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Giorgio Linguaglossa, eccellente critico letterario, poeta e saggista, è nato ad Istanbul, da famiglia di origini siciliane e vive da anni stabilmente a Roma.

La sua opera prima di poesia “Uccelli” risale al 1992; successivamente, nel 2000 pubblica “Paradiso”, nel 2006 "La Belligeranza del Tramonto" e nel 2013 "Blumenbilder (natura morta con fiori)".

Nella sua intensa attività letteraria, ha tradotto poeti inglesi, francesi e tedeschi e diretto la collana di poesie delle Edizioni Scettro del Re di Roma, oltre ad aver fondato il quadrimestrale di letteratura “Poiesis”, che dirigerà dal 1993 sino al 2005. Interessante la pubblicazione nel 1995 del “Manifesto della Nuova Poesia metafisica”, che redige insieme ad altri poeti molto noti nel panorama letterario.

Ha pubblicato, inoltre, numerosi saggi sulla poesia moderna e contemporanea ed alcuni racconti e romanzi di elevato spessore editoriale.

Le sue poesie hanno varcato i confini italiani, sono state tradotte in spagnolo, bulgaro e adesso in inglese. La traduzione riesce sempre a mantenere intatto il significato di una lirica, nel momento in cui non è possibile realizzarla in modo letterale?

La traduzione è importante, innanzitutto perché è un dialogo tra le lingue e le culture; è una specie di sistema di vasi comunicanti tra le culture ed è utilissima per ampliare la visione che una cultura ha di se stessa. La traduzione è uno specchio, che ti consente di vederti con altri occhi e di verificare se il tuo discorso ha la forza di uscire dalla cultura di provenienza, oppure no.

In questi giorni è stata pubblicata negli Stati Uniti la sua Antologia di 320 pagine “Three Stills in the Frame” (Chelsea Editions). Questa sua opera rappresenta un avvenimento di un certo rilievo per la poesia italiana, un biglietto da visita del Made in Italy, come si usa dire oggi, anche se apparentemente riservato all’élite della cultura americana. Vorrebbe parlarmi di questo avvenimento, in un momento storico complesso, in cui la cultura italiana è sofferente e stenta a varcare i confini nazionali?

Ho sempre pensato che la poesia di un'epoca storica è l'espressione artistica che «rappresenta» nel modo più alto e sintetico la cultura di un popolo in un dato momento storico; la rappresenta nel senso che la custodisce e la tradisce. In altre parole, voglio dire che i contemporanei fanno sempre una certa fatica a riconoscere la voce di un poeta del loro tempo, se lo riconoscono subito e lo acclamano come loro poeta, allora si tratta di un poeta minore, che viene incontro al gusto medio del pubblico. Facendo questa antologia per il pubblico americano ho voluto dare della mia poesia un’idea europea piuttosto che italiana, ho selezionato le poesie più europee; ho voluto dare l'idea di un poeta che proviene da quella grande esplosione di creatività, di arte e di scienza che è stato il Rinascimento italiano. In tal senso, io mi considero un epigono di Machiavelli e di Leonardo, piuttosto che un erede di Montale. Non so se la critica americana si accorgerà di questo aspetto, io lo spero. Mi sono sempre posto il problema di uscire dal Novecento italiano, la cui storia non è stata certo esaltante, di avere uno sguardo stereometrico, di guardare all'Europa: ai grandi poeti polacchi, ai russi, ma anche agli svedesi come Tomas Tranströmer e ai norvegesi come Rolf Jacobsen.

Vedo che nella copertina del suo libro c’è una foto del 1946, raffigurante i suoi genitori giovani, che camminano in una strada di Roma. Come mai questa scelta di mettere una foto di famiglia nella copertina di un’Antologia di poesia?

L'immagine posta in copertina del libro riprende una foto scattata da un fotografo di strada a Roma nel 1946 con una Kodak. All'epoca, mio padre era disoccupato, tornato dalla guerra, aveva perso il negozio che aveva a Roma. Il proprietario del negozio gli notificò l'importo dell'affitto da pagare per i quattro anni della guerra, mio padre che non aveva i soldi fu costretto a chiudere il negozio e a restare disoccupato. Così fu trattato un servitore della patria. Io non ero ancora nato. Comincia qui la mia poesia, dagli anni Quaranta. Il dopoguerra, la fame e la disgrazia dei miei genitori. Tornato dalla guerra, mio padre sposa mia madre. Un episodio d'amore. La mia Antologia vuole essere un omaggio alle generazioni di italiani che hanno rifatto l'Italia dopo il disastro del fascismo e della guerra, e la poesia "Tre fotogrammi dentro la cornice", la più lunga che io abbia mai scritto, ripercorre la storia privata dei miei genitori nello scorcio del Novecento; la vita privata si confonde e si sovrappone, nella poesia, alla vita pubblica: il fascismo (mio padre era comunista), la guerra, il dopoguerra, la caduta in disgrazia economica dei miei genitori, la mia nascita, mia madre, la donna più bella del mondo agli occhi di me bambino, mio padre che a quaranta anni ricomincia tutto daccapo, da disoccupato, e si mette a fare il calzolaio, e poi, in seguito, negli anni Sessanta, metterà su una bottega di vendita di scarpe. Così, mentre scorrono gli eventi della guerra fredda, i miei genitori invecchiano, io divento grande e comincio ad invecchiare anch'io, l'Italia peggiora e invecchia. E poi la corruzione delle menti, quella corruzione antropologica, che purtroppo ha attinto gli italiani. Di qui la mia scelta di andare a fare, dopo gli studi di lettere, un mestiere utile al mio paese, andai a fare il direttore di carcere. Ho girato molti penitenziari del nord e del centro dell'Italia. E poi, i giorni nostri: la crisi, che non è solo economica, ma spirituale, antropologica, crisi del «sistema Italia» ormai, temo, non più riformabile.

Il libro si apre con una poesia, dove è presente sua madre, che ricompare insieme a suo padre, nella bellissima lirica “Tre fotogrammi dentro la cornice”, che dà il titolo al volume e riprende l’immagine dei suoi genitori, messa in copertina. Inoltre, il libro è disseminato di figure femminili, volta a volta diverse: Marlene, Beltegeuse, Enceladon, la dama veneziana in maschera, Madame Zorpia e Madame Zanzibar e tante altre ancora. Quale significato racchiude tutto questo affollamento di figure femminili?

Stavo dicendo che Marlene, Beltegeuse, Enceladon, Simonetta Vespucci, la dama veneziana in maschera, Madame Zorpia e Madame Zanzibar e tante altre ancora, sono tutte personificazioni e personaggi del «femminile», sono sosia di mia madre. Il «femminile» ha attraversato tutto il mio immaginario, e quindi attraversa anche il mio Novecento poetico. La vecchiezza delle donne corrisponde alla vecchiaia del Novecento, e la mia poesia vuole essere la palinodia, il compianto per la vecchiaia di un secolo che ha coinciso anche con la mia personale maturità, e lo scacco di non essere riuscito a dare un contributo maggiore per la riscossa del mio paese. Forse con la poesia ci sono riuscito. Forse. Ma non credo, la mia poesia porta un messaggio di cui gli italiani non hanno bisogno.

Qual è, ove ci fosse, il filo conduttore tra tutti questi personaggi?

Non so quale sia il filo conduttore tra tutti i personaggi e le personificazioni, maschili e femminili, presenti nella mia poesia. Tra le personificazioni maschili ci sono Tiziano, Vermeer, Rembrandt, Velazquez, poeti come Brodskij, Ariosto, Dante; musicisti come Ciajkovskij, Vivaldi; personificazioni di entità astratte: il Signor K., Anonymous, il Signor Cogito (personificazione del filosofo), l'imperatore Costantino (colui che rifonda l'Impero su una menzogna), il Signor Retro, il Signor Posterius, il Signor K., il Commissario, e poi ci sono gli Angeli: l'angelo della storia Achamoth, gli angeli Raffaele, Asraele, Shemchele e i falsi angeli come Sterchele (nato da un difetto di pronuncia dell'Altissimo); e poi ci sono i filosofi che non si piegano, come Carneade, che resiste in un interrogatorio drammatico alle domande degli angeli inquisitori, Munkar e Nakir. In realtà, è una lotta drammatica di tutti contro tutti, una belligeranza universale, quella che ha attraversato il Novecento con le sue tre guerre mondiali. La volontà di potenza nel suo massimo dispiegamento di forze in atto. Ecco, forse il filo conduttore è questo: la volontà di potenza dispiegata dalla nostra epoca tecnologica, quello che un filosofo come Heidegger, con una espressione poetica, ha chiamato «l'oblio dell'essere».

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Il prefatore Andrej Silkin afferma che la sua poesia è il tentativo più arduo ed ambizioso fatto dalla poesia italiana, per superare la poesia d’occasione: la poesia diario iniziata dal più grande poeta del Novecento italiano, Eugenio Montale. Vorrebbe spiegarmi cosa significa “superare”, ovvero, andar oltre Montale?

«Superare Montale», nel senso da attribuire a questa frase di Andrej Silkin, significa fare una poesia che corrisponda ad un progetto « für ewig » (per sempre), una poesia che corrisponda ad «una Grande Visione», e non ad una poesia di occasioni, diaristica, in minore, scettico-urbana, personalistica, privatistica, psicologica come quella che Montale farà da Satura (1971) in poi. Seguito a ruota da tutta la poesia italiana del tardo Novecento. È questa l'accusa che rivolgo alla poesia italiana del dopo Montale, quella di non essersi saputa liberare da questa visione scettico-ironica, diminutiva, minimale che poi ha dato risultati estetici molto discutibili e ha avviato la poesia italiana del secondo Novecento a un lento e inarrestabile declino.

Lei è nato ad Istanbul, o meglio, mi correggo, a Costantinopoli nel 1949 per poi trasferirsi a Roma con la sua famiglia. Che senso ha avuto per lei questa duplice appartenenza alle due capitali dell’antico Impero romano?

Mi piace pensare che per una bizzarria del caso io sia nato a Costantinopoli, in quanto i miei genitori nel 1949 si trovavano lì per il commercio di pellami che faceva mio padre. All'età di tre mesi dalla mia nascita i miei genitori mi hanno portato a Roma, ma, probabilmente, qualcosa è restato nella mia immaginazione (sono stato un bambino straordinariamente immaginativo) di quella antica capitale di un impero pagano ormai tramontato. Questo mi ha aiutato ad estraniarmi da Roma, mi ha fatto sentire sempre un po' estraneo in Italia, un po' diverso dagli altri ragazzi e adolescenti della mia età. Con il tempo ho capito che questa duplice appartenenza immaginativa alle due capitali dell'antico impero romano poteva essere un fattore positivo, e positivo per la mia poesia. È questo il motivo per il quale ho scritto e pubblicato il romanzo Ponzio Pilato, che nel 2016 uscirà negli Stati Uniti in traduzione inglese. Mi sono spesso chiesto se io al posto di Ponzio Pilato mi sarei comportato come lui o avrei scelto di oppormi alla richiesta di pena capitale per Gesù pronunziata dal Sinedrio. E mi sono dato una risposta. Avrei liberato quell'innocuo predicatore e avrei sfidato le ire del Sinedrio.

Ho letto il suo romanzo “Ponzio Pilato”, edito nel 2011. Che cosa unisce la figura di Ponzio Pilato alla Roma del terzo millennio?

Ponzio Pilato, il quarto Procuratore della Giudea, è stato il plenipotenziario di Roma. Lui è l'Occidente, quell'Occidente che osserva l'Oriente ma non lo comprende. Anche davanti a Gesù, Pilato non riesce a comprendere quel "mondo", la famosa domanda: «Che cos'è la verità», che Pilato rivolge a Gesù, ci rivela subito la statura intellettuale di Pilato, il quale non è affatto uno sciocco. La domanda di Pilato è centrale e strategica insieme, lui vuole capire dalla risposta di Gesù se l'uomo è pericoloso per le leggi di Roma o se non lo è. E la deduzione di Pilato è straordinariamente acuta, comprende che il messaggio di Gesù è un messaggio di pace spirituale, che non si tratta di un ribelle pericoloso. La Roma del terzo millennio è simile al mercato del Tempio di Gerusalemme, dove si affollano i mercanti e gli strozzini, dove si vende il denaro e si compra la corruzione. La Roma attuale non è nulla di più di un puntino sulla carta geografica, non significa nulla. Il nichilismo della Roma attuale lo si ritrova intatto nella mia poesia, ma ribaltato, rivoltato, perché la mia poesia si nutre di una «Grande Visione». La mia poesia vuole essere un atto di drastica accusa contro la corruzione del mio paese.

Che peso ha il passato nei suoi versi?

Dal passato ho imparato una cosa, una cosa che mi diceva mio padre calzolaio: “Non accettare mai di fare un passo indietro”; e poi ho in serbo un'altra massima, del capo indiano Tachka Witka (più noto come Cavallo pazzo): “Un grande capo deve seguire una Grande Visione, come l'aquila insegue il profondo blu del cielo”. Ecco, queste sono le due gambe spirituali e filosofiche sulle quali ha poggiato la mia poesia e la mia vita. Il passato mi ha insegnato che si può essere sconfitti, ma senza mai perdere l'orgoglio di aver difeso ad oltranza la propria posizione. Come parla il filosofo Cogito nelle mie poesie, lui dice che “bisogna tenere il punto, alla fine il punto vincerà sulla linea”. Non sono sicuro se Cogito abbia ragione o torto, questo lo vedranno solo i posteri. Del resto, credo che il lettore di un libro di poesia voglia sapere questo: come comportarsi nella vita, con quale azione rispondere a una ingiustizia, come poter essere un cittadino migliore. Tutto il resto è chiacchiera di letterati.

Esiste un trait d’union fra passato e presente, due epoche culturali con logiche differenze?

Oggi siamo nell'epoca della superficie. I media, il video, internet, la politica sono emanazioni della superficie, sono effetti “dell'oblio dell'essere”. Viviamo come pattinatori su una superficie ghiacciata (anestetizzata), la superficie della medietà superficiaria. Non abbiamo più alcuna relazione che ci unisce a ciò che nel lontano passato siamo stati, penso al Rinascimento, penso a quel grande crogiolo di civiltà che è stato l'impero pagano di Roma, penso alla generazione che ha fatto l'Italia dopo la sconfitta della seconda guerra mondiale, penso a Giordano Bruno che, per tenere il punto affronta il rogo con coraggio, penso a Galilei costretto ad una umiliante abiura dall'Inquisizione, penso a Gramsci che in prigione scrive i suoi quaderni, penso a Leopardi che affida allo Zibaldone i suoi pensieri. Oggi c'è una grande stanchezza e una grande sfiducia. Siamo arrivati al capolinea della storia di un insieme di popoli diversi che si chiamano oggi italiani.

Un critico, di cui non ricordo il nome, una volta disse che la sua poesia è come “anestetizzata”: le immagini, le parole sembrano private di emozione, come se non dovessero più entrare nell’umana sfera emotiva. Condivide questa chiave di lettura?

L'anestesia è quel composto chimico che si dà ad una persona per non farle sentire il dolore di un intervento chirurgico. Bene, anche la lingua italiana ha subito un intervento del genere, è stata anestetizzata per impedirle di avvertire il «dolore» che la comunità sentiva. Questa anestetizzazione della lingua di relazione, quella che parliamo tutti i giorni, è un fenomeno in atto da tempo, da almeno trenta quaranta anni. La vita antropologica di un popolo è stata anestetizzata, è stata isolata dal dolore, e così questo popolo è andato incontro al suo destino senza, paradossalmente, avvertire alcun dolore, ma con una specie di inerzia, di indifferenza, di noia, senza essere capace di alcuna reazione. Ecco, io non ho fatto altro che costruire una «forma poetica», un lessico, uno stile che recepisse quanto avvenuto nella società italiana. Non è quindi la mia poesia ad essere «anestetizzata», ma è la società italiana che ormai si è «anestetizzata». Come poeta non potevo che usare quella lingua.

Perché ha dovuto ricorrere all’anestesia delle parole?

Perché il poeta deve il massimo rispetto alle «parole», le deve prendere per quello che esse sono diventate, cioè «prive di emozioni»; le parole si sono «anestetizzate», non veicolano più un significato, una comunità in crescita, ma una comunità ripiegata su se stessa, una comunità in declino, che si alimenta di falsi idoli e accudisce false verità. Se la lingua italiana, quella parlata dal popolo, si è «anestetizzata», bene, il poeta non ha il diritto di intervenire con interventi «estetici» o di micro chirurgia migliorativa. Il poeta deve essere incorruttibile: deve prendere quello che la lingua gli dà, non deve abbellirla, non deve vestirla di orpelli.

Sempre a proposito di Andrej Silkin, nella prefazione il critico scrive che la “costellazione” dei suoi poeti con i quali interloquisce è la seguente: Osip Mandel'štam, Arsenij Tarkovskij, Milosz, Zbigniew Herbert, Adam Zagajewski, Eliot, Tranströmer; insomma, il critico sostiene che lei guarda ad est e a nord dell’Europa, che ha poco a che vedere con la poesia del tardo Novecento italiano. Stanno veramente così le cose?

Una volta un lettore mi disse che le mie poesie gli sembravano scritte da un poeta straniero, e poi tradotte in italiano, “un bell'italiano”, aggiunse, forse temendo di offendermi. Io gli risposi che questo era per me il più grande complimento che un lettore potesse farmi. Le cose stanno così, ho sempre cercato di scrivere le mie poesie come se fossi uno straniero, un marziano, sbarcato, per caso, a Roma, costretto a scrivere in italiano, ma rimanendo pur sempre straniero. Ecco, questa estraniazione mi ha consentito di assorbire dalla grande tradizione europea, dai poeti da lei citati e da altri, tutto ciò che era possibile assorbire. La mia poesia ha poco a che fare con la tradizione del Novecento italiano. Forse provengo da lontano, da quella capitale immaginaria dell'Impero d'Oriente che è stata Costantinopoli dove sono nato. Provengo dalla periferia dell'impero, ma vivo da sempre a Roma, che è pur sempre una capitale cosmopolitica, cafona e inaffondabile nella sua medietà e nella sua inimitabile creatività.

Per concludere il nostro piacevole incontro, mi consenta una domanda: perche la poesia oggi, perché un libro di poesia?

Non c'è un perché. La poesia è un atto di creazione, si crea qualcosa dal nulla, che prima non esisteva. È qualcosa di incredibile, no? Un libro di poesia è una sorta di epitaffio spirituale di una civiltà. Sono pochi i libri di poesia in un secolo degni di questo nome.

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La scorsa notte, come ogni anno, presso il Ninfeo della splendida Villa Giulia (Roma), si è conclusa la “LXIX Edizione del Premio Strega”, promosso dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci, da Liquore Strega e da Unindustria (Unione degli Industriali e delle Imprese Roma Frosinone Latina Rieti Viterbo), con il sostegno di Roma Capitale.

La serata è stata condotto dalla nota giornalista e conduttrice del programma “Pane Quotidiano” Concita De Gregorio, elegantissima ed impeccabile sul palco.

L’attrice comica Paola Minaccioni ha impreziosito la manifestazione con piacevoli interventi, a testimonianza del fatto che con i libri (e per i libri) si può anche ridere.

La cinquina delle opere finaliste, ognuna proposta da due giurati, in veste di garanti, era così composta:

LA SPOSA (Bompiani) di Mauro Covacich presentato da Dacia Maraini e Sandro Veronesi

STORIA DELLA BAMBINA PERDUTA (E/O) di Elena Ferrante presentato da Serena Dandini e Roberto Saviano

CHI MANDA LE ONDE (Mondadori) di Fabio Genovesi presentato da Silvia Ballestra e Diego De Silva

LA FEROCIA (Einaudi) di Nicola Lagioia presentato da Alberto Asor Rosa E Concita De Gregorio

COME DONNA INNAMORATA (Guarda) di Marco Santagata presentato da Salvatore Silvano Nigro e Gabriele Pedullà

Come di consueto, la seconda votazione e lo spoglio dei voti, scanditi ad alta voce, quindi la proclamazione del vincitore si sono svolte in linea ad una tradizione che risale agli inizi del secondo dopoguerra. Nel lontano 1944, in una Roma non ancora liberata, attorno alle illustri figure di Maria e Goffredo Bellonci, si costituì il gruppo degli Amici della domenica che dopo qualche tempo, esattamente nel 1947, grazie all’incoraggiante e brillante adesione dell’industriale Guido Alberti, allora giovanissimo, decisero di fondare, di concerto con il “Premio Strega”, un’istituzione in grado di riaccendere il dibattito culturale, in un momento di rinascita della democrazia e della libertà.

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Proprio grazie all’impegno della Fondazione Bellonci, presieduta da Tullio De Mauro e diretta da Stefano Petrocchi, la serata finale del “Premio Strega” continua a raccogliere i maggiori protagonisti del tessuto culturale italiano, che negli anni hanno raccolto il testimone degli storici Amici della Domenica.

Tantissimi illustri personaggi sono stati presenti in questa manifestazione culturale di portata internazionale, fra essi Luigi Abete, Paolo Mieli, Maria Luisa Parsi, Stefano Rodotà. Di tanto in tanto, sono stati intervistati intellettuali, artisti, editori e naturalmente i finalisti di quest’anno. Una breve nota amatoriale: nell’edizione del 1947 erano presenti personalità dell’arte e della cultura che hanno lasciato un segno indelebile, quali C. Alvaro, S. Aleramo, V. Brancati, E. Flaiano, A. Palazzeschi, E. Morante, A. Moravia e tanti altri.

Le operazioni di voto di questa edizione appena conclusa, sono iniziate intorno alle ore 21.30 e il Presidente del seggio, lo scrittore Francesco Piccolo, vincitore del Premio nel 2014, affiancato dal Presidente della Fondazione Bellonci Tullio De Mauro e da Alberto Foschini, Presidente di Strega Alberti Benevento, ha dato il via alle operazioni di voto, il cui esito è stato determinato dalle preferenze espresse dagli Amici della Domenica, lo storico corpo votante del Premio. Ai loro voti, si sono aggiunti quelli di 60 lettori forti, selezionati ogni anno da librerie indipendenti italiane associate all’ALI e i 15 voti collettivi espressi da scuole, università e Istituti Italiani di Cultura all’estero, per un totale di 460 aventi diritto.

La seconda edizione del “Premio Strega Giovani” è stato vinta con 69 voti da Fabio Genovesi, con il romanzo “Chi manda le onde”, che è stato premiato lo scorso 8 giugno a Palazzo Montecitorio, alla presenza del Presidente della Camera Laura Boldrini. Ieri sera Fabio Genovesi è salito sul palco di Villa Giulia per essere premiato con un assegno di Euro 3.000 dal vice presidente di Unindustria.

Lo scrutinio dei voti, puntualmente registrati sulla storica lavagna, si è concluso nei tempi previsti e alle 24.00 circa è stato proclamato, con 145 voti, il vincitore di questa “LXIX Edizione del Premio Strega 2015”: lo scrittore Nicola Lagioia con il libro “La ferocia” (Einaudi), che si può definire lo specchio dell’attuale società. Egli, nato a Bari nel 1973, ha già pubblicato tre romanzi: nel 2001 “Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj”, nel 2004 “Occidente per principianti”, nel 2009 “Riportando tutto a casa”. Lagioia dirige “Nichel”, la collana di letteratura italiana di minimum fax ed è una delle voci di Pagina 3, la rassegna stampa quotidiana di Radio3. Inoltre, è tra i fondatori del blog letterario “Minima & Moralia”ed anche uno dei selezionatori della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia; infine, scrive per diversi giornali e riviste.

Appena salito sul palco per ricevere l’ambitissimo “Premio Strega 2015”, il vincitore Nicola Lagioia, visibilmente emozionato, ha dichiarato: “Dedico a Chiara, mia moglie, la vittoria e questo libro. Senza di lei ‘La ferocia’ non sarebbe stato possibile…”

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L’Associazione FreeZone collabora da anni con il Festival Internazionale di Poesia di Genova, curando la sezione Poevisioni, dedicata al cinema documentaristico, diretta dallo scrittore e documentarista Maurizio Fantoni Minnella.

In occasione dei suoi 20 anni (1995-2015) e della sua 21a edizione, il Festival Internazionale di Poesia "Parole spalancate" ha pensato di estendere la propria attività culturale al di fuori di Genova con una programmazione prestigiosa importante e che possa continuare e crescere negli anni, coinvolgendo altre località italiane.

Oltre ad un’altra città della Liguria, Savona, la scelta di nuove location si è indirizzata verso la Lombardia, in particolare verso Luino, città di bellezza paesaggistica.

La sezione luinese di Poevisioni-Festival Internazionale di Poesia di Genova si terrà il 27 giugno. Il programma si articola in due parti:

Ore 18.00-Cortile Casa Rossi

Incontro con la poesia georgiana. La traduttrice Nunu Geladze presenta Vite tralci. Antologia della poesia georgiana contemporanea. Sarà presente l’editore Giuliano Ladolfi.

Ore 21.30 – Cortile Casa Rossi

Proiezione del documentario Il cuore di mia madre. Taccuino siciliano di Maurizio Fantoni Minnella, Italia, 2015, 45’

La giornata di Poevisioni a Luino si inserisce quindi nell’ampio programma di Poevisioni che si tiene a Genova nel mese di giugno.

A Luino FreeZone si avvale della collaborazione dell’Aisu, del comune di Luino e del patrocinio della Provincia di Varese.

Maurizio Fantoni Minnella (Varese, 1959) è scrittore, viaggiatore, pubblicista, saggista cinematografico, documentarista e studioso di letteratura in lingua spagnola. Ha pubblicato cinque opere di prosa, numerosissimi saggi di critica cinematografica, e ha curato traduzioni di testi di poesia latinoamericana e realizzato oltre 25 documentari girati in molte parti del mondo.

Ha presentato i suoi libri e alcune rassegne di cinema italiano negli Istituti Italiani di Cultura di Marsiglia, Lione, Lisbona, Helsinki, Salonicco, Caracas, Città del Guatemala, Rio de Janeiro, Haifa, Seoul; Algeri, Malta, New York e Londra.

 

C’è una Sicilia dell’antimafia e dei morti ammazzati e una Sicilia della memoria come luogo dove ritornare. Ci sono le strade di Palermo, la sua luce che non si può descrivere ma soltanto guardare, ma anche le ampie e solitarie distese della Sicilia profonda, terra verso cui l’autore di questo film si volge nel tentativo di ritrovare la propria radice materna.

Ad accompagnarlo c’è un amico siciliano, volontario di Libera, che vive  in una sorta di avamposto solitario immerso nella campagna, fra ulivi, vigneti e cardi, creato dall’associazione in una terra sequestrata alla mafia.  Le riflessione del collaboratore di Libera sul suo lavoro di volontariato presso l’associazione sono uno stimolo per l’autore per approfondire un nuovo aspetto della realtà siciliana.

Egli guida un vecchio pulmino Wolkswagen e con l’autore, giunge nella città di Mussomeli, famosa per il magnifico castello chiaramonteo e per bellezza del paesaggio in cui è possibile ammirare la rocca di Sutera.

I ricordi affiorano di fronte alla vecchia casa degli avi in via Minnella e nella strada vicina dedicata a Paolo Emiliani Giudici, illustre letterato.

Il film, modellato sull’evolversi del viaggio attraverso la Sicilia interna, passando attraverso Palermo, i luoghi delle esplosioni mafiose degli anni  novanta, le attività di un’associazione come Addiopizzo,  e Cinisi, in quella che fu la casa di Peppino Impastato, possiede un andamento quasi rapsodico, essenziale nel mostrare personaggi e luoghi, appunto, ma anche memorie cinematografiche (Wenders, Rosi, Giordana) che bene esprimono l’anima della Sicilia, sorprendentemente vitale nonostante le ingiustizie e gli orrori subiti per mano della mafia e della malapolitica.

L’autore nel percorrere gli stessi luoghi dei film, è come se ne rivelasse la natura mitica, luoghi che la storia e il cinema, la vita e la morte, sempre intrecciate in un abbraccio solenne e fatale, hanno consegnato ad una sorta di mitologia quotidiana.

Nell’epilogo, ritorna la figura materna e il suo paese natale, come presenza nella quale passato e presente convivono in un segreto equilibrio.

 

Nunu Geladze ha racchiuso nella pubblicazione in lingua italiana Vite e tralci. Antologia di poeti georgiani contemporanei (Giuliano Ladolfi editore, 2014) la storia e la civiltà del popolo georgiano negli ultimi cento anni.

Qualcuno potrebbe sollevare obiezioni sull’affermazione, eppure non temo di argomentarla. Noi conosciamo la grande cultura medioevale non attraverso le cronache o i documenti notarili, ma attraverso la Divina Commedia di Dante, la quale, per usare l’espressione di un filosofo italiano Luigi Pareyson, non ha “descritto” il periodo in cui il poeta ha vissuto, ma lo ha “rivelato”, ci ha cioè  tramandato la Weltanschaung o visione del mondo, con cui gli uomini del suo tempo hanno abitato la terra. Nei suoi versi non troviamo soltanto personaggi o vicende terrene e ultraterrene, ma lo spirito religioso di cui era impregnata la cultura del tempo, improntata alle parole di San Paolo: «Videmus nunc per speculum et in aenigmate, tunc autem facie ad faciem» (ora noi vediamo la realtà non come essa è, ma soltanto riflessa in uno specchio e proposta a noi sotto forma di enigmi; quando saremo nell’aldilà la vedremo direttamente, senza mediazioni).

Ecco l’intento della traduttrice e curatrice: offrire ai lettori della nostra lingua non soltanto una galleria di poeti, ma entrare attraverso di loro nello “spirito” di un popolo che dall’occupazione dello straniero ha raggiunto la libertà e sta cercando di iniziare con dignità un proprio percorso insieme agli altri popoli della terra e recando all’intero pianeta il contributo della propria originalità.

L’intento di Nunu Geladze assume enorme importanza anche per la nazione cui è indirizzata, per il fatto che negli ultimi cinquant’anni la poesia da noi ha perso importanza. Per la maggior parte dei diplomati e dei laureati la scrittura in versi  è sinonimo di scuola, per chi scrive è proiezione dei propri sentimenti, come gesto liberatorio di pulsioni interiori, spesso èsolo finalizzata alla ricerca di consensi. Non si legge più poesia contemporanea e questo costituisce una chiara indicazione del nostro abbassamento del livello culturale. L’invito della curatrice dell’antologia georgiana si colloca, pertanto, alla radice dell’essenza della natura umana, là dove la poesia assume una collocazione quasi di sacralità. Cicerone diceva che i poeti sono un dono degli dèi e, anche se noi non giungiamo a tale conclusione, non possiamo non condividere che il sacro della poesia va rintracciato dentro di noi, in quel luogo della coscienza, dove maturano le scelte di vita, le ragioni d’essere di un intero popolo. Non a caso Percy Bessy Shelley sosteneva che i poeti sono i non riconosciuti legislatori del mondo.

E sulla linea di questa impostazione la Geladze ha operato la scelta di poeti e di brani attraverso la ricerca di quattro diverse generazioni, accomunate da una serie di temi che costituiscono l’essenza del popolo georgiano in quest’ultimo lasso di tempo: la Patria, come si può vedere nelle composizioni Regina Ketevan di Ana Kalandadze, Una veduta di Gori. Agosto, 2008 di Lela Samniashvili; la religiosità, la devozione alle tradizioni di un popolo privo di ogni forma di  razzismo e di pregiudizi, aperto a ogni cultura e tradizione (Michelangelo di Lia Sturua, Lettera di Michelangelo ad un amico di Tamaz Badzaghua, Da questa  brocca bevono di Ana Kalandadze, Dalla missiva di Natela Baliauri della stessa Ana Kalandadze, Il canto della sposa cecena, Caroline. Mamma Africa di Lela Samniashvili, l’amore per la tradizione, il senso dell’accoglienza e dell’ospitalità, la convivialità amichevole, il sentimento dell’onore e della dignità.

Il fatto che all’antologia abbiano aderito voci femminili e due candidati al premio Nobel è segno di un lavoro attento e perspicace di chi all’amore per la traduzione poetica sta dedicando tempo e fatica.

Non dimentichiamo, infine, che la dotta prefazione di Ivane Amirkhanashvili costituisce una vera e propria storia della poesia georgiana dalle origini ai giorni nostri, utile al lettore italiano sia per collocare nella corretta tradizione i poeti compresi nella pubblicazione, ma utile soprattutto per diffondere la conoscenza di una letteratura che, purtroppo, è quasi totalmente ignorata nella nostra penisola e che, invece, potrebbe essere di stimolo e insegnamento per le nuove generazioni.

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L’ importante evento letterario “Premio Nazionale di Poesia Himera 2015”, ideato e promosso dall’Associazione Culturale Termini d’Arte e patrocinato dal comune di Termini Imerese e dal Parco Archeologico di Himera, è giunto quest’anno alla sua III Edizione.

In questi giorni ho avuto occasione di intervistare Rita Elia, presidente dell’Associazione, la quale mi ha illustrato in modo esaustivo le finalità di questa iniziativa che, anno dopo anno, sta riscuotendo sempre più interesse, anche grazie alla sezione dedicata al sito archeologico di Himera, antichissima colonia greca.

Innanzitutto, vorrei esprimerle i miei ringraziamenti per aver concesso questa intervista al Corriere del Sud. Lei è il Presidente dell’Associazione Culturale “Termini d’Arte”. Vorrebbe spiegarmi com’è nato il progetto di fondare un’associazione?

Grazie a lei per le attenzioni che sta riservando alla nostra Associazione ed alle correlative attività culturali. Il progetto di fondare l’Associazione Termini d’Arte è nato dal bisogno di mettere in gioco i talenti acquisiti in un percorso culturale da me intrapreso negli anni ’90.

Quali sono le figure apicali all’interno del vostro direttivo?

Ritengo tutti i nostri Soci figure apicali, ognuno con la propria peculiarità; dal medico all’insegnante, dal poeta allo scrittore, dal pittore alla ricamatrice.

Nostro Socio Onorario è il prof. Tommaso Romano, docente di Scienze Umane e Filosofia, scrittore, poeta e saggista. Ha fondato nel 1971 le Edizioni Thule e dal 2001 presiede la Fondazione Thule Cultura. E’ presidente dell’I.S.S.P.E. (Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici) e direttore di alcune riviste. La sua attività nell’ambito letterario e culturale è notevole ed ha ricoperto anche il ruolo di vicepresidente ed assessore alla Cultura presso la Provincia Regionale di Palermo, oltre che presso lo stesso Comune.

Socia Onoraria è l’artista Angela Argentino, originaria di Noto, vive in Grecia, nell’isola di Lefkada da circa 40 anni; insegnante, poetessa, scrittrice ed artista, è sposata con un medico, primario dell’isola. Si conobbero a Roma durante l’Università. I suoi acquerelli descrivono le bellezze architettoniche della sua Noto, alla quale è rimasta legatissima.

Desidero ricordare un nostro Socio, il dott. Saverio Orlando, ex primario nel reparto di cardiologia dell’Ospedale di Termini Imerese, appassionato latinista e poeta. Ha tradotto testi di poeti latini nella lingua italiana, per poi tradurli di nuovo in lingua siciliana e presentarli al pubblico in uno spettacolo estivo, messo in scena lo scorso anno. D’altronde, per i sentimenti non c’è tempo che possa mutarli!

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Il “Premio Nazionale di Poesia Himera”, come sottolineato nell’introduzione, è giunto alla sua terza edizione. I risultati delle precedenti edizioni, assolutamente lusinghieri, sono stati determinati dall’adesione di poeti provenienti dai più disparati Paesi del mondo. Una buona opportunità per un confronto interculturale. Quali sono gli autori che hanno maggiormente colpito la sua attenzione?

Il nostro premio letterario, con una sezione dedicata al sito archeologico già alla seconda edizione, ha avuto numerose partecipazioni dall’estero. Va detto che i siciliani e gli italiani, più in generale, sono sempre stati cittadini del mondo, ma il legame con le proprie radici è imprescindibile e rimane nel tempo immutato e saldo. Pertanto, partecipare ad un premio, nonostante le distanze, li fa sentire vicini ed è per noi una gioia scoprire che il partecipante dalla Spagna o dagli Stati Uniti è un italiano o un siciliano. E’ come voler accorciare le distanze…

In un’epoca caratterizzata dall’alta tecnologia, secondo lei le arti letterarie e con esse la poesia, continuano ad essere un importante strumento di diffusione ed al tempo stesso di fruizione dell’arte, intesa in senso lato?

Proprio per il fatto che la tecnologia avanza, distogliendoci da noi stessi, dal nostro mondo interiore, da ciò che accade dentro ed intorno a noi, ritengo più che necessarie, in questo nostro periodo storico, le arti letterarie e la poesia. Esse devono svolgere un compito ben preciso: lanciare messaggi, fare da tramite per soddisfare i bisogni dell’umanità, quali la pace, la solidarietà, il rispetto per il Creato e tutti quei valori che, purtroppo, sono in decadenza.

Il termine poesia, di etimologia greca, significa “creazione”. Nell’attività artistica di comporre versi ritiene sia fondamentale seguire regole metriche, oppure crede sia sufficiente lasciarsi semplicemente guidare dall’ispirazione?

L’ispirazione, quella profonda e vera, non segue regole, né logiche. La poesia viene dal profondo del cuore sia dalla persona colta, sia da quanti non conoscono la metrica oppure, semplicemente, preferiscono esprimersi in versi liberi. Ciò che conta veramente sono le regole grammaticali e in particolare quel gran sentimento che è l’amore e che tutto muove. “L’Amor che move il sole e l’altre stelle”, come ben diceva il grande Vate.

Lei è una poetessa che vive in Sicilia, esattamente a Termini Imerese, dove è nata. L’idea di creare un Premio letterario, nasce in primis per promuovere i poeti contemporanei e divulgare i valori della poesia. Nel caso specifico, avverto una forte esigenza da parte vostra di valorizzare il patrimonio archeologico di Himera, località situata in un’area geografica dai forti caratteri, con un vissuto storico contrassegnato dal passaggio di tante culture. Quanto impegno richiede rendere tutto questo visibile e fruibile al mondo, attraverso il prezioso messaggio poetico?

L’idea di istituire un premio letterario nasce in primis dal desiderio di creare ponti tra la parola e il cuore dell’uomo, di dare spazio e possibilità, quindi, di far emergere nuovi talenti, nel nostro caso anche al fine di valorizzare i nostri beni archeologici e il lavoro profuso da tanti giovani appassionati di archeologia. Il lavoro di organizzazione e di divulgazione dell’evento è sicuramente molto complesso ed impegnativo, ma alla fine siamo tutti soddisfatti dei riscontri assolutamente favorevoli.

Di quante sezioni è costituito il bando del “Premio Letterario Himera 2015” e qual è il termine ultimo per aderire?

Il nostro Premio Letterario è costituito da tre sezioni. La sezione A è dedicata alla poesia inedita in Lingua Italiana, (tema libero); la sezione B è invece dedicata alla poesia inedita in Lingua Siciliana e nei Vernacoli d’Italia, affiancata da traduzione in Italiano, (tema libero); infine, la sezione C – “Città di Himera” prevede opere (edite e inedite) letterarie, storiche, di archeologia e di numismatica su Himera, incluse le tesi di laurea e di ricerca, video-documentari. Il termine del bando è fissato al 15 luglio 2015.

Vorrebbe aggiungere qualcosa in merito alla sezione speciale dedicata al meraviglioso Parco Archeologico di Himera, fondata dai greci nel 648 a.C., in prossimità della quale sorge la sua città?

A proposito di questo bellissimo sito archeologico, vorrei aggiungere che recentemente un lungo lavoro di scavo ha portato alla luce una necropoli con 9.500 sepolture di imeresi vissuti tra il VI e il V secolo a.C., compresi altri materiali di particolare rilievo. Una grande scoperta, che consente di ricostruire come vivevano le colonie greche in quel periodo. Nei pressi di Himera, abbiamo un meraviglioso Antiquarium aperto al pubblico, dove si possono ammirare una moltitudine di reperti.

Dove e quando si svolgerà la cerimonia di premiazione?

La Cerimonia di premiazione si svolgerà a Termini Imerese il 27 settembre 2015, (data da confermare), nella splendida cornice della pinacoteca del nostro Museo Civico e il bando è reperibile sia nel sito del Comune di Termini (www.comuneterminiimerese.pa.it), che in altri siti. (Email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)

All’interno della vostra Associazione si svolgono diverse attività di carattere socio-culturale. Particolarmente toccante la serata che si è tenuta presso il New Yachting Club di Termini Imerese lo scorso 11 giugno. Un momento di intensa condivisione fra poeti provenienti da vari punti della Sicilia, musica e danza. Come è stato recepito il messaggio di tale iniziativa fra le persone intervenute?

L’evento dell’11 giugno ha arricchito la IV Fiera Nautica, che si è svolta al Porticciolo Turistico di Termini Imerese e l’obiettivo è stato quello di lanciare un messaggio d’amore e di fratellanza fra tutti i popoli del Mediterraneo, attraverso canti e poesie recitate dagli stessi poeti, per meglio trasmettere il phatos da cui avevano tratto ispirazione. In un silenzio, che oserei definire religioso, si sono alternate tante lingue, come tanti dialetti, ma il sentimento che aleggiava era uno solo, quello della fratellanza universale, reso ancor più forte e tangibile dalla presenza di un folto numero di giovani immigrati, ospiti della Comunità Alloggio di Sant’Anna, provenienti da vari Paesi dell’Africa e dall’India. Essi si sono alternati in esibizioni nella loro madrelingua con l’artista italo-francese Francesca Guajana, che ha recitato una sua lirica. Vorrei cogliere l’occasione per ringraziare tutti i partecipanti.

Vorrei concludere con una domanda di carattere personale: lei è la bisnonna più giovane d’Italia e quando me l’ha detto, quasi stentavo a crederci. La creatività non è mai un fatto isolato all’interno di una famiglia. Nel vostro albero genealogico continua ad essere presente lo stesso suo interesse verso le arti letterarie?

Ebbene si, sono la bisnonna più giovale d’Italia! Avevo 48 anni quando io, già precedentemente nonna, fui resa bisnonna dal nipote maschio che, per giunta, aveva meno di sedici anni. Il fatto destò interesse in tutto il sistema mediatico; tanti giornali e riviste trattarono questa singolare notizia. Mia figlia, allora trentenne, era una baby nonna, io bisnonna e c’era anche la trisavola, mia suocera, allora ancora in vita. La mia pronipote Alessia , alla quale in seguito si è aggiunto Giovanni, oggi è una splendida quattordicenne.

Credo che la creatività sia un dono innato nell’ essere umano e tra i miei cinque nipoti, come tra i due pronipoti, chi più chi meno, ognuno ha un proprio talento. Se qualcuno di loro eccellerà nelle arti letterarie… sarà il futuro a dirlo.

cari genitori cari bambini

In attesa della pubblicazione della nuova enciclica di Papa Francesco“Laudato si”sull’ecologia e la manifestazione in difesa della famiglia del 20 giugno prossimo a Roma, ho letto e dunque presento un ottimo libretto che la Mondadori ha pubblicato qualche mese fa, “Cari genitori, cari bambini”, una miscellanea dei discorsi di Papa Francesco riguardanti l’importanza della famiglia e del matrimonio cristiano che deve durare per sempre.

Ho ricevuto il libro in dono di fine anno dai genitori dei miei bambini della scuola primaria. Per il suo linguaggio semplice, il testo, potrebbe essere utilizzato come ottimo strumento dagli insegnanti di Religione per far conoscere l’importante magistero di Papa Francesco anche ai bambini della scuola.

Stiamo vivendo un periodo storico difficile per la famiglia e per i suoi legami che si sfaldano sempre più. “Papa Francesco ci offre la testimonianza sapiente e paterna del suo magistero e ci regala parole di fede e incoraggiamento non solo per il nucleo familiare in genere, ma per ogni suo componente (dai genitori ai bambini ai nonni) in particolare”.

Il testo curato da Giuliano Vigini, pubblica una raccolta di discorsi, tenuti dal 2013 al 2015, da papa Francesco non solo sull’ambiente familiare, della sua centralità, degli affetti, la maturazione dei figli. Il Papa parla anche di chi danneggia la famiglia nel suo crescere e nel suo aprirsi al mondo. Scrive Vigini nella presentazione: “ci sono, in realtà, ostacoli e distorsioni che ne frenano o appesantiscono il cammino….”, Per questo l’umanesimo cristiano a cui punta Papa Francesco – che non si stanca mai di richiamare – è la ricostruzione di un’ecologia umana in cui l’uomo sia ricondotto alla sua integrità, unità e dignità di persona, e il creato, così sfigurato per tanti aspetti nei suoi equilibri, sia restituito alla sua bellezza e armonia”. Tra le tante tematiche affrontate dal Papa con energia e determinazione tipiche del combattente, quella della difesa della famiglia, è la battaglia più importante, “in cui si gioca il destino di tutti”. In questa battaglia, c’è proprio la famiglia cristiana ad essere chiamata a rendere testimonianza nella quotidianità dell’esistenza per rendere la società più giusta e solidale. Le famiglie cristiane che di fronte a quelli che brandiscono la “bandiera della libertà”, e sostengono la “cultura del provvisorio”, devono con la loro testimonianza, affermare la sacralità di una promessa che è per sempre e che è proiettata nel futuro.

Guardando alla famiglia di Nazaret, a Maria, madre esemplare che ascolta, decide e agisce, e a Giuseppe, uomo forte e di animo grande, i coniugi cristiani trovano il loro modello di fede e di speranza. I discorsi scelti da Vigini, riguardano spesso i temi connessi all’infanzia e alla vecchiaia.“Bambini e anziani rappresentano i due poli della vita e anche i più vulnerabili, spesso i più dimenticati”. Pertanto in una società dove pare trionfare una cultura di morte, come ben diceva san Giovanni Paolo II, mi sembrano profetiche le parole di Papa Francesco, pubblicate alla fine del libro: “Cari fratelli e sorelle, i bambini portano vita, allegria, speranza, anche guai. Ma la vita è così. Certamente portano anche preoccupazioni e a volte tanti problemi; ma è meglio una società triste e grigia perché è rimasta senza bambini!A noi italiani, europei, la risposta. In Italia, ormai da tempo, siamo al suicidio demografico, non nascono più bambini, i giovani non si sposano, anzi non hanno più neanche il desiderio. Le conseguenze di questo rifiuto sono abbastanza tragiche, si pensi alle pensioni. Il futuro per gli italiani non promette nulla di buono.Ma ritorniamo al libro, il Papa lo sa che il matrimonio e la famiglia sono in crisi. “Viviamo in una cultura del provvisorio, in cui sempre più persone rinunciano al matrimonio come impegno pubblico”. Per papa Francesco, “Questa rivoluzione nei costumi e nella morale ha spesso sventolato la bandiera della libertà, ma in realtà ha portato devastazione spirituale e materiale a innumerevoli esseri umani. Specialmente ai più vulnerabili”. Pertanto il Santo Padre è convinto che il declino del matrimonio sta portando alla povertà e auna serie di numerosi problemi sociali, che colpiscono principalmente, le donne, i bambini e gli anziani.

Per Papa Francesco occorre insistere su questi pilastri fondamentali che reggono una nazione, purtroppo da decenni i nostri governi sia di destra che di sinistra non hanno capito l’importanza fondamentale della famiglia e dei figli. Il matrimonio per sempre e la famiglia naturale con figli allo Stato conviene. Occorre aiutare i giovani a superare soprattutto “la mentalità dannosa del provvisorio” e di avere il coraggio di cercare l’amore forte e duraturo, andando controcorrente.

Il Papa ci invita a non cadere “nella trappola di essere qualificati con concetti ideologici. La famiglia è un fatto antropologico, e conseguentemente un fatto sociale, di cultura”. La famiglia non è né conservatriceprogressista, “la famiglia è famiglia!”.

Il Papa ci invita a non lasciarci condizionare dai concetti di natura ideologica. Infatti per la prossima manifestazione di Roma, sono stati invitati tutti, senza sigle partitiche o associative. A questo proposito monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara, aderendo alla manifestazione promossa dal comitato “Difendiamo i nostri figli”. Stop gender nelle scuole”, in un comunicato ha detto C’è la volontà di distruggere la radice profonda e culturale del nostro popolo. Quello che è in questione non è soltanto la difesa del grande tesoro della tradizione della famiglia cattolica - che è stata il soggetto vivo ed attivo per secoli della vita sociale - ma la possibilità di una libertà autentica della persona in tutte le fasi della sua vita, dalla nascita fino alla fine. Penso alla cura della libertà della persona come difesa della vita e della sua sacralità, come difesa di ciò che la natura ha stabilito per quanto riguarda la procreazione; ma anche alla difesa della libertà di educazione, che è strettamente connessa alla libertà della vita.

Tuttavia la difesa della famiglia deve interessare tutti.

Certo Papa Francesco è consapevole che al giorno d’oggi per formare una famiglia, ci vuole coraggio, le difficoltà sono tante, però occorre precisare che “i nostri nonni si sono sposati in condizioni molto più povere delle nostre, alcuni in tempo di guerra, o di dopoguerra…Dove trovavano la forza?”. E’ consapevole che essere genitori è faticoso, però bisogna trovare il tempo di giocare con i propri figli e soprattutto i nostri giovani che soffrono di orfandad, cioè di orfanezza, dice spesso il Papa. “I giovani sono orfani di una strada sicura da percorrere, di un maestro di cui fidarsi, di ideali che riscaldino il cuore, di speranze che sostengono la fatica del vivere quotidiano”.

I figli sono un dono di Dio, “una società avara di generazione, che non ama circondarsi di figli, che li considera soprattutto una preoccupazione, un peso, un rischio, è una società depressa”. Il testo offre tanti e importanti spunti di discussione come quello della presunta povertà delle famiglie numerose, per Papa Francesco, queste sono opinioni semplicistiche: “…la causa principale della povertà è un sistema economico che ha tolto la persona dal centro e vi ha posto il dio denaro; un sistema economico che esclude sempre i bambini, gli anziani, i giovani senza lavoro(…) e crea la cultura dello scarto che viviamo”. Termino con l’invito del Papa a difendere le famiglie dallenuove colonizzazioni ideologiche, che attentano alla sua identità e alla sua missione.

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