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Al “Teatro Aurelio” di Roma domenica 10 ottobre si è conclusa la V° edizione del Premio Letterario di Poesia “Scriviamo Insieme 2015”, che ha visto premiati, per la Poesia, la Narrativa e il Libro edito, sia poeti e scrittori già presenti e conosciuti nel panorama letterario, che autori esordienti; fra essi alcuni giovani.

Inoltre, sono stati conferiti numerosi Premi Speciali di Giuria e Segnalazioni Speciali. Agli autori risultati finalisti sono stati consegnati Attestati di Merito e Medaglie ricordo.

Anche quest’anno il Premio è stato patrocinato da Roma Capitale - XIII Municipio Roma Aurelio e si sono iscritti autori di tutte le Regioni italiane, con una prevalenza dal Centro. Inoltre, sono pervenute opere provenienti da Paesi europei, come Francia, Danimarca, Romania, Svizzera, Irlanda, Svezia, Albania ed anche extraeuropei, come Israele. Una conferma del sempre crescente successo di questa importante manifestazione letteraria.

Il Premio “Scriviamo Insieme” è stato istituito nel 2011 dall’omonima Associazione Culturale, il cui Presidente è Vittorio Scatizza, raffinato scrittore e poeta. Egli dedica gran parte del suo tempo all’organizzazione di questo consueto appuntamento con la cultura, che riscuote ogni anno lusinghieri consensi.

La Giuria è sempre costituita da docenti ed esponenti del mondo culturale di un certo spessore, fra i quali personaggi noti, come lo scrittore e saggista Dario Pontuale e il poeta e scrittore Mario Carlo Angelo Dotti. Questo è sicuramente un aspetto favorevole, poiché conferisce al concorso una connotazione ancor più prestigiosa.

Tantissime le persone presenti in sala, nonostante le condizioni meteo particolarmente avverse domenica scorsa nella Capitale, come ha sottolineato il Presidente Scatizza nel suo discorso di apertura.

Vittorio Scatizza e la Vice Presidente dell’Associazione Flora Speranza hanno collaborato con la Giuria per la sola sezione C (libro edito di narrativa).

Ideare, progettare ed organizzare un premio letterario non è cosa da poco; ma quando al termine della maratona si raccolgono risultati entusiasmanti, ogni sforzo trova appagamento e la mente degli organizzatori ora è già proiettata all’edizione del prossimo anno. Tutto questo per dare continuità ad un interessante progetto di promozione e divulgazione della cultura, insita allo spirito dell’Associazione.

Partendo dal presupposto che l’istruzione, in primis, rende l’uomo libero, è facile comprendere la fondamentale importanza per ogni essere umano di un bagaglio culturale ampio, eterogeneo e per quanto possibile approfondito. Un premio letterario ben strutturato aiuta a contrastare la crisi della Cultura, della quale tutti parlano, ma pochi sono realmente in grado di proporre progetti socio-culturali di una certa valenza.

Nel nostro Paese, conosciuto dovunque per le proprie radici artistiche e culturali, dovrebbero essere maggiormente promosse tutte le iniziative volte a dare la possibilità ad ognuno, partendo dai giovanissimi, di mettersi in gioco, di esprimere la propria creatività in versi o in prosa; opportunità che non si limitano, quindi, alla pura competizione, ma costituiscono validi strumenti di confronto dialettico ed interculturale.

L’istruzione ci consente di comprendere in modo inequivocabile ciò che accade intorno a noi, permette di essere consapevoli dinanzi a qualsiasi situazione. La lettura di un libro struttura il nostro pensiero, arricchisce la nostra personalità e costituisce una fonte di arricchimento non solo culturale, ma anche etico-morale.

La magia della lettura sta proprio nel regalare sensazioni e nel contempo fornire insegnamento, anche se, talvolta, non si riesce a scorgerne subito la sua utilità; ma prima o poi, nel lungo percorso esistenziale, finiamo sempre per ritrovarci ed anche riconoscerci in uno stato emozionale o in una vicenda umana conosciuta ed indirettamente vissuta attraverso la lettura di un libro o di una poesia.

In buona sostanza, l’importanza della lettura trova la sua sintesi in questa citazione del famoso scrittore americano Morley: “Quando si vende un libro a una persona non gli si vendono soltanto dodici once di carta, con inchiostro e colla, gli si vende un’intera, nuova vita. Amore, amicizia e navi in mare di notte; c’è tutto il cielo e la terra in un libro, in un vero libro”.

Un premio letterario, rappresenta una valida palestra per i giovani che si affacciano nel panorama culturale, oltre ad essere, per coloro i quali hanno già all’attivo un’esperienza consolidata, un’ efficace possibilità per continuare a crescere intellettualmente ed interiormente.

Sulla base di queste considerazione, nasce lo spirito costruttivo che guida ed illumina la strada dei membri di questa Associazione Culturale; la cultura va alimentata giorno per giorno, con la scrittura, la lettura, la poesia.

La poesia vuole parlare al mondo, entra nella sfera delle emozioni, dei sentimenti di chi scrive e di chi ascolta, scruta i travagli dell’anima, è un immersione dentro gli strati più irriducibili del linguaggio, un’ansia di scavo.

L’Associazione “Scriviamo insieme” è nata proprio per istaurare e far crescere il confronto interculturale fra i propri iscritti e tutte le persone che annualmente partecipano al concorso, per esprimersi attraverso le proprie opere letterarie e poetiche, conferendo ognuno un prezioso contributo alla cultura.

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Lo scorso 27 settembre 2015 presso la sede dell’Aula Consiliare del Comune di Termini Imerese (Palermo) si è svolta la cerimonia di premiazione della terza edizione del “Premio Nazionale di Poesia Himera” che, anche quest’anno, ha dedicato una sezione speciale al sito archeologico di Himera, antica colonia greca fondata nel 648 a.C.

L’evento culturale è stato organizzato e promosso dall’Associazione “Termini d’Arte”, sotto il patrocinio del Comune di Termini Imerese e del “Parco Archeologico di Himera” e questa edizione, come le precedenti, ha ottenuto grandi consensi grazie al costante impegno e alle energie profuse dal Presidente Rita Elia e dai soci.

Interessante il discorso introduttivo della poetessa e scrittrice Rita Elia, che verteva in primis sul ruolo apicale della poesia nelle arti letterarie e sull’importanza del coinvolgimento dei ragazzi in età scolare all’interno di iniziative di carattere socio-culturale.

Un particolare richiamo alla sezione speciale C del “Premio di Poesia Himera 2015”, dedicata anche quest’anno al sito archeologico. Auspicabili l’estensione della partecipazione al premio letterario ai più giovani ed anche la proposta di effettuare la premiazione del prossimo anno all’interno del Parco di Himera, la cui suggestiva cornice potrebbe incisivamente indirizzare le scolaresche verso la cultura e sollecitarne il rispetto per la memoria nei riguardi delle proprie origini. Questa intenzione è già stata espressa ad alcuni dirigenti scolastici, fra i quali la Preside dell’Istituto “Tisia d’Imera”, prof.ssa Lia Pinello, assolutamente in linea con il progetto.

Il prof. Tommaso Romano, uomo di pregiata caratura, poeta e saggista, docente liceale, Presidente onorario di “Termini d’Arte”e Presidente della Commissione Giuria per la poesia, ha indirizzato un aulico ed universale messaggio di invito alla cultura, tanto forte da contrastare efficacemente la digressione delle discipline afferenti l’arte e la cultura, in atto in questi ultimi anni nel nostro Paese e non solo.

Dall’alto della sua competenza, ha sottolineato il contenuto icastico della poesia in lingua siciliana, in virtuoso e costruttivo contrasto con la lingua italiana. Anche quest’anno numerose le opere in concorso e molte di esse rimandano alla prestigiose radici culturali della sua amatissima Terra, che nel Medioevo veniva raffigurata a forma di cuore, in una felice, quanto simbolica allegoria.

Inoltre, egli ha posto l’accento sulle oggettive difficoltà alle quali si va incontro in questo difficile momento storico nell’organizzare, in nome della cultura, un premio letterario o iniziative del genere.

Fra le autorità, oltre al prof. Tommaso Romano, erano presenti l’Assessore alla Cultura, dott.ssa Donatella Battaglia, la Direttrice del Parco archeologico di Himera, dott.ssa Agata Villa, il vice-sindaco di Trabia dott.ssa Marianna Piazza.

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L’evento, presentato dalla talentuosa e solare attrice Miriam Fricano, è stata allietata dalle note del Maestro Roberto Peroverde, che ha accompagnato la brava soprano Chiara Fiorani in piacevoli intermezzi musicali, fra i quali la celebre aria della regina della Notte del “Flauto Magico” di W. A. Mozart.

Le letture delle opere premiate, sia in lingua italiana che in lingua siciliana, sono state effettuate da Sonia Nociforo e Maria Cancilla.

I premi sono stati consegnati dalla giovane Sasha Portale, elegante e puntuale nel ricoprire il suo ruolo.

Le riprese video sono state curate dell’operatore di “Teletermini” Salvatore Albamonte, mentre gli ampi servizi fotografici sono stati realizzati da Angelo Casà e Calogero Giarrizzo.

Nel corso della Cerimonia di Premiazione, è stato conferito il “Premio alla Cultura Città di Himera” a S.E. il Prefetto Gianfranco Romagnoli, scrittore con numerose pubblicazioni, marchigiano di origine, ma da anni residente a Palermo e due “Targhe all’Eccellenza” alle scrittrici e poetesse Adalpina Fabra Bignardelli e Daniela Cecchini.

I trofei delle premiazioni sono stati realizzati da artisti siciliani, fra i quali scultori di prestigio come il palermitano Pippo Madè, dal lungo percorso artistico segnato dalla sua amicizia con Renato Guttuso, al quale ha reso omaggio attraverso la mostra “Una finestra sul golfo - Omaggio a Guttuso”. Ha realizzato opere di prestigio a livello internazionale; non era presente all’evento poiché in prossima partenza per Vienna.

Vincenzo Gennaro, scultore nato a Petralia Soprana di ben nota esperienza, anche come ceramista. Ha insegnato presso l’Istituto d’Arte di Bagheria e le sue opere sono esposte in varie parti del mondo. Domenico Zora, artista cosmopolita, ha insegnato presso l’Accademia delle Belle Arti e attualmente è impegnato presso l’EXPO di Milano. Le sue opere sono presenti in numerose collezioni private e pubbliche non solo in Italia, ma anche in luoghi di pubblico interesse negli Stati Uniti e in Giappone.

Inoltre, hanno dato il loro apporto artistico Angela Argentino, insegnante siciliana di origine, che vive a Lefkada (Grecia) con la famiglia; donna veramente appassionata all’arte, ritiene l’insegnamento come un qualcosa di etico e magico e da anni si dedica alla pittura ad acquerello ed alla poesia.

Michele Russo, artista vivace ed interessante dalle notevoli capacità di espressione creativa, presente con le sue opere in numerosi spazi espositivi.

Carlo Puleo, eclettico fotografo e pittore di Bagheria, che ha iniziato ad esporre le proprie opere dalla metà degli anni ’60 ed è stato un assiduo frequentatore del “Circolo di Cultura” di Bagheria, dove ha conosciuto lo scrittore Leonardo Sciascia ed il poeta Ignazio Buttitta ed ha incontrato numerosi artisti futuristi. La sua presenza in sala nel corso della Cerimonia di Premiazione è stata notata con stima e simpatia dalle persone intervenute all’evento culturale.

Insomma, anche quest’anno, rispettando un registro artistico che viaggia con sobrietà e profondità sulle ali delle emozioni, al “Premio Letterario di Poesia Himera” hanno vinto in modo incontrovertibile l’arte e la cultura… Albo signanda lapillo!

 

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In occasione di alcuni recenti eventi letterari ho conosciuto tre giovani, Aurora De Luca, Giada Giordano e Francesco Gallina; dai nostri discorsi è emerso il loro forte interesse verso la poesia e le arti letterarie in generale. Questo mi ha profondamente colpito, sollecitando in me alcune riflessioni sulla crisi della cultura, che ha investito violentemente la nostra epoca.

Sarebbe opportuna un’analisi storica dei fatti che hanno determinato lo sgretolamento di alcuni valori-pilastro del tessuto sociale, con gravi ripercussioni a livello planetario: primi fra tutti, l’interminabile crisi economica difficile da contenere e l’alto tasso di disoccupazione , in particolare fra i giovani, che disorientati, cercano punti di riferimento fra gli adulti.

Spesso avverto un certo disinteresse da parte loro nei riguardi della cultura e nel contempo, una sorta di demotivazione verso l’approfondimento di un percorso scolastico, destinato innanzitutto ad arricchire il proprio bagaglio culturale.

Alla base della formazione di ogni individuo dovrebbe essere universalmente riconosciuto, a prescindere, il diritto alla cultura e all’istruzione. Al contrario, a partire dalle istituzioni, in questi ultimi anni ci si muove consapevolmente in senso opposto, con le logiche conseguenze.

Nonostante tutto, è certamente confortante constatare che esistono anche giovani motivati, volenterosi, a volte sorprendentemente creativi, che avvertono la necessità di nutrirsi di “pane e cultura”. Questi tre ragazzi, come tantissimi altri, ne sono la prova e ciò oggi rappresenta una speranza di cambiamento, del quale auspico possano esserne ben presto i diretti fruitori. E’ giunta l’ora di ricominciare a lavorare con entusiasmo e seriamente, nell’intento comune di realizzare al più presto un’inversione di tendenza, che porti benefici alle future generazioni.

In questa intervista a tre voci inizierò con Aurora De Luca, alla quale ho rivolto alcune domande.

Considerando la tua giovane età, sono piacevolmente ammirata dal forte interesse che dimostri verso le arti letterarie, in un momento storico in cui la cultura stenta a mantenere il ruolo di primo piano che le compete. Da cosa nasce la tua passione per la poesia?

La passione per le arti, o la passione in generale, non è un fatto di età, non lo è la letteratura. La poesia o è poesia o non lo è e questo non dipende dall’età. Esiste semmai un’età “interiore”, che non si conta sulla punta delle dita. Parlerei, piuttosto, di necessità; la poesia mi è necessaria come un organo incorporeo all’interno del corpo, un terzo polmone.

La poesia è creazione, immaginazione, ricerca ed introspezione. La tua chiave espressiva è innovativa e nel contempo classica. Ti riconosci in questa mia interpretazione?

Ho certamente un timbro mio, che - e questo me lo auguro - mi rende riconoscibile; un timbro che ha molto dell’istintuale, ma anche del ragionato. Il processo che rende poesia un complesso di parole è difficile da discriminare, come voler trovare l’attimo esatto in cui camminare diventa danzare. La mia chiave non è né creativa, né immaginifica, né introspettiva. Ho ben chiaro cosa per me sia poesia, ma quando scrivo non penso certamente a cosa sia la poesia: seguo la nudità delle parole, quando sanno in fatto di sonorità e quando, da sole, sanno dire. Se questo sia creativo, immaginifico, introspettivo, classico è una riflessione a posteriori, quando i giochi sono ormai fatti. L’atto iniziale è assai terreno, materiale, come possono essere materiali le parole.

Nell’arte ognuno di noi cerca di esprimersi nel modo più originale, pur avendo dei modelli dai quali trarre insegnamento. A quali autori si sente empaticamente più legata?

Nell’arte l’espressione più ardua da ricercare è quella che aderisce alla propria forma, che si plasma sulla propria personalità, al proprio carisma. Questo è originale.

Traggo immenso piacere dalla lettura dei romanzi, la grande prosa; quel piacere nient’affatto leggero è l’insegnamento per la mia poesia. Non posseggo una lista di nomi, sono volubile nelle “amicizie letterarie”, tradisco l’uno con l’altro, a seconda dell’inclinazione d’umore che ho. Non tradisco Neruda, lui no.

Ho un occhio di riguardo per Julio Cortàzar, il suo modo di cantare e di leggere, con occhio da poeta, altri autori; lui li tiene per mano passeggiandoci accanto. Altri vengono avanti, Virginia Woolf e la sua ragione che non si sottomette, Flaubert che ricerca la frase perfetta per rendere alla stupidità la sua grandezza e litigano adesso gli altri, perché non posso nominarli tutti!

Vorresti parlarmi del tuo libro di poesie “Materia grezza”. La tua è forse una personale ricerca dell’energia e della forza che sta all’origine degli umani sentimenti?

Materia grezza” non è un libro di poesie d’amore; è un libro, se vogliamo definirlo e trovargli un argine, sull’amore e un libro senza oggetto. Ma non vorrei affatto che restasse costretto entro questo canale. Materia Grezza, come tale, può essere qualsiasi cosa, portare la sua rivoluzione ovunque, è un diamante grezzo che rifrange la luce. La mia ricerca è in alcunché se non nella poesia stessa; cosa può avvicinarsi alla vita vera, pura, bella e brutale. La poesia è in alto, non è tutta umana.

Nelle tue poesie riesco a cogliere i tumulti dell’anima, in un dolce alternarsi di illusione e disinganno, espressi con una consapevolezza che lascia poco spazio ad espressioni melensi a banali. Nei tuoi componimenti ci sono riferimenti autobiografici?

Chuck Palahniuk scrive:

“La calligrafia. Il modo di camminare.

Il motivo decorativo delle porcellane che scegli.

Sei sempre tu che ti tradisci.

Ogni cosa che fai rivela la tua mano.

Ogni cosa è un autoritratto. Ogni cosa è un diario.”

Quanto ci sia di autobiografico è forse niente e tutto, quindi. L’autore deve essere alla poesia come Dio per l’Universo: deve esserci, ma non si deve vedere.

Per concludere, come immagini il futuro per voi giovani leve nell’universo culturale?

Lo immagino come è sempre stato. Le passioni non hanno mezzi termini e non vanno bene per gli “amori lenti”. La cultura la vedo come la non mediocre normalità, quella forza pura che distingue cosa è bello, cosa va salvato. Ma questo stendardo può essere portato alto, allo stesso modo, da altre passioni che non siano la Cultura. E’ la purezza, la cosa necessaria.

Conclusa l’intervista con Aurora, la parola passa ad un’altra promettente poetessa, Giada Giordano.

Noi ci siamo conosciute in occasione del Leopardi’s Day, l’ormai consueto appuntamento con la poesia dedicato all’anniversario della nascita del grande Giacomo Leopardi e curato dai poeti e scrittori Francesca Farina e Roberto Piperno. Io e la mia carissima amica Ester Cecere, poetessa di Taranto ma a Roma per l’occasione, abbiamo subito notato il tuo stile poetico, con tracce emozionali che rimandano al tema dell’Infinito, tanto caro al poeta recanatese. Vorresti parlarmene?

Trovo che Leopardi sia il poeta più rappresentativo non solo della sua epoca, ma anche del primo Novecento; un poeta-filosofo acutissimo, fine interprete di un periodo storico che, per consuetudini, si andava cronicizzando sotto l’egida del Post-Illuminismo e del Romanticismo ed anticipatore, per certi versi, del pensiero nietzschiano ed esistenziale del Novecento. Il limite sotteso al nostro tempo sta nell’incapacità di leggere l’attualità di un autore del genere. Siamo tutti, in qualche modo, debitori verso Leopardi, sebbene si pecchi nel trascurare la profonda portata filosofica del suo pensiero. “L’infinito” è l’opera esistenziale umana, che riflette un sentire atemporale e multivalente, atavico ed eclettico, anche letto in considerazione di quelle straordinarie, quanto mai sensibilmente affini opere di Caspar David Friedrich, dalle quali si evince un parallelismo con l’opera leopardiana, anche in merito alle riflessioni sulla caducità umana, che da sempre accompagna l’uomo. E’ un sentire che rischia di cadere nell’oblio di una cultura ipertecnologica, lontana da veri e propri punti di riferimento.

La riscoperta di un classico deve assurgere alla funzione di garanzia di continuità. In Leopardi è presente, con velato umorismo e allo stesso tempo malinconica lucidità, la consapevolezza lungimirante sulla condizione dell’uomo, la sensibilità sopraffina del genio e la capacità di visione, che da sempre lo hanno reso a me poeta caro; per questo ragione la mia poesia non è altro che il tentativo di omaggiare l’uomo-poeta, radicandolo nel mio tempo storico, per farne il fondamento di un sentire e di un bisogno comune.

Parlando con te ho subito compreso che le arti letterarie ti appartengono da quando eri in tenera età. Quando hai acquisito la consapevolezza di ciò?

Sin da bambina la scrittura mi ha permesso di scoprire la parte più profonda del mio Io e all’età di otto anni ha rappresentato il terreno dell’esplorazione e del gioco. Non ero solita giocare con le bambine, ma ho sempre avuto come amici i libri, anime solitarie come me, profonde. Era forte il bisogno di raccontare, di raccontarsi. Scrivere è un atto solitario, ma la condivisione che ne scaturisce ha una portata molto più ampia, trasversale e a lungo termine. E’dunque un atto “sociale” quel che ne segue e trovo che sia allo stesso tempo un atto d’amore. Il mio primo racconto lo scrissi sull’onda dell’entusiasmo di alcune mie letture estive, (da Salgari ai racconti di Alla Poe) a otto anni, per poi stimolarmi narrativamente, durante la prima adolescenza, parlando con le letture di Dostoevskij e di tutti i grandi classici della letteratura dell’Ottocento e del Novecento, libri che amavo al solo pensiero e al semplice contatto e che leggevo l’estate al mare alla casa dei nonni.

Ora che non ci sono più, rappresentano un collante meraviglioso con loro, e li tengo con me nella mia casa a Roma.

la sfera emozionale dell’artista è sempre caratterizzata da una singolare sensibilità. Quali sono le difficoltà che una persona giocane, come te, incontra quotidianamente nel remare, in un certo qual modo, controcorrente rispetto al modo di comportarsi dei più?

Credo che la più grande difficoltà sia proprio quella di essere giovani in un Paese non pensato per i giovani. La politica è ancora composta di classi dirigenti lontane dai nostri interessi e bisogni e da un sistema meritocratico e la paura più grande è quella di non riuscire, o che nel proprio emergere si venga ostacolati da un sistema che la pensa diversamente. Tuttavia, questo rappresenta anche una sfida ed un invito a non arrendersi mai. Siamo tantissimi e la discriminazione che ne consegue è evidente, se ci si sofferma ad indagare sui limiti generazionali, determinati a loro volta da errori antecedenti, appartenenti alla cultura di un contesto storico che ha visto nascere e crescere i nostri genitori. Le colpe non possono mai ricadere da una sola parte. L’invito che rivolgo, se questo mi si concede, è quello di svecchiare le istituzioni che, dall’alto dell’Olimpo hanno perso l’interesse vero, vivo per la questione sociale. La cultura è anche politica e la politica non può esimersi dal rispondere anche alle accuse di responsabilità, che vengono mosse nei suoi confronti. Siamo tanti, come ripeto, e confidiamo in un cambiamento che non debba necessariamente tradursi nell’utopismo di Tommaso Moro.

Qual è oggigiorno il ruolo della poesia, di fronte all’improcrastinabile urgenza di un cambiamento di rotta?

La poesia ha propria questo ruolo “rivelatore” di una coscienza, di un sentire storico, di un interesse collettivo; si fa elemento di denuncia e catartico di una condizione, come quella umana e dispiegandosi è specchio manifesto di una società. Urge il bisogno di un cambiamento, ma la stessa cultura sconta dei limiti insiti nelle proprie sovrastrutture e dunque alla poesia, come alle arti in genere, si pensa in termini del tutto stereotipati, confinandoli nella cerchia degli “addetti ai lavori”. Non credo la poesia possibile di definizioni e ghettizzazioni, tutto questo rischia di impoverirla, inaridendo anche quell’humus che diversamente sarebbe terreno fertile per i giovani che si avvicinano alla poesia.

Ho letto alcuni tuoi versi che cantano l’amore. Vorresti parlarmi da “moderna Erato” di questo atavico sentimento, che dalla notte dei tempi tutto muove?

“L’amor che move il sole e le altre stelle…” direbbe Dante, e mai espressione più giusta e allo stesso tempo più ancestrale, se pensiamo anche a “Giulietta è il Sole” di Shakespeare, o ai versi degli antichi Maori della Nuova Guinea, ci avvediamo di come l’amore e le stelle siano contemplate dagli antichi ed oggetto d’interesse astrologico ed astronomico, tesi a spiegare l’uomo e il senso della vita. Prediligo in questo Tagore, maestro dell’amore capace di una sensibilità poetica inusuale, al post-modernismo stilistico, che eccedendo in virtuosismi e manierismi, va a penalizzare l’emotività. L’amore che canto è il motore dell’universo, non solo carne, non solo mera comunione dei corpi, ma anima, vita, battito e anelito ideale verso una materia intangibile ma immanente. E’ ciò verso cui tende il credente, ciò che scrive il letterato, che canta il musico e allo stesso tempo è il soggetto di tale sentimento: soggetto-oggetto, in definitiva, l’amore è la chiave.

Sei una ragazza molto profonda, matura e culturalmente preparata. Come ti confronti dialetticamente con i tuoi coetanei?

Con la giusta consapevolezza dei meriti e dei talenti ed anche delle passioni altrui; dell’importanza di uno scambio che è e deve essere arricchimento. Amo l’eclettismo e i miei stessi interessi non sono confinati alla sola letteratura. Se Piaget reputava l’intelligenza “adattamento”, credo che la migliore forma di adattamento oggi, sull’onda di quella decantata flessibilità dal punto di vista sociale, sia nella capacità di rinnovarsi costantemente, e leggere non sono libri, ma anche la realtà di riferimento, ciò che ci circonda con occhio critico e soprattutto l’essere critici con se stessi. Il merito è nel porgere mano e orecchio al sentire comune…

Infine, la parola a Francesco Gallina che, da buon cavaliere, ha ceduto il passo alle sue coetanee.

Sei un ragazzo estremamente motivato, direi eclettico. Se ti chiedessi di presentare il tuo biglietto da visita, cosa mi diresti?

Ho ventitré anni e studio Lettere all’Università di Parma. Sono autore di opere di poesia e narrativa, con preferenza per il genere giallo e storico. La mia opera prima edita è il thriller psicologico “De Perfectione” (Helicon Editore) che, in questi ultimi due anni, ha ricevuto un ottimo riscontro da parte del pubblico e della critica: per un ragazzo della mia età non è cosa da poco. Scrivo anche articoli, saggi accademici e sceneggiature teatrali. Sono inoltre fondatore di BUSILLIBLOG, un blog che tratta di temi legati alla cultura con un taglio originale e politically scorrect , insomma, senza peli sulla lingua. Tengo a ricordare che non si nasce scrittore, non si nasce nulla: solo attraverso uno studio motivato, solido e articolato è possibile aspirare a creare qualcosa di degno, benché la strada sia lunga, accidentata e fatta di “sudate carte”. Talento ed ispirazione non sono sufficienti.

La tua tesi di laurea triennale in Lettere e Filosofia verte su “La poetica musicale del Decameron di Boccaccio”. Potresti parlarmi del percorso che ti ha condotto a tale raffinata scelta?

La mia tesi di laurea si è aggiudicata il primo posto all’edizione 2015 del Premio Casentino, fondato da Carlo Emilio Gadda e diretto da Silvio Ramat: sarà pubblicato a breve per i tipi della Helicon. Il mio sito personale: https://sites.google.com/site/francescogallinascrittoreparma/.

L’idea è nata, innanzitutto, per rivedere e criticare la tradizione bembiana, per cui ancora oggi è naturale che nella scuola italiana si usino schemi fallaci, come credere che il Decameron sia solo una raccolta di novelle, dimenticando, ad esempio, che la brigata fiorentina musica, canta e danza allegre ballate alla fine di ogni giornata. Non solo: il Decameron si colloca nel solco della rivoluzione musicale trecentesca, divenendo fonte preziosissima di informazioni riguardanti strumenti, canti religiosi e profani, danze e generi lirico-musicali differenti. La scelta dell’argomento deriva, dunque, da una lettura originale del capolavoro boccacciano che, se non nuova, non ha però ricevuto ancora la giusta attenzione della critica contemporanea.

Il tuo primo romanzo ha ottenuti lusinghieri consensi in numerosi premi letterari. Da cosa nasce la tua passione per il genere “thriller”?

La natura di “De Perfectione” è eterogenea: in esso, giallo, thriller e noir si intrecciano, dando vita a una storia che è ambientata ai giorni nostri, ma che affonda le proprie radici negli anni ’60 del secolo scorso. Tanti i temi trattati: dai limiti della scienza all’etica della medicina, dalla scuola al viaggio in alcune delle località più affascinanti dell’Italia settentrionale. In questo caso, giallo e thriller mi hanno permesso di creare la giusta tensione attorno a una vicenda che vede, fra i protagonisti, una micidiale setta di medici criminali. Inoltre, credo che il thriller, se associato al realismo, come in “De Perfectione”, permetta di trattare argomenti di stretta attualità, anche quando il periodo storico scelto è distante dal nostro: ad esempio, il racconto “Voi che con gli occhi mi passaste ’l core” giallo storico immerso nella Londra vittoriana, mi ha dato l’occasione di trattare con tinte mistery il tema dell’omosessualità e della pedofilia; “La vera storia Tommaso Vendramin” è ambientato nell’Italia del Secondo Dopoguerra e il protagonista è affetto dalla Sindrome di Down; “Romeo” è una lettera dal fronte che esprime l’insensatezza e gli effetti catastrofici della guerra sul corpo e sulla psiche umana.

In questa opera affronti diverse tematiche, fra le quali quella delicatissima della scuola e del ruolo dei docenti. Vorresti spiegarmi qual è il tuo pensiero a riguardo?

La scuola sta attraversando un periodo grottesco. La scuola si fa sempre più industria, sempre meno orto in cui coltivare il pensiero. E questo è un grandissimo problema: i bambini di oggi saranno i lavoratori di domani. Educarli con serietà è una missione. Giona Alighieri, il protagonista di “De Perfectione”, vive sulla propria pelle il fallimento di una buona parte dell’istituzione scolastica, poco meritocratica, troppo lassista. La bacchetta novecentesca era violenza, il permissivismo odierno – dovuto a un più radicato “interventismo” genitoriale – è ignoranza: sarebbe il caso di trovare una giusta via di mezzo e investire sulla figura dell’insegnante, continuamente vituperata e frustrata dalla politica. D’altronde, i professori sono “quelli che si fanno tre mesi di vacanza”, insomma, fannulloni. Sarebbe ora di finirla con le fesserie e capire quando dalla passione e preparazione del docente dipenda la crescita intellettuale dell’allievo.

Sta frequentando il biennio che a breve ti porterà alla laurea specialistica e dopo?

E dopo si aprono tre strade principali: editoria, giornalismo, insegnamento. Non nascondo il desiderio di seguire un dottorato in Italianistica, magari contemporaneamente al lavoro: insegnare all’Università sarebbe il mio sogno. E non uso il condizionale a caso.

Vorresti spiegarmi le difficoltà di un giovane che, esattamente come te, si trova dinanzi a notevoli incertezze nel fare programmi per il futuro?

La principale difficoltà è convincere gli altri – i datori di lavoro – della propria preparazione. Molti vorrebbero che un ventenne avesse alle spalle chissà quale esperienza, dimenticando che l’esperienza si fa solo lavorando. Farsi notare con un curriculum di qualità può essere un ottimo inizio. Per il resto, è inutile farsi instupidire da false promesse, come quella per cui “seguendo questa facoltà lavori subito, seguendo quest’altra non lavorerai mai”.

Qual è il messaggio che vorresti rivolgere ai tanti giovani che, scoraggiati dalle problematiche della nostra epoca, hanno abbandonato l’interesse verso lo studio?

Il più grande problema del secolo XXI non è la crisi economica, ma la mancanza di idee e il crederci sempre e comunque in crisi, che c’è – inutile nasconderlo – ma non deve essere nemmeno generalizzata. Lo studio, nel senso classico di “stare sui libri”, non è la via della felicità e non è sempre la strada migliore per affrontare la vita. Mi spiego meglio: la scuola obbligatoria è fondamentale, ma non ci si dimentichi che ogni indirizzo ha la sua dignità, il liceo scientifico tanto quanto un istituto professionale.

Non sopporto di vedere ragazzi che vengono spronati a proseguire la strada dei genitori, quando invece vogliono seguirne un’altra. Anche fare il meccanico prevede uno studio e un’utilità sociale, non secondaria rispetto a un medico. Anche i luminari hanno un’auto che si guasta e non vanno a farsela sistemare dai loro colleghi, ma da un metalmeccanico. Per questo vi dico: fate quello che più vi piace; non avvelenate la vostra vita dietro ai sogni di altri, ma seguite i vostri interessi, purchè sempre con impegno e senso del dovere. Ne godrà la società. Ne godrà il mondo del lavoro, con gente più seria e motivata. Ne godrete voi.

Pompeo Maritati Nasce a Lecce il 4 aprile del 1949.  Padre leccese e madre ateniese.

Già nei primi anni 70 inizia ad operare nell’ambito della promozione Finanziaria per conto di una società dell’IMI, ottenendo nel contempo l’abilitazione all’esercizio della consulenza del lavoro.

Nel 1977 viene assunto presso uno stabilimento del Gruppo Fiat Auto uscendone nel 1983 con la funzione di Direttore Amministrativo, avendo peraltro acquisito esperienze significative nelle Relazioni Industriali e Societarie.

Dal 1983 al 1987 è stato alla Direzione di una società parabancaria, emanazione di un pool di 12 banche pugliesi.

Dal 1987 entra a far parte dell’Auditing centrale di una Banca a carattere nazionale, occupandosi dell’analisi dei processi aziendali e dell’area dei controlli interni, partecipando alla progettazione e realizzazione di nuovi modelli operativi. E’ in quiescenza dal 2007.

Coinvolto dall’amore verso la cultura umanistica, dopo 35 anni di studi e ricerche rivolte esclusivamente al settore gestionale e della finanza, fonda nel 2005  l’”Associazione Italoellenica” con sede in Zollino,  nel cuore della Grecìa Salentina, di cui ne è il Presidente .

E’ socio di Comunità Speranza Associazione di Volontariato Carcerario, operando all’interno della Casa Circondariale di Lecce, in qualità di Assistente Volontario.

Infine nel corso del 2011 promuove la nascita di un comitato promotore per la costituzione del Club della Grecìa Salentina per l’UNESCO, aderente alla Federazione nazionale dei Club e Centri UNESCO d’Italia e nel 2014 gli viene conferita la Presidenza Onoraria.

E’ Socio Onorario dal Club di Bisceglie per l’UNESCO e dei Leoni di Messapia.

Questa e la presentazione del suo nuovo libro parlando con il Corriere del Sud :

Perché parlare della Grecia dal 1949 al 1974 ?

Queste due date per la storia greca contemporanea,  rappresentano due punti d’arrivo, ovvero il termine di  due drammatiche pagine  della sua storia martoriata. Venticinque anni in  cui il popolo greco, per certi aspetti, non è riuscito a riappropriarsi della propria storia, delineata come per il passato aldilà delle sue frontiere.

Nel 1949 finalmente cessa la guerra civile. Terminata l’occupazione italo-tedesca, per tamponare il dilagante favore popolare alle politiche di sinistra, gli anglo-americani, sostenuti da una casa regnante che  spesso ha remato contro gli interessi del popolo, contribuì a porre in essere un’ atroce guerra civile che durò ben quattro anni.  Mentre in tutti gli stati d’Europa, dopo la fine della seconda  guerra mondiale, nel 1945, procedettero alla ricostruzione, la Grecia proseguì il conflitto all’interno delle sue frontiere.

Il 1974, invece,  segna la fine della dittatura dei colonnelli che presero il potere con il golpe del 21 aprile del 1967.

Dopo tutti questi anni ecco finalmente maturare l’idea di scrivere un diario legato ai ricordi ed alle esperienze elleniche. Un diario personale, soggettivo,  che a differenza del solito diario, è incastonato nella mia personale visione, dei fatti politici, economici e sociali che hanno segnato la storia della Grecia di quei venticinque anni. Eventi di natura personali, ricordi legati alla famiglia, rivissuti e inseriti tra i fatti salienti che in quegli anni hanno condizionato o almeno attratto l’attenzione della pubblica opinione, in poche parola la Grecia vista attraverso i miei occhi.

Un percorso nella storia e nella cronaca ellenica. Un percorso che non ha alcuna velleità se non quello di essere ritenuta una semplice testimonianza di chi quegli eventi li ha vissuti direttamente o indirettamente. La maggiore e autorevole fonte è rappresentata dalla mia opinione, comunque frutto di ricerche e di numerosissime interviste. Un lavoro che mi auguro possa essere ritenuto 

un’attendibile rivisitazione storica, consapevole di non possedere quella necessaria esperienza per documentare attendibilmente eventi storici.

Ho riportato alcuni dei fatti che più degli altri hanno caratterizzato quei venticinque anni, augurandomi di aver fatto un lavoro scrupoloso e soprattutto obiettivo. Di tanto in tanto mi son fatto piacevolmente trasportare dai ricordi, rievocando sensazioni e sentimenti, tutti comunque riconducibili al mio universo ellenico.

Ho desiderato realizzare questo mio scritto con entusiasmo, passione e amore cercando di mettere in risalto le seguenti finalità e motivazioni:

1)      Comprendere quanto drammatica sia stata la Storia del Popolo Greco;

2)      una panoramica storica che ci fa capire da dove effettivamente arriva la crisi finanziaria ellenica che preoccupa oggi i mercati finanziari rivelando finalmente il vero volto della finanza;

3)      denunciare il degrado culturale di una Europa, che consente e approva, che un popolo dell’Unione Europea viva nelle difficili condizioni economiche e sociali che la politica di austerità  ha loro imposto;

4)      Conoscere la parte artistica, culturale, paesaggistica e romantica di una nazione faro della cultura europea.

Non è stata una fatica, al contrario, giorno dopo giorno, l’accavallarsi di idee, di ricordi era diventato un piacevole passatempo, motivo per cui posso asserire, alla fine della giostra,  con sincera onestà di pensiero, che mi sono divertito e soprattutto è stato romanticamente bello, per chi come me è rimasto fondamentalmente un romanticone, ripercorrendo gli anni più belli della propria vita: la giovinezza.

Boldrini

Carlo Bordini, nato a Roma il 2 settembre 1938, è un illustre poeta italiano, le cui opere sono state tradotte in spagnolo, svedese e maggiormente in francese.

Ha insegnato Storia Moderna presso l’Università “La Sapienza” di Roma, dove vive e sono numerose le sue collaborazioni giornalistiche con diverse testate.

Nelle sua ampia produzione letteraria egli affronta importanti tematiche, quali l’amore, la morte e il significato dell’esistenza con un singolare stile poetico, che rimanda ad alcune opere maggiormente rappresentative del grande Apollinaire e per certi versi, a quelle di Eliot e Gozzano.

Nelle liriche di Bordini la linea di demarcazione fra poesia e narrativa è sottile, ma tangibile; gli elementi poetici si alternano e si fondono in modo scambievole con quelli narrativi e ciò conferisce ai suoi versi un’impronta inconfondibile. Le sue poesie oscillano tra disperazione ed angoscia, anche se, paradossalmente, infondono nel lettore serenità.

Tutte le sue poesie dal 1975 al 2010 sono raccolte nel libro “I costruttori di vulcani”(Luca Sossella Editore). Il prefatore di questo volume Francesco Pontorno ricorda che: “Il primo ad accorgersi della grandezza di Carlo Bordini fu Enzo Siciliano”. Un’altra significativa opera di Bordini s’intitola “Polvere”, un poemetto di elevati contenuti.

Ha pubblicato anche opere di narrativa: “Pezzi di ricambio” (Empirìa), “Manuale di autodistruzione” (Fazi), “Gustavo - Una malattia mentale” (Avagliano).

Carlo Bordini ha in preparazione un nuovo libro, che probabilmente sarà pubblicato il prossimo anno; si tratta di un romanzo, che segue una trama particolare.

Ho avuto l’opportunità di intervistarlo proprio alcuni giorni fa ed è stata un’esperienza di grande valore, sia sotto un profilo umano, che intellettuale.

Attraverso le sue parole ho avuto conferma dell’importanza del ruolo della poesia nella società.

Il suo primo approccio con la poesia risale ai tempi del liceo. Che ricordo ha di quel periodo?

In quel periodo ho attraversato una profonda crisi e scrivevo per cercare di capire quello che mi stava succedendo. Scrivere mi dava sollievo. Scrivevo perché, nel caos in cui vivevo, ero desideroso di dare ordine alla mia vita. Poi mi sono accorto che i pochi amici a cui facevo leggere quello che scrivevo ci si riconoscevano. Da ciò, la consapevolezza che non parlavo solo della mia crisi, ma anche della crisi degli altri.

Lei è stato docente di Storia Moderna presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Quali difficoltà ha attraversato nel rapporto con gli studenti durante il periodo della contestazione?

Ho frequentato “La Sapienza” quando il periodo della contestazione era meno vivace. Comunque non ho avuto difficoltà nel rapporto con gli studenti, poiché ci rapportavamo in modo assolutamente empatico.

I suoi romanzi monologanti, così come i racconti e le poesie, si occupano esclusivamente di “perdenti”; oserei dire che sono un “inno ai perdenti”. Posso chiederle se anche lei si ritiene un “perdente”?

Personalmente non credo di essere un perdente. Tuttavia, in senso più generale, ho un po’ di diffidenza verso i termini perdente e vincente. Io cerco di descrivere uno stato di crisi. Dalle crisi si può uscire in vari modi; a volte anche superandosi.

Nato a Roma nel 1938, (mi perdoni se cito la data), lei fa parte di quella generazione di scrittori e poeti romani, o romanizzati, come Valentino Zeichen, Patrizia Cavalli, Renzo Paris, Dario Bellezza, Luigi Manzi. Cosa ha in comune con questa generazione di poeti e cosa la differenzia da essi?

Forse ho in comune con loro un modo più diretto di affrontare la scrittura, rispetto all’altra “scuola” che è quella milanese. Però, devo dire che il mio è sempre stato un percorso autonomo.

Lei appartiene alla generazione che ha fatto il ’68. A suo avviso, cosa è rimasto oggi di questa esperienza?

Il ’68 fu il passaggio da una società gerarchica e risparmiatrice a una società edonistica e antiautoritaria. Dalla società dell’accumulazione alla società dei consumi. Fu una rivoluzione culturale che in alcune parti del mondo, tra cui l’Italia, si accompagnò anche a una rivoluzione sessuale. Al suo interno fiorirono alcune utopie sociali e libertarie. Per molto tempo tutti gli aspetti della vita, anche i più disparati, trassero origine da questa rivoluzione culturale. Oggi il processo sotto certi aspetti è inverso.

Si considera un poeta romano?

Credo di no; o almeno sono convinto di no nel senso che non faccio parte di nessuna tendenza poetica. Il mio percorso è autonomo. Il poeta a cui mi sento più vicino è Apollinaire.

Che cosa accomuna Roma alla sua poesia?

Ho molti amici a Roma, e stimo molto alcuni poeti romani. Ma, probabilmente, se fossi nato e vissuto in un’altra città scriverei le stesse cose e forse nello stesso modo.

La sua poesia è forse la più scettica e corrosiva del tardo Novecento; anzi, probabilmente è la poesia più nichilista di questo periodo. Conviene con questa mia analisi?

Penso di sì. Ma vorrei sottolineare il fatto che noi viviamo in un periodo storico dominato da enormi impulsi di distruzione e di autodistruzione.

Nel 2010 ha pubblicato con Luca Sossella Editore la raccolta di tutte le sue liriche “I costruttori di vulcani. Tutte le poesie 1975-2010”. A posteriori, come definirebbe la sua poesia?

Molto più vitale e molto più solare di quanto non sembri a prima vista. “I costruttori di vulcani “ è un libro solare; violento e vitale.

Nel corso degli anni, lei ha pubblicato romanzi di genere particolare, romanzi monologanti, come: “Manuale di autodistruzione” e “Una malattia mentale”. Inoltre, è di prossima uscita il romanzo “Memorie di un rivoluzionario timido”, sempre edito da Luca Sossella. Vorrebbe spiegarmi qual è il filo conduttore dei suoi romanzi e che tipo di rapporto esiste fra la sua narrativa e la sua poesia?

Il paradosso è che io scrivo una poesia in cui ci sono molti elementi narrativi, e scrivo una narrativa in cui ci sono molti elementi poetici. Credo che le mie opere di narrativa contengano più elementi “poetici” dei miei testi di poesia. Sotto molti aspetti sono anche testi più difficili. Credo di essere un ibrido. Se fossi un atleta correrei gli ottocento metri, una distanza che racchiude fondo e velocità, senza essere una vera distanza veloce, né una vera distanza di fondo; ma che contiene gli elementi di queste due distanze.

Il poeta e critico letterario Giorgio Linguaglossa ha definito la sua poesia come affetta da “una de-angolazione prospettica, che è quella strategia di messa in opera di un testo letterario con un inizio, ma non una fine, ma che all’interno dello sviluppo del racconto non segue un filo conduttore stabile, bensì un susseguirsi di punti di vista”; in altre parole, una sorta di miopia e di distopia al tempo stesso. Quale è il suo pensiero in proposito?

La realtà è molto complessa e quindi nella mia poesia vi sono voci di diversa natura, che si mescolano e si sovrappongono. Una volta un critico osservò che, da un punto di vista grafico, e quindi metrico, la mia poesia non aveva un andamento uniforme. La mia poesia, in effetti, è come un elettrocardiogramma o un encefalogramma, che registra i balzi del cuore e della mente; il che, in una realtà complessa come la nostra, mi sembra abbastanza normale. Credo che Linguaglossa abbia capito bene questo.

Il critico letterario Francesco Pontorno nella prefazione al volume di “Tutte le poesie” ha scritto che lei “impiega per i suoi testi materiale estraneo, scorie, o altra scrittura…insignificante. Collage, innesto, inserto” e che è un “poeta antiletterario”. Quali sono i motivi che l’hanno spinta a questa scelta tematica e stilistica?

E’ una vecchia tecnica inventata dai surrealisti. L’uso dei linguaggi estranei (spesso settecenteschi e ottocenteschi, oppure di linguaggi tecnici, burocratici, o di testi pubblicitari) ha la funzione di denudare il linguaggio. Fuori dal suo contesto “naturale”, in cui risulta quasi inavvertito, il linguaggio rivela la sua verità, il suo ridicolo, il suo orrore, la sua irrealtà , la sua assurda comicità e il suo significato profondo.

Vorrei concludere riproponendo la stessa domanda che ho rivolto a Giorgio Linguaglossa: ha ancora senso scrivere poesia oggi?

Recentemente sono andato a leggere poesie in un piccolo borgo dell’Appennino; a questa lettura hanno partecipato un paio di centinaia di persone, venute dai luoghi più disparati, anche piuttosto lontani. Dopo la lettura sono stati venduti alcuni miei volumi che erano in vendita lì.

Un uomo ha voluto che gli dessi una poesia che avevo letto e che ho scritto recentemente per mia moglie. Egli mi ha spiegato che suo figlio si è sposato da poco, e voleva che leggesse la mia poesia, definita “ironica e dolcissima”. Una ragazza ha comprato il mio libro, perché avevo letto una poesia intitolata “I gesti”. Mi ha detto che lavora assistendo bambini disabili e pensava che quella poesia avrebbe potuto servire loro.

La poesia può aiutare molte persone a capirsi e a vivere meglio la propria vita.

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