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demodore

 

Caro Malacoda,

l'estate che avanza si avvinghia persino alla mia fronte (il caldo dalle parti dei figli del Nemico sa essere quasi più insidioso dell'inferno), e oggi, attaccato vigliaccamente allo zelo della giovane matricola che mi è capitata a tiro di recente, mi sono imbattuto in un fatto fresco di zizzania, ma allo stesso tempo preoccupante.

Per fartela breve, la palla di un moccioso, rotolando, aveva colpito alla testa un cane che doveva avere molta fame. Il bamboccio si era avvicinato per recuperare la palla, e l’animale, senza pensarci due volte, gli si è attaccato alla caviglia, con la speranza di spolparsela.

Al nostro arrivo, ovviamente, era rimasto quel che bastava per animare un dibattito in un crescendo esponenziale di voci.

"La colpa è del bambino che lo ha provocato in un momento di chiara debolezza psicologica dell'animale";

''Per me la colpa è dei genitori che non hanno saputo badare al bimbetto lasciandolo libero di correre";

"Quel cane avrebbe bisogno di un po' d'amore";

"Sono i cani la vera specie protetta, non i bambini";

"Nessuno che si preoccupi come si deve degli animali, nessuno che li difenda e neppure la Chiesa spende una parola per loro";

"Più conosco gli uomini più apprezzo gli animali";

E ne ho sentite così tante che è difficile star qui a sciorinare tutta la loro idiozia.

Il loro amore smodato, ma anche moderato, per gli animali è un modo come un altro perché l'uomo odi se stesso, e sai benissimo che la cosa ci fa più che comodo. Tant'è che all'inizio della sceneggiata mi stavo divertendo come un matto, salvo poi rendermi conto che si stava tramutando, per noi, in tragedia.

Di questi tempi, i figli del Nemico si sono messi a fare il nostro lavoro. Se presti attenzione, ultimamente, a noi non resta che starli a guardare. Al massimo, si tratta di stuzzicarli un po'.

Remano contro se stessi. Sono così disordinati da rendere sciatta questa virtù tanto perfetta che ha inventato il Nostro Padre. Sono così assuefatti dalla società che gli abbiamo costruito da essersi inseriti in un vortice che li vede letteralmente vittime di se stessi.

Hanno ceduto alla stupida menzogna dell’uguaglianza totale, che sopprime ogni differenza, che abbiamo loro suggerito. Così, oggi ritengono gli animali uguali agli uomini.

Insomma, ti ricordi quando spiegammo a Freud le funzioni intellettuali ed emotive dell'uomo e degli animali? Che l'uomo non fosse nulla di più e nulla di meglio dell'animale era solo una maniera come un'altra per distrarli un po' dal fatto che a loro soltanto fosse dedicata la Creazione. Che il Nemico li avesse messi al centro di un progetto d'amore. Ma hanno finito per relativizzare la vita cosciente, l'intelletto e la volontà cancellando così quel rapporto privilegiato tra uomo e uomo, e quindi la base della carità e della solidarietà.

Esigono la carità per gli animali, e poi il mero "rispetto" per il loro prossimo. E non viceversa. Anzi sentono di dover imparare da loro.

In Italia, poi, gli animali e i cani sembrano intoccabili. Il che ha creato uno strano fenomeno, per cui ormai gli italiani hanno difficoltà nel distinguere sostanzialmente le bestie da se stessi.

Capisci quanto sia diventata drammatica la realtà? Ci toccherà lavorare per le bestie e non per i figli del Nemico?

Poi uno che passava mi ha dato un po' di quella cosa odiosa che chiamano "speranza", di cui abbiamo bisogno persino noi. "Cagnacci maledetti! Perché le donne invece di pensare ai figli si dedicano a raccogliere le feci di una bestia? Chi accudisce solo le bestie rischia di dimenticare l’amore per il suo prossimo umano! E non quello generico, ma proprio quello che gli è vicino, quello concreto delle persone che vede e incontra ogni giorno."

Una cosa intanto è certa: io preferisco i figli del Nemico, e se gli animali diventeranno i nostri nuovi pazienti mi dimetterò!

 

Il tuo amareggiato zio

1657

 

Nel presente volume Livy Former si rivolge soprattutto ai quei giovani lettori che amano fantasticare, sorridere e scherzare mentre affrontano una lettura. Ognuno ha la sensazione che non ci sia mai tempo né per annoiarsi né per fermarsi a pensare. L’autrice è infatti in grado di catturare l’attenzione del lettore al punto tale da coinvolgerlo tanto a livello cognitivo quanto a livello emotivo.

Tutto il tessuto narrativo è composto da un unico componimento fluido dalla struttura semplice. Lo stile narrativo è lineare e pensato all’insegna della chiarezza, spontaneità e naturalezza.

Un giorno un professore in pensione di nome Guglielmo Spennapolli comincia ad agitarsi nel suo studio perché ha perso la vena di scrivere. Non ha nessuna ispirazione. Vive solo in una casa con un gatto mr Gugu. Così, considerato il problema, l’insegnante pensa di rivolgersi alla vicina, la signora Rosetta, per trovare una soluzione. Rosetta lo invita ad affrontare un viaggio per fare esperienze nuove, conoscere nuove persone e scoprire l’essenza della vita. Allora Guglielmo parte con una valigia ed una gabbietta con il suo gatto che non vuole allontanarsi da lui. Pensa di prendere un treno senza aver ben chiaro la destinazione. La sceglie poi in riferimento all’ispirazione del momento.

Sale su un treno quasi deserto che all’inizio si ferma più di una volta senza aprire nessuna porta. Il professore si meraviglia perché non è abituato né a vedere tanti scompartimenti vuoti né un treno che non apre le porte. “Si tratta forse di un rapimento”? (p. 31). Durante il viaggio incontra una signora di nome Filomena Mandarancio, casalinga, un ragazzo di nome Stefano, studente ed Aurelio Denaroni, titolare dell’azienda “L’attacca facile”, sempre tutto impegnato nel far affari e nel guadagnare soldi. Il luogo scelto per i nuovi contatti è il vagone ristorante. Là dove il cameriere Gennaro è solito apparire con una divisa verde e scomparire all’improvviso. Ed è così che ad un certo punto Gennaro riappare per avvisare che tutti i passeggeri stanno per arrivare nella stazione di Soffice city. Là c’è il grande megastore dei desideri, ad ognuno il suo sogno. Proprio in quell’ambiente ogni viaggiatore entra e si ferma per soddisfare i suoi desideri e ogni volta ha la sensazione di essere soddisfatto. Poi ogni viaggiatore ha la possibilità di riflettere sul suo modo di vivere quotidiano, sugli errori da lui commessi in passato e prende la decisione più giusta per se stesso. Filomena che ha dedicato tanto tempo ad accudire i figli della sorella, decide di raggiungerli di nuovo perché sa che quelli sentono la sua mancanza. Non possono più vivere senza di lei.

Stefano, lo studente fuggito da casa per paura della bocciatura, decide di ritornare a vivere con i genitori non appena riceve una lettera nella quale lo si informa che è stato promosso.

Aurelio Denaroni, sempre tanto impegnato negli affari dell’azienda e ad investire denaro, decide di utilizzarlo tutto per la famiglia alla quale non ha mai dedicato tempo. Vuole invitare la moglie a cena in un bel localino e fare una passeggiata con lei.

Tutti i passeggeri, dalla signora Mandarancio al ragazzo Stefano e al signor Denaroni, son invitati a riprendere il treno “Caracollo express” da Gennaro che oltre a servire i pasti dà loro tutte le indicazioni per il ritorno. Il professore Spennapolli decide di ritornare a casa con il gatto Gugu. È soddisfatto di aver incontrato persone nuove, di averle ascoltate, capite, apprezzate ed amate. In fondo quella è l’essenza della vita a cui Rosetta gli ha fatto cenno prima di consigliargli di affrontare il viaggio. Sarà difficile che Spennapolli lo dimentichi, in quanto il viaggio “ha cambiato la sua vita” (p. 88).

Una buona lettura e un buon divertimento a tutti coloro che vorranno anche solo immaginare di viaggiare con gli amici del treno speciale Caracollo Express.

Livy Former, Caracollo express, Pasian di Prato, Campanotto editore, 2008, pp. 96.

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Dell’autore delle Cronache di Narnia, Clive Staple Lewis (1898-1963), Le lettere di Berlicche sono una delle opere più note e amate. Pubblicate originariamente sul The Guardian nel 1941 con frequenza settimanale, si tratta delle istruzioni di un diavolo anziano, “sua potente Abissale Sublimità il Sottosegretario Berlicche” destinate al nipote Malacoda, un giovane apprendista tentatore. Regalando ai nostri lettori la prima di una serie “inedita” di lettere, nate dalla penna di Lorenza Formicola, il Corriere del Sud intende tributare un omaggio all’ironia sapiente del grande scrittore britannico.

 

Mio caro Malacoda,

stamani mi sono svegliato con una terribile nostalgia per i tempi andati. Non so se ancora ricordi il nostro gran da fare nei giorni a ridosso della santificazione di due Papi, passata la Pasqua e nel pieno del mese mariano.

Ore e ore passate tra le file di penitenti in attesa di entrare nel confessionale, per tormentarli uno ad uno. Lavoravamo intensamente per stuzzicare e fomentare il rumore. Per difenderci e difenderli da tutti quegli abietti sensi di colpa, da quei desideri e propositi così alti e così perfetti, affannandoci a convincerli che fossero irraggiungibili.

Sembra passata un'eternità. Tutti, adesso, sembrano parlare d’altro.

Certo: i fedelissimi del Nemico continuano a farsi sentire, ma c'è qualcosa nell'aria che mi porta tristezza. È 'sta storia dell'«omofobia».

Quando Nostro Padre ha inventato questa parola, non ci credeva neanche lui più di tanto. Nessuno di noi si aspettava il benché minimo successo. Ci aspettavamo il classico buco nellʼacqua, da aggiungere alla serie di neologismi che ci siamo sforzati di inventare, ma che sono sempre andati di moda solo per qualche stagione. E invece, a furia di ripetersela, i soliti quattro gatti che sono, nelle loro stanze vuote, sono stati travolti dalla eco della loro stessa voce, rimbombando come un megafono al punto da stordirli completamente.

La parola sta facendo il giro del mondo, e ancora non si sono accorti che non vuol dire proprio niente. Tutto è diventato una mera questione di dato biologico da superare.

Per un momento mi aveva persino sfiorato l'illusione che avessimo conseguito delle vittorie importanti, che ormai il gioco fosse fatto.  E, se ben ricordi, abbiamo persino festeggiato.

Ma il Nostro Padre lo ha capito prima di me: c'è poco da festeggiare.

Come chiusi in una campana che non smette di suonare, questi uomini non riescono neanche più a pensare. Non prendono in considerazione neanche noi. Se ne stanno tutti fermi a ripetere cose inventate da altri.

Ormai hanno così tante scuse da inventarsi che anche io rabbrividisco.

Li abbiamo educati a pensare al Futuro come a una terra promessa, e lo abbiamo reso una tale ossessione da trasformarlo nel fine ultimo di ogni loro più piccola azione.

In nome del "Futuro" agiscono, inventano e distruggono, anche se stessi.

Si sono uniformati a quel pensiero unico che impone loro di mostrarsi tolleranti per tutte le visioni del mondo, per tutte le religioni. E si rinsaldano a vicenda nella paura di una pretesa di verità troppo imponente, troppo elevata.

Eppure lo ripeto a te, come non smetto di ripeterlo a me stesso: mai sottovalutare il Nemico, il suo operato e l’attività dei suoi figli.

Guarda per esempio le veglie che stanno animando le piazze di tutta Italia. Se ne stanno lì, le Sentinelle in "piedi", per difendere la libertà di opinione. Per difendere quella realtà che con il tempo abbiamo imparato a capire – certo, non a condividere – persino noi.

In piedi, in silenzio, con un libro in mano, si sono inventati il modo più opportuno di rivendicare quella cosa oscena, che il nemico chiama verità.

Tutt’intorno a loro, invece, gli altri rivendicano il diritto di godersi la vita senza nessuna responsabilità, in nome di un’autodeterminazione che loro giudicano di “dignità morale superiore", ma che invece li sta svilendo. Il che, attenzione, va bene! Fino a quando, tuttavia, potranno vivere senza limiti e nel disprezzo per lʼautentica natura umana?

Ci imbattiamo ancora nell'inesplicabile. E nell'imperscrutabile sento l'ombra del Nemico che molto presto ci darà filo da torcere.

Il tuo tristissimo zio.

Francesco  De  Palo,  barese  classe  ’76,  è  giornalista freelance, scrittore e blogger. Laureato in giurisprudenza, scrive di Mediterraneo e  di  politica  per  Il  Fatto  Quotidiano,  Il  Giornale,  Formiche,  Rivista  Il  Mulino  e dirige il magazine Mondo Greco. Profondo conoscitore della Grecia che frequenta assiduamente  dal  1996,  parla  il  greco  moderno:  ha  seguito  in  loco  nel  2012  le elezioni greche e il dossier troika. Una delle sue inchieste pubblicate sul Fatto.it è stata  messa  agli  atti  del  parlamento  ellenico  nell'ambito  della  commissione  di inchiesta sulla lista Lagarde. E’autore di Onde-diario di un immigrato e membro onorario della Società di Studi Cipriologici di Nicosia

Il libro "GRECO-eroe d'Europa" uscito  il  1  gennaio  2014,  in  contemporanea  con l’apertura del semestre di Presidenza greca dell’Unione Europea e con l’obiettivo di  stimolare il dibattito  su due  temi di grande rilevanza.  Riuscirà  la  Grecia  a  dimostrare  lo  scatto  di  reni necessario  per  guidare  un’Europa  indebolita  sul  piano economico, culturale e politico, ma soprattutto per uscire dalle sabbie mobili in cui è finita e dare una nuova speranza alla sua gente?  Riuscirà la Grecia, insieme ai  Paesi  del Mediterraneo, a riportare  il  baricentro  europeo  in  un  punto  di  equilibrio  più vicino alla nostra cultura, al nostro modo di sentire, di intendere, di intraprendere e di vivere?

Parlare di Grecia da un biennio a questa parte ha significato prestare occhi e orecchie a storie di crisi e di sconfitta. Al contrario, è proprio nel DNA del popolo greco che si può trovare la risposta positiva ai tempi bui  che  attanagliano  Atene, ma  anche  l’intera  Europa  e  l’intero  pianeta.  La  storia  dell'Ellade  è  foriera  di esempi positivi: ogni volta che si è trovata con le spalle al muro e a un passo dal baratro, la Grecia è riuscita a rialzarsi e a  far  fronte al nemico di turno, dando una svolta determinante alla Storia. Sua è anche l’idea primigenia di Europa. E’ da qui che bisogna ripartire: dalle storie passate e presenti di rinascita e rivincita, come quelle, belle, avvincenti e propositive, che questo libro propone, accanto alla fotografia attuale della situazione del Paese. Per dare un calcio alla rassegnazione che ovunque chiude menti e annacqua le idee.

Il "caso Grecia" va letto alla luce di ciò che sta accadendo in Europa e nel mondo come esempio emblematico dell’effetto devastante della crisi finanziaria planetaria.  Bari ospita un incontro per capire a fondo tali effetti e ragionare sulle politiche anticrisi europee e internazionali.

La giornalista Fortunata dell'Orzo condurrà l'incontro con l'autore del libro "Greco Eroe d'Europa", di Albeggi Edizioni e con Silvia Godelli, Assessore regionale al Mediterraneo, Stelio Campanale, Console di Grecia a Bari e Andrea Cannone, docente di Diritto Internazionale all'Università degli Studi di Bari

Sulla copertina, i riflessi di un’acqua cristallina e poi uno strappo, dal quale fuoriescono mani con il palmo aperto: è il gesto della mounza, una protesta-insulto divenuto simbolo della reazione alla troika e al Governo di Atene durante i giorni dei raduni in piazza, quando i greci si facevano fotografare con le mani alzate contro il Parlamento.

Il libro di De Palo è una fotografia della Grecia di oggi, alle prese con disperazione e fame, con scandali e sprechi e con il fenomeno inquietante di Alba dorata. Accanto a questa fotografia, storie di coraggio, passate e presenti, pulite, alte ed edificanti che questa terra - che ha dato i natali alla filosofia, alla democrazia, alle arti e alla medicina - è riuscita ad esprimere. Da queste storie, sostiene l’autore, occorre ripartire per risorgere e cambiare di nuovo le sorti della Storia.

introvigne libro si alla famiglia.

 

Da poco è uscito l’ultimo libro del professore Massimo Introvigne, “Si alla Famiglia. Manifesto per un’istituzione in pericolo”, pubblicato da Sugarcoedizioni. Il sociologo torinese mette insieme una serie di avvenimenti, eventi, manifestazioni, incontri, atti parlamentari, che riguardano l’attacco o la difesa della famiglia, e del matrimonio, avvenuti nell’ultimo anno. Si parte dal grande evento del 13 gennaio 2013, a Parigi, un milione di persone scendono in piazza per protestare contro il “matrimonio” omosessuale, la legge Taubirà. “E’ la Manif pour tous, la ‘manifestazione per tutti’, la più grande dimostrazione contro il ‘matrimonio’ omosessuale della storia, e il secondo più grande evento di protesta contro una singola proposta di legge in Francia (il primo riunì, il 24 giugno 1984, quasi due milioni di persone a difesa delle scuole non statali)”. Una manifestazione che mette in difficoltà il governo francese, perché ha messo insieme persone diverse: cattolici, ebrei, musulmani, atei, socialisti e anche omosessuali che considerano una legge sul matrimonio fra persone delle stesso sesso un errore.

Gli studiosi si interrogano e si chiedono il perché di una manifestazione così popolare. “Non le hanno convocate i partiti. Nessuna forza politica di qualche dimensione sostiene in modo unanime la manifestazione. Lo stesso Fronte Nazionale della signora Marine Le Pen si divide, con la sua presidente che dichiara di non volere partecipare temendo ‘derive omofobe’. Non le hanno convocate neppure le parrocchie e le diocesi, anche se alcuni vescovi hanno dato il loro sostegno”.

In sostanza per Introvigne è il più grande evento postmoderno. Si tratta di singole persone, che nessuno ha convocato e organizzato, che con un passaparola in gran parte via internet si ritrovano per una protesta straordinaria non prevista da nessuno.

Qualcosa di simile sta succedendo in Italia, da quando una sera di fine giugno dell’anno scorso, l’associazione Alleanza Cattolica ha allertato l’opinione pubblica con un manifesto di cinque punti, pubblicato su quattro quotidiani nazionali. Ero presente all’incontro nella sede di Alleanza Cattolica, in via Lecce, e temevo che anche questa volta, l’associazione restasse col fatidico “cerino in mano”, in pratica a combattere da sola una battaglia di civiltà. Invece, in breve tempo, alcuni giovani volenterosi hanno creato una Manif pour tous italiana, che è scesa subito in campo, poi altri giovani imitando i cosiddetti Veilleurs francesi- che hanno continuato la loro protesta anche dopo l’approvazione della legge Taubirà – la modalità di azione che consiste nel prendersi una piazza e rimanere in piedi in silenzio, leggendo un libro o pregando. Sono Le Sentinelle in piedi, che in molte città italiane – prima Milano il 12 ottobre in piazza Cordusio, poi Bergamo, Genova, Trieste, e tante altre– hanno manifestato la loro opposizione alla legge liberticida contro l’omofobia, la cosiddetta Legge Scalfarotto, parlamentare Pd, primo firmatario. In pochi mesi le sentinelle sono cresciute formando un movimento che, nonostante minacce e aggressioni, a sua volta ha stupito per ampiezza e consensi.

Intanto a Torino il 1 dicembre 2013 nasce il Manifesto dei comitati “Si alla Famiglia, nati per riunire non singoli ma associazioni, in un Paese. l’Italia – che è diverso dalla Francia e che conta la maggiore percentuale al mondo di cattolici che fanno parte di qualche associazione o movimento. Tutti insieme stanno rispondendo colpo su colpo a chi vuole introdurre leggi ispirate alla stessa logica francese del “matrimonio” per tutti. Il Manifesto intende dire “Si all’accoglienza rispettosa delle persone omosessuali, evitando ogni marchio di ingiusta discriminazione e colpendo severamente chi si macchia di atti di violenza, chi minaccia, chi insulta le persone omosessuali”, ma nello stesso tempo dice “No a una legge contro l’omofobia che investa un reato d’opinione e punisce con la reclusione, fino a un anno e sei mesi, chi propaganda ‘idee discriminatorie fondate sull’omofobia’”.

Introvigne è stato il promotore del Comitato, lui stesso, scrive, che si è ispirato ai “Dieci piazze per dieci comandamenti”, dieci grandi eventi promossi dagli amici del Rinnovamento nello Spirito Santo, a cui Benedetto XVI e lo stesso Papa Francesco hanno voluto partecipare con videomessaggi. L’idea di Salvatore Martinez, il presidente del Rinnovamento, era di riprendersi le piazze di dieci grandi città italiane, in ciascuna proponendo uno dei dieci comandamenti, “i quali – com’è noto – sono stati rivelati da Dio per soccorrere le difficoltà della nostra ragione ferita dal peccato originale, ma corrispondono a verità naturali che di per sé la ragione di ciascuno potrebbe riconoscere”. Ho partecipato all’evento“Ricordati di santificare le feste”, dell’8 giugno 2013 in piazza Duomo a Milano, ed ho visto con quanto entusiasmo il popolo cristiano – non solo quello del Rinnovamento nello Spirito – ha partecipato all’evento; quella sera, ho ascoltato il videomessaggio di papa Francesco dove spiegava che i dieci comandamenti, prima ancora che sulle tavole di pietra di Mosè sono scritti nel cuore dell’uomo. “Di ogni uomo, che creda o che non creda, così che proporli come antidoto alla crisi globale e anche come fonte ispiratrice della politica e delle leggi non è un maldestro tentativo della Chiesa di imporre una sua morale ai non credenti ma un richiamo al patrimonio comune della ragione. Quella ragione che non è né cristiana, né musulmana, né atea né buddhista, ma vale per tutti e a tutti chiede di essere rispettata”. Ecco perché non vale l’obiezione quando ci dicono: voi cattolici che siete contro il matrimonio omosessuale, non sposerete mai una persona dello stesso sesso.

Dunque, “perché volete imporre questa vostra scelta religiosa ai non cattolici?” Abbiamo sentito tante volte questa obiezione anche per la questione del divorzio, dell’aborto, dell’eutanasia. E’ una questione falsa. Occorre distinguere sempre fra verità di fede e verità di ragione. Che bisogna andare la domenica a Messa è una verità di fede, che non può imporre lo Stato, che non bisogna rubare o che non si debbano uccidere gli innocenti sono verità di ragione. Sono due precetti di categorie diverse. Il primo è un comandamento di fede e la Chiesa non ha mai chiesto né chiederà mai allo Stato d’imporlo per legge. Il secondo è un comandamento di ragione – la ragione vale per tutti a prescindere dalla fede religiosa – e i cattolici, come chiunque altro,hanno il diritto e anche il dovere di chiedere che le norme dello Stato corrispondano alla retta ragione.

Introvigne riflette sul comandamento “non desiderare la roba d’altri”, che è molto più profondo di quanto comunemente si creda. Non si riferisce solo al denaro e ai beni materiali. “La ‘roba d’altri’ che il nostro peccato brama - scrive Introvigne - è l’identità che non è nostra: vogliamo essere quello che non siamo”. Tutti conosciamo gli abusi dell’anoressia, spesso distruttivi, protagonisti, uomini e donne non solo anziani ma anche giovani. La “roba d’altri”, significa che vogliamo anche “un corpo diverso dal nostro, vogliamo essere altro rispetto a quello che siamo. Così gli uomini vogliono essere donne, le donne vogliono essere uomini. Non siamo disposti a riconoscere un’identità che viene dalla natura, cioè da Dio: vogliamo inventarci un’identità secondo i nostri desideri e le nostre voglie, e cambiarla quando le voglie e i desideri cambiano”.

Oggi in pratica questi desideri diventano “desideri politici” e si pretende che lo Stato li riconosca, come desideri di “amore”.“Così si vuole che lo Stato riconosca ‘l’amore’ tra le persone dello stesso sesso, ma già si odono voci che chiedono lo stesso riconoscimento all’’amore’ della poligamia e a quello dell’incesto”. In pratica si sta arrivando a quell’oscuramento della ragione, che si confondono i desideri degli individui coi diritti fondamentali della persona, per arrivare a quella dittatura del desiderio e del relativismo.

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