dio, al matrimonio. In pratica hanno delineato lo Stato totalitario. Hurth e Rabeneck non caddero nella trappola di Hitler che ipocritamente si dichiarava cattolico, come invece cadde Hudal, che ancora dava credito ai nazisti. I due gesuiti capirono di avere davanti un movimento che non era soltanto politico. Pertanto Pio XI nel 1935 era pronto per una condanna del nazismo.

Intanto nel testo, l’autore insiste sul ruolo diplomatico di Pacelli come cardinale e segretario di Stato di Pio XI nel periodo 1933-1939. Qualcuno l’ha definita anche “tragica debolezza”. Occorre considerare diversi problemi nei negoziati con il governo tedesco, tuttavia Pacelli, ha mantenuto apertura ma nello stesso tempo fermezza: “La Chiesa non può stare a guardare mentre i giovani, sostegno delle nuove generazioni future, viene predicato il messaggio falso e ingannevole di un nuovo materialismo della razza invece della gioiosa novella degli insegnamenti di cristo [...]”. Pacelli difese sempre il ruolo pubblico del cattolicesimo, riferendosi sempre al Concordato che sistematicamente violato dai nazisti. Ma Roma “avrebbe frenato la lingua, per paura di peggiorare le cose”. Pacelli nonostante tutto era convinto che con i nazisti non c’erano alternative al Concordato. Il risultato fu per lui “un martirio di pazienza”.

Tuttavia la lentezza biblica del Vaticano non conduce ancora alla condanna dell’ideologia perversa del nazionalsocialismo. Andava evitato ad ogni costo di dare l’impressione di compiere un “gesto politico”. La condanna del nazismo doveva risultare da preoccupazioni pastorali. Alla fine Il Sant’Ufficio scelse di fare due condanne separate una per il nazismo e l’altra per il comunismo, con due encicliche la “Mit Brennender Sorge” e la ``Divini Redemptoris”.

Il libro di Godman conclude con il paragone tra i due Papi che hanno affrontato Hitler e il nazismo. Sia a Papa Ratti che a Papa Pacelli non gli mancava il coraggio, non erano codardi, ma decisero di non dichiarare “guerra” ai nazisti e ai fascisti.

Godman conclude con una domanda fondamentale: Quella stessa Chiesa che non esitò a condannare il comunismo ateo in termini chiari e netti. Perchè nel caso dei nazisti e dei fascisti, si trattenne dal farlo? Per Godman la risposta è che con loro aveva firmato un Concordato. Inoltre sembra che il Papa era stato informato che i tedeschi, favorevoli a Hitler, non avrebbero opposto resistenza al suo regime. E poi c’erano i vescovi tedeschi, rispettosi dell’autorità, erano pochi quelli disposti a diventare eroi. Tranne il leone di Munster, Clemens August von Galen.

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