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Antonio Sgobba, classe 1983, è un giornalista Rai. Dal 2011 al 2016 ha curato la sezione culturale di IL, mensile de Il Sole 24 ore. Inoltre, ha collaborato con la Lettura del Corriere della Sera, Wired, Pagina 99 ed altre testate.
Di recente pubblicazione l'opera editoriale "Il paradosso dell'ignoranza da Socrate a Google" (Il Saggiatore) in cui l'autore intraprende un percorso filosofico e sperimentale sull'ignoranza, dal quale emergono puntuali riflessioni circa le contraddizioni e le illusioni che caratterizzano la nostra società. A partire dalle moderne tecnologie, che negli ultimi decenni hanno conferito all'uomo "il miraggio del sapere illimitato",  sconfinando talvolta nella perdita di una visione razionale di se stessi e quindi nell'autoinganno. 

La cultura è certamente legata ai valori etici dell’umanità. Sulla base di questa considerazione, come definirebbe il livello culturale dell’attuale tessuto sociale?
È un legame spesso ambiguo. Non è detto che sia positivo. Non è sufficiente essere colti per essere buoni. Non è neanche necessario. Si può essere buoni e incolti. E colti e malvagi. Goebbels era un uomo molto colto. L’attuale tessuto sociale, per esempio, è il più colto della storia dell’umanità. Non siamo mai stati così istruiti, non abbiamo mai avuto a disposizione così tanto conoscenza. Eppure mi sembra che ci rimanga ancora qualche problema da risolvere.

Stiamo vivendo un’epoca contrassegnata dall’alta tecnologia. L’avvento di internet garantisce ad ognuno la certezza dell’informazione, conferendo all’utente un certo “delirio di onnipotenza”, che  spesso si rivela paradossale. Il titolo del suo libro  “Il paradosso dell'ignoranza da Socrate a Google” evoca tale concetto. Cosa l’ha spinta a scrivere un’opera letteraria volta in tale direzione?
Ho scritto un libro sull’ignoranza perché l’ignoranza è una presenza ingombrante nel dibattito pubblico. Ne parliamo di continuo, il più delle volte per lamentarci, per lanciare appelli, allarmi, per parlare di emergenze.  Ma come può l’ignoranza essere un’emergenza se è una caratteristica tipica di ogni essere umano? Sono partito dal cercare una definizione di ignoranza, per scontrarmi col fatto che una definizione soddisfacente non c’è; non sappiamo neanche che cos’è l’ignoranza. Più di tutto ci sfugge la sua natura paradossale: crediamo che sia solo assenza di conoscenza. Non è cosi, ci dimentichiamo che con l’aumentare della conoscenza aumenta anche l’ignoranza. Internet ne è la dimostrazione più immediata: il più grande motore di conoscenza della storia dell’uomo, ma anche il più grande motore d’ignoranza.

Il filosofo e storico Norberto Bobbio afferma: Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non di raccogliere certezze. Mi sentirei di rivolgere questo pensiero, ma senza generalizzare, alle ultime generazioni, fortemente condizionate dal web e talvolta carenti di basi culturali nella loro formazione intellettuale. È d’accordo?
D’accordo con Bobbio. Ed è un invito che dovremmo raccogliere tutti, non solo i giovani. I giovani sono spesso il bersaglio di accuse ingiustificate. Non credo siano particolarmente ignoranti, in realtà sanno cose diverse da quello che sanno i più vecchi e da quello che i più vecchi ritengono importante. L’invito a non avere certezze e seminare dubbi io lo rivolgerei soprattutto a chi ricopre ruoli di responsabilità e di potere, dall’informazione alla politica.

Condivido in pieno la sua conclusione. Per associazione di idee, mi viene in mente Socrate. Il pensiero di colui che di diritto è il padre fondatore dell’etica o filosofia morale, si sviluppa intorno alla consapevolezza di sapere di non sapere, inteso come limite di non conoscenza definitiva. Tale constatazione dovrebbe stimolare il desiderio di conoscere, contrariamente alle dinamiche mentali che determinano l’effetto Dunning-Kruger - "siamo circondati da ignoranti inconsapevoli, o forse lo siamo anche noi" - citando un interessante passaggio nell’introduzione del suo libro. Quindi, se lo fossimo, come potremmo saperlo? Un chiaro invito alla conoscenza dei propri limiti… Cosa vuole aggiungere?
Che la conoscenza dei propri limiti è sicuramente un buon obiettivo, che ci rende persone migliori, ma dobbiamo anche ricordarci che è impossibile da raggiungere. Non è possibile conoscere se stessi fino in fondo. E alle volte non è nemmeno utile. Una certa inconsapevolezza può aiutarci a raggiungere obiettivi difficili. In amore o in politica, per esempio. Certo, è sempre meglio non esagerare, c’è comunque il rischio della megalomania.

Come si può ovviare alla possibilità di incappare in falsità o contenuti poco affidabili nell’infinito universo del web?
Facendo attenzione. Il problema è che l’attenzione è diventata una delle merci più rare. Non c’è una risposta semplice o una soluzione alla portata di tutti. Trovare la verità è sempre stata un’impresa. Richiede uno sforzo notevole, che tutti devono fare se sono interessati ad accrescere le proprie conoscenze. Non è detto che ci sia questa esigenza: spesso la gente non vuole sapere e la conoscenza non si può certo imporre dall’alto.

All’interno della psicologia delle ricerche online, ci sono gruppi di psicologi che effettuano studi ed  osservazioni circa la non onnipotenza della mente umana; in realtà, la nostra mente aumenta la sua efficienza  attingendo a fonti esterne di informazione. Cosa si intende per “sistema interdipendente di memoria”?
La nostra mente aumenta la propria efficienza servendosi di fonti esterne. Per potenziare la nostra memoria ci serviamo di supporti, di protesi, come possono essere un diario o un album di foto. Sono archivi esterni. Ma la nostra memoria non si fonda solo sugli oggetti, possiamo contare anche su altri individui. Quando sono gli altri la nostra “memoria esterna” noi abbiamo a che fare con quello che gli psicologi definiscono un “sistema interdipendente”. Sono sistemi in cui l’informazione è distribuita e ogni individuo è responsabile solo della conoscenza di un’area specifica. Internet complica le cose, poiché attraverso la rete non facciamo affidamento direttamente su altre persone, ma in modo mediato e questo, a volte, ci fa perdere di vista quale sia la fonte delle nostre informazioni.

I sociologi ritengono la crescita delle conoscenze specialistiche il punto di partenza del paradosso. In effetti, oggi gli esperti leggono sempre meno ciò che non li riguarda direttamente. Dove arriveremo?
Il sistema del sapere diventa sempre più complesso, sempre più parcellizzato, sempre più specialistico. Ogni esperto è tale di un settore limitato. La strategia migliore per affrontare questa complessità e la condivisione dell’ignoranza. Possiamo servirci degli strumenti inventati per condividere l’ignoranza. Uno è l’enciclopedia: dall’Illuminismo a Wikipedia, rimane un ottimo esempio di come una comunità possa condividere l’ignoranza per accrescere il sapere collettivo. Oppure pensiamo alle biblioteche: possono essere grandi spazi aperti di condivisione dell’ignoranza. 

Ha già presentato a Roma la sua opera editoriale?
Ho fatto un incontro per il Premio Biblioteche di Roma alla Biblioteca Nelson Mandela. Un bell’incontro, con molte domande. Mi è sembrato un buon risultato per un libro che ha per titolo un punto interrogativo.

Per concludere, oltre a congratularmi per l’alto valore socio-culturale del suo libro, che ho letto con sincero interesse, vorrei chiederle di spiegare ai nostri lettori la differenza fra ignoranza ed errore, troppo spesso messi sullo stesso piano?
Grazie. In effetti, la confusione tra ignoranza ed errore è molto frequente. Ma non sapere è diverso da credere qualcosa di falso. Alla fine la definizione più convincente di ignoranza si trova proprio nell’enciclopedia curata da Diderot e d’Alembert: «l’ignoranza è una via di mezzo tra verità ed errore», si legge nel testo fondamentale dell’Illuminismo. È bene ricordarlo: l’ignoranza è un punto di partenza, sta a noi decidere in quale direzione andare. Possiamo andare verso nuove conoscenze, oppure possiamo sbagliarci. Non è detto che le cose debbano andare sempre male.

Il disastro economico e spirituale presente nelle nostre società occidentali è un disastro che ha un nome e cognome: la rivoluzione sessuale globale. Attenzione non sto esagerando. E' una convinzione che si rafforza leggendo il libro “La Rivoluzione sessuale globale” di Gabriele Kuby, recentemente pubblicato dalla casa editrice milanese Sugarco. Pertanto la povertà economica, ma soprattutto quella spirituale è da attribuire ai tanti alfieri del sessualismo e del pansessualismo. Dobbiamo ringraziare loro del suicidio demografico, per lo spopolamento del nostro Occidente, delle famiglie sfasciate, dei nostri pochi giovani che ormai sono prede della droga, dell'alcool, della pornografia. La sociologa e giornalista tedesca li ha individuati, partendo dalla Rivoluzione francese, la madre di tutte le ideologie e di tutte le ideocrazie contemporanee. C'è un vero e proprio progetto dove accomuna tanti uomini di pensiero apparentemente diversi come Jean-Jacques Rousseau e Charles Fourier, Karl Marx e Friedrich Nietzsche, Sigmund Freud e Carl Gustav Jung, Wilhelm Reich e Alfred Kinsey, John Money e Margaret Sanger, Jack Kerouac e Simone de Beauvoir. “Ce ne sono molti altri, sia di famosi sia di meno noti, ma ciò che li accomuna è la dissolutezza ragionata sia di quanto hanno predicato sia delle vite che hanno condotto, o quantomeno di come sono andate a finire. Droghe, alcool, pazzia, occultismo, suicidio”.

Il cardinale Carlo Caffarra, prima di morire ha fatto in tempo ad introdurre l'importante testo della Kuby, è“un grande libro”, ha scritto, sperando che venisse letto, specialmente da“chi ha responsabilità pubbliche; da chi ha responsabilità educative; dai giovani, le prime vittime del nuovo Grande Inquisitore”.

La stessa Kuby, nella presentazione dello studio ci invita a guardare obiettivamente la situazione in cui si trova la nostra società:“alle famiglie disgregate, alle madri e ai padri separati che allevano i figli da soli, ai giovani che portano profonde ferite psicologiche ed emotive, ai milioni di persone dipendenti dalla pornografia, ai milioni di bambini abusati sessualmente, ai milioni di bambini abortiti e al nostro stesso stile di vita”. Se ne parla, si discute, ma la vera causa di questo disastro è per la Kuby,“la deregolamentazione delle norme sessuali, che conduce alla sessualizzazione della società”.

Nell'introduzione, la giornalista tedesca sintetizza i temi che affronta nel suo studio: “descrivo la rivoluzione sessuale globale in atto che sta distruggendo i sistemi di valori tramandati in tutte le culture e in tutte le religioni; i precursori ideali dalla Rivoluzione francese fino alla postmoderna ideologia gender di Judith Butler; la promozione dell'agenda rivoluzionaria attraverso elites politiche internazionali; le aspirazioni totalitarie, come sono evidenziate nei Principi di Yogyakarta; la concreta imposizione dell'ideologia gender nella società fino al cambiamento politicamente motivato del linguaggio; il flagello della pornografia, dal quale bambini e ragazzi non possono più essere protetti; il movimento omosessuale quale motore attivista di questa rivoluzione”.

La Kuby è ben consapevole che scrivendo questo libro rischia pesanti attacchi personali, soprattutto dai vari movimenti LGBT. Tuttavia la giornalista tedesca ci racconta tutti i passaggi del nuovo totalitarismo in atto, la rivoluzione del gender, come quello della “sessualizzazione forzata”, nelle scuole, perfino negli asili. Infatti nel 12° capitolo Kuby descrive come si arriva alla sessualizzazione della gioventù da parte dello Stato.“Secondo la pedagogia sessuale attualmente più in auge la 'formazione sessuale' comincia alla nascita; i bambini vengono sollecitati a masturbarsi, nelle scuole materne ricevono materassini per fare il gioco del dottore, nei libri illustrati vengono presentati come equivalenti tutti i tipi di famiglie, l'omosessualità viene presentata come una normale opzione”.

L'introduzione dell'educazione sessuale obbligatoria nella scuola è un prodotto delle rivolte studentesche del 1968, questi uomini e donne della sinistra sono riusciti ad occupare le leve del potere, si sono serviti della legislazione per realizzare i loro obiettivi rivoluzionari con l'ausilio di programmi finanziati dallo Stato. Tutto questo è accaduto in tutti i Paesi occidentali.“Nel corso di pochi decenni le organizzazioni internazionali dell'Onu e dell'Ue sono divenuti centri di potere per la distruzione globale dell'ordine di valori tradizionale. Esse dispongono di risorse materiali e del Know-how della rivoluzione culturale per distruggere i presupposti sociali, culturali, giuridici e morali del matrimonio e della famiglia”. Tutto questo è potuto succedere perchè i principali media del mondo occidentali hanno appoggiato questo progetto e sono essi stessi diventati manipolatori dell'opinione pubblica al servizio del politically correct.

Comunque sia,siamo testimoni di una rivoluzione culturale che non arretra davanti a nulla e a nessuno. Non esiste alcun ambito naturale in cui possiamo trovare riparo. Non passa giorno in cui non veniamo a sapere di nuove violazioni, che non avremmo mai ritenute possibili”.

Il libro della Kuby rappresenta forse l'opera più completa che sia stata scritta sul tema dell'ideologia del gender e di tutti gli aspetti collaterali.

Il processo di “deregolamentazione della sessualità” è iniziato 50 anni fa, con la rivoluzione studentesca. Da allora una potente Lobby, con l'aiuto delle Nazioni Unite (ONU), dell'Unione Europea (EU) e dei media, si batte per un capovolgimento del sistema valoriale.“Il fine è la libertà assoluta, sciolta da qualsiasi limite naturale e morale, dove l'essere umano è inteso come individuo 'nudo'. In pratica secondo la Kuby ci “si vuole emancipare persino dalla 'dittatura della natura', ogni vincolo naturale è un ostacolo da rimuovere; per una libertà così intesa non esiste né bene né male e non esiste normatività. Le armi concrete di questa battaglia sono la decostruzione della bipolarità sessuale, il sovvertimento delle norme sociali e della mentalità della popolazione, in particolare dei giovani, nonché la totale equiparazione legale delle relazioni omosessuali al matrimonio, fino ad arrivare all'ostracismo sociale e alla criminalizzazione giuridica di chi si oppone a questo processo”.

E quello che più scandalizza è che per l'ONU e l'UE, e per gli altri Stati indipendenti questo processo di dissoluzione di ogni sistema normativo, ha assunto il carattere di priorità. Ecco perché finanzia l'International Planned Parenthood Federation (IPPF), il più grande global player dell'aborto e della deregolamentazione della sessualità, con sedi distaccate in 179 nazioni. E stiamo vedendo a quali disastrosi risultati sta portando questa rivoluzione culturale, sostanzialmente a una svolta demografica che scardinerà la struttura sociale dell'Europa. Infatti, “negli ultimi quarant'anni, nella maggior parte dei Paesi europei, i tassi di natalità sono scesi molto al di sotto del livello di ricambio generazionale”. E questo deficit, secondo la Kuby, non può essere essere colmato con l'immigrazione, come pensano le varie lobby di sinistra. Questo, compromette la stessa cultura di questi Paesi.“Una politica orientata al bene comune dovrebbe dare priorità alle politiche sociali volte al rafforzamento della famiglia, invece che promuovere – mettendosi al servizio di piccole minoranze – la deregolamentazione delle norme sessuali, depredando la famiglia dei suoi valori fondanti”.

La Kuby spiega quello che sta accadendo alla nostra Europa, al nostro mondo occidentale: non siamo più di fronte a una dittatura, a un regime del terrore, che può più o meno essere abbattuto,“ciò che accade oggi va più in profondità”. “Oggi l'assalto è indirizzato alla più intima struttura morale dell'uomo, quella che rende l'uomo capace di libertà. La scure è posta alla radice”.

Il libro della Kuby sostiene in premessa che è estremamente necessario che l'uomo coltivi il dono meraviglioso della sessualità, per vivere con successo le relazioni e la vita stessa. “Al contrario, la volgare esternazione di qualsivoglia desiderio distrugge la persona e la cultura. Un uomo sessualizzato sin dall'infanzia impara 'che è bene vivere in modo spontaneo tutti i desideri ed è male porre dei limiti agli stessi. Egli sfrutta il proprio corpo e quello degli altri per soddisfare i propri impulsi sessuali e non per esprimere amore”.E' un impulso potente che deve essere coltivato affinchè diventi espressione d'amore, aperto alla vita.

Pertanto oggi tutto quello che la Chiesa ha da secoli insegnato sulla sessualità, non solo ma la legge naturale stessa, viene messo in discussione, anzi viene cancellato e le conseguenze sono drammatiche.“Molti uomini non vogliono più trasmettere la vita che loro stessi hanno ricevuto; le famiglie sono disgregate, il livello di prestazione delle giovani generazioni è in calo, il venti per cento dei quindicenni è incapace di comprendere ciò che legge, sempre più bambini e giovani soffrono di disordini psicologici; il diritto alla vita dei bambini concepiti, dei disabili e degli anziani non viene più protetto; la libertà religiosa, la libertà scientifica, la libertà di espressione e la libertà di ricerca sono compromesse”.

Tutto questo sta accadendo nella nostra società occidentale,“nel nome di un'ideologia che nega il fatto che l'essere umano esiste come uomo e come donna, per questa polarità plasma la sua identità e che è la condizione per la riproduzione della razza umana (le anomalie psichiche e fisiche non cambiano questo dato di fatto). Mai prima d'ora era stata diffusa un'ideologia che vuole distruggere l'identità sessuata dell'uomo e della donna e ogni norma etica relativa al comportamento sessuale. L'ideologia in questione si chiama gender mainstreaming.

Certo ammette la sociologa, esistono altri fattori alla base del cambiamento della nostra società, come quelli ecologici, economici, tecno-scientifici,“ma nessuno di questi fattori mira strategicamente alla radice del genere umano, alla sua identità come uomo e donna, consegnando il singolo in balia degli insaziabili sessuali svincolati da qualsiasi norma etica”.

Nel passato i sistemi ideologici, peraltro, secondo la Kuby, erano una prerogativa maschile, hanno provocato immani distruzioni che costarono la vita a milioni di persone. Mentre“l'ideologia del gender è stata ideata e viene promossa dalle femministe radicali, con conseguenze future inimmaginabili. Afferma la Kuby, “molte culture si sono sgretolate per degenerazione morale; ma che la degenerazione morale venga imposta con mezzi politici e culturali, questa è una novità.

La studiosa tedesca insiste su questo aspetto della moralità nelle varie culture e civiltà. Nel passato ogni civiltà puniva le trasgressioni alle proprie norme sessuali, oggi si assiste a un ribaltamento,è l'abolizione delle norme morali ad essere imposta e chi si oppone a questo processo viene emarginato e perseguitato legalmente. A questo proposito la Kuby propone lo studio di un antropologo, Daniel Unwin, che ha confrontato alcune “civiltà non civilizzate” con le grandi civiltà dei babilonesi, sumeri, ateniesi, romani, anglosassoni, per capire quale influsso avessero le norme sessuali di una società sul suo grado di civiltà. “Il risultato in una frase: più grandi le restrizioni sessuali più alto il livello di civiltà, più basse le restrizioni sessuali più basso il livello di civiltà. Pertanto, non esistono eccezioni: “le civiltà salgono sul palcoscenico della storia quando la loro sfera sessuale viene regolata da norme molto severe e spariscono dalla scena quando lasciano scivolare la loro sessualità al livello animale dalle pulsioni sessuali incontrollate […] Negli annali della storia non esistono esempi di civiltà che in un determinato lasso di tempo avessero una energia sociale elevata, a meno che non fossero assolutamente monogame”.

Si delinea all'orizzonte un nuovo totalitarismo, in versione soft. Il documentato libro di Gabriele Kuby, lo mette in evidenza. Il nostro margine di libertà si sta progressivamente restringendo. Lo avvertono soprattutto i cristiani. Lo scrittore italiano Ignazio Silone, ex comunista, aveva colto il punto:“il nuovo fascismo non dirà: “sono il fascismo”; dirà piuttosto: “sono l'antifascismo”.

La giornalista tedesca insiste sul punto:“Sembra non esistere un'ideologia imposta dallo Stato; di fatto però l'ideologia del gender viene attuata gradualmente a tutti i livelli della società. Sebbene la gente non conosca nemmeno questo termine, la società intera viene 'genderizzata'; come ogni utopia essa mira alla creazione di un uomo nuovo, che si disegni e plasmi a proprio piacimento”. L'analisi della studiosa tedesca è brillante, descrive egregiamente il nostro tempo e pertanto è utile continuare a citarla:“Nessuna popolazione viene sterminata oggigiorno in Europa, ma a livello mondiale più di quaranta milioni di bambini vengono uccisi ogni anno nel grembo materno. Benché esiste un ordinamento democratico, organismi incontrollabili e potenti esercitano il loro potere sugli elettori e sui politici eletti: i media e le oligarchie finanziarie”. Anche se non c'è un sistema a partito unico, la gente non si sente più rappresentata e per questo non va a votare.“Non ci sono masse manipolate e fanatizzate da un Fuhrer, ci sono però masse atomizzate e senza radici[...]”.  

Oggi chi sostiene che “l'atto sessuale appartenga esclusivamente all'ambito del matrimonio tra un uomo e una donna e che debba essere aperto al concepimento, chi pone scientificamente la questione della causa, dei rischi e delle conseguenze dei comportamenti non eterosessuali o si oppone alle strategie di derogolamentazione sessuale, corre il rischio di essere escluso dal dibattito pubblico, di essere stigmatizzato con insulti, di perdere il proprio posto di lavoro, di essere discriminato e mobbizzato in svariati modi dai diversi gruppi di interesse”.

Nato a Luino, sul Lago Maggiore, nel 1913, Vittorio Sereni vive la sua adolescenza a Brescia poi, per esigenze lavorative del padre Enrico, funzionario di dogana, si trasferisce a Milano dove compie gli studi alla Facoltà di Lettere e Filosofia. Durante il periodo universitario stringe legami con intellettuali allievi del filosofo Antonio Banfi tra cui Antonia Pozzi, Luciano Anceschi, Remo Catoni, Enzo Paci, Renato Gottuso. Si laurea nel 1936 con una tesi in Estetica sulla poetica di Gozzano .

Nel 1937 comincia a dedicarsi all’insegnamento nelle scuole superiori e dopo due anni riceve una cattedra definitiva a Modena, dove si trasferisce con la moglie Maria Luisa Bonfanti.

Nel 1938 diviene redattore della rivista «Corrente di Vita Giovanile» fondata da Ernesto Treccani.

Viene chiamato alle armi nel 1940, dapprima sul fronte francese, successivamente destinato in Grecia per raggiungere l’Africa ed infine preso in forza alla Divisione Pistoia per proteggere il fronte siciliano a Trapani.

Il 24 luglio 1943 è fatto prigioniero con il suo reparto dagli Alleati sbarcati in forze in Sicilia. Fino al 1945 trascorre il suo tempo in prigionia tra Algeria e Marocco francese.

Con il ritorno in patria si trasferisce con la famiglia (è nata anche la figlia Maria Teresa) nella casa paterna di Milano e riceve l’incarico presso l’Ufficio scuole private al Provveditorato agli Studi di Milano per poi essere incaricato alla cattedra di italiano nel liceo classico “Carducci” di Milano. Nel 1947 arriva Silvia, la secondogenita.

Collabora nel frattempo in qualità di redattore presso il «Giornale di Mezzogiorno», diretto da Riccardo Lombardi, con chiara tendenza repubblicana, ed entra nella redazione della rivista «Rassegna d’Italia» diretta da Sergio Solmi, stringendo amicizia con Umberto Saba.

Nel 1952 lascia l’insegnamento per entrare nella grande industria Pirelli alla direzione dell’ufficio stampa e propaganda, pubblicando un’importante rivista Pirelli in cui le sezioni arte e letteratura sono affidate alle sue cure. Nasce nel 1956 la terza figlia Giovanna.

Nel 1958 la Mondadori accoglie nel suo organico Sereni come direttore editoriale, lavoro che lo impegnerà fino al giorno della sua morte avvenuta nel 1983.

L’esordio poetico di Vittorio Sereni avviene nel 1941 con la raccolta Frontiera (edizioni Corrente), volume ampliato poi nel 1942 presso l’editore Vallecchi con il titolo Poesie. Le esperienze ermetiche del periodo si affacciano nel linguaggio di questo testo lasciando scorgere l’esigenza di una maggiore adesione alla realtà quotidiana, ponendo in contrapposizione alla poetica della parola ermetica una visione più realista del verso, un’evocazione dei ricordi che lascino tracce nel presente.

Questa necessità si affermerà nella raccolta poetica Diario d’Algeria (1947, Vallecchi) dove il narratore, dai toni fugaci, rende in versi la cronaca della prigionia nordafricana ponendola come allegoria esistenziale e storica.

Nel 1965, insieme alla seconda edizione di Diario d’Algeria pubblicata da Mondadori, viene pubblicata da Einaudi la nuova raccolta lirica Strumenti umani. Le grandi trasformazioni culturali e sociali dell’Europa del dopoguerra fanno da sfondo alle vicende private e la conoscenza della realtà si scontra con una perdita di sicurezza e di stabilità dell’individuo: con questi presupposti si presentano i versi del nuovo Sereni, con un’articolazione di registri espressivi che variano dal lirico al parlato, con talvolta accesi slanci emotivi.

Seguiranno anni di “silenzio creativo” e di lavoro intenso alla casa editrice prima di avere la nuova ed ultima raccolta Stella variabile (1981, Garzanti), riflessione amara sulle occasioni perdute della vita, con un linguaggio essenziale e capace di pura concentrazione lirica. In questo stesso anno pubblica con Einaudi il quaderno di traduzioni Il musicante di Saint-Merry e altri versi tradotti, con il quale si aggiudica il premio Bagutta.

Sereni ha lasciato anche alcune opere critiche e narrative:

Gli immediati dintorni (1962, Il saggiatore), pagine di diario, appunti di lavoro, frammenti narrativi;
L’opzione e allegati (1964, Scheiwiller), racconti;
Letture preliminari (1973, Liviana), scelta delle sue letture critiche dal 1940 in poi.

Appare centrale, nella sua produzione, l'esperienza della prigionia in Algeria e Marocco tra 1943 e 1945. Da essa nasce il Diario d'Algeria, misto di versi e prose in cui la tragedia personale dell'uomo condannato alla segregazione da una guerra insensata diventa simbolo della crisi di un'intera generazione e di un'epoca; lo stesso rimando continuo dall'esperienza individuale alle grandi vicende della storia si ritrova ne Gli strumenti umani, dove il sentimento di estraneità dal mondo (Non lo amo il mio tempo, non lo amo) ben riflette la delusione per la sconfitta degli ideali democratici e socialisti in Italia e nel mondo e l'impossibilità di inserirsi veramente nel corso storico, quasi perdurasse una incaccelabile condizione di prigioniero. 

All'origine dello smarrimento di certezze, psicologiche e ideologiche, sta una radicale insicurezza di sè e del proprio ruolo; si riafferma dunque il primato di quel che vive al di fuori dell'uomo e gli sopravvive, e si precisa anche una tematica già presente nelle prime raccolte, il culto dei morti tramite cui si rivela sia la fragilità che la verità ultima delle cose. A questa disperazione di fondo fanno da controcanto continuo gli scatti della gioia, una gioia che nulla ha a che fare con la felicità ma che riesce tuttavia a illuminare alcuni versi con percezioni fulminee dei sentimenti dell'amore e dell'amicizia. Come ha scritto Guido Piovene "Sereni è uno dei pochi poeti che sanno dare parole adeguate alla gioia".

Uno dei saggi più acuti e brillanti dedicata a Sereni porta la firma di Franco Fortini, che così conclude: "Per quel tanto di sfocato che hanno le liriche, per quella loro instabilità di profilo dove l'improvviso emergere di un particolare perfettamente fisso e come irrigidito è una formula morale, questa poesia unisce il consiglio della cautela e del riserbo, figurato dall'esitazione, con l'imperativo della decisione e della scelta. Si può non sentirsi a proprio agio nelle poesie di Sereni che, d'altronde, non vogliono che ci si senta a proprio agio e anzi introducono di continuo, quasi a ogni parola, un'incertezza angosciosa".

Vittorio Sereni è stato un poeta nato a Luino e vissuto a Milano, Brescia, ha viaggiato, per poi ritornare nella sua città natale. È stato molto amato nella sua città e non solo.

Era attratto dal lago e dalle acque (del lago Maggiore), ispirando la sua scrittura ai luoghi di confine, quelli che idealmente separano città, regioni, stati, che danno quel senso di vago e indefinito.  
Folgorato dalla lettura di Ungaretti, ha conosciuto ed avuto molti amici - per citarne alcuni - come Aligi Sassu, Quasimodo, Ernesto Treccani. 

La chiusura del nostro evento dedicato alla Poesia e al vivere quotidiano (denso di Poesia) vuole essere un omaggio a questo grande poeta che ha visto i suoi natali proprio nel luogo dove esiste anche l'Archivio di tutta la sua Opera.

Il sottotitolo dell’opera, “Guida alle Grandi Rievocazioni Storiche”, palesa inequivocabilmente l’interesse dell’autore, Antonio Castello, per le feste e il folclore. Dopo “Piaceri e Sapori d’Italia” (ed. Sallustiana), “Feste Popolari in Italia” (ed. Sallustiana), “Guida alle Sagre enogastronomiche del Lazio (ed. Arsial/Regione Lazio) e “Il Grande Almanacco dei Giorni di Festa” (ed. Vallardi), questo attento ed appassionato ricercatore degli aspetti antropologici della culturale italiana, offre ora una curiosa e piacevole guida alla scoperta delle Rievocazioni Storiche che si svolgono in Italia. E lo fa con un rigore che non ammette deroghe: “La scelta delle manifestazioni inserite nel volume - dichiara l’autore nell’introduzione - è stata condizionata dalla ricerca di eventi con un fondamento storico e non spettacolare”, preoccupato dal fatto che “con il crescere dell’interesse nei confronti delle rievocazioni autentiche, aumentano le manifestazioni che vorrebbero vantare legami con la storia che invece, non hanno”.

Il libro potrebbe essere definito un “vademecum”, utile per la programmazione di visite partecipative a manifestazioni di grande interesse socio-culturale, folclorico e spettacolare. In un tempo in cui alla pratica turistica dei grandi viaggi e dei lunghi soggiorni, si alternano sempre più di frequente, gite ed escursioni di un weekend (quando non addirittura di un solo giorno), questo testo propone, nel volgere dell’intero arco solare, occasioni e destinazioni ricche di attrattive a basso costo, entro i confini nazionali. Non tragga tuttavia in inganno il termine “vademecum”, poiché oltre a ricordare, la guida offre contenuti di grande interesse soprattutto sotto l’aspetto storico e culturale.

Le manifestazioni descritte, suddivise per regioni ed al loro interno per provincia e comune, sono oltre 500, tutte di autentico valore e significato, documentate nei loro tratti salienti e meritevoli di essere vissute per meglio conoscere l’essenza del Bel Paese e gli eventi particolari della sua storia, ripercorsi dalle discendenze di coloro che ne furono protagonisti. Ne emerge un panorama tanto vasto quanto curioso ed affascinante che amplia la conoscenza del vero volto delle popolazioni italiche e delle loro vicende, degne di essere riscoperte, amate e rivissute.

L’autore, Antonio Castello, autorevole appassionato di storia e di tradizioni popolari, da anni colla- bora con riviste specializzate nel settore del turismo; l’esperienza e la passione per la memoria nascosta del nostro paese animano l’impressionante ricchezza di una guida che ripercorre l’Italia regione per regione, giorno per giorno, folclore per folclore, in una mappa estesa e dettagliata di tutte le rievocazioni più note e di quelle sconosciute ai più, per farne occasione d’incontro e di festa all’insegna della storia più vera in contesti ambientali che hanno saputo conservare integri gli aspetti salienti delle loro architetture.

Il libro è venduto on line, attraverso la piattaforma “Argutoweb.com” riservato alla commercializzazione dei prodotti dell’eccellenza italiana.

Cosa accomuna George Orwell, Aldous Huxley e Jules Verne? Gli autori di 1984, Il Mondo Nuovo e Il Giro del mondo in 80 giorni? Apparentemente nulla. Infatti i primi due appartengono al filone della narrativa utopistica, il terzo scrive ottanta romanzi di avventure e romanzi scientifici ai primordi della fantascienza. Verne scrive avventure esotiche con la presenza di macchine innovative dove la tecnica e la scienza assieme alla fiducia nel progresso appaiono centrali nella sua narrazione. Ma nel 1992 Jean Verne, pronipote di Jules, ritrova un romanzo rimasto nascosto per più di un secolo. Una cassaforte di famiglia, della quale si era perduta la chiave, passa da una generazione all’altra e solo nel 1989 la madre di Jules incarica una società specializzata di aprirla facendo saltare la serratura. Ma il contenuto non viene osservato attentamente e rimarrà in un sacchetto di supermercato ancora per qualche anno. La curiosità di Jules porta alla scoperta di un romanzo inedito del quale si sapeva l’esistenza, ma che nessuno aveva mai visto. Si tratta di Parigi nel XX secolo, scritto nel 1863, quando Verne aveva  35 anni, ma lasciato o dimenticato in un cassetto forse per via del profondo pessimismo che male si inseriva in un periodo che vedeva all’orizzonte il trionfo delle “magnifiche sorti e progressive” delle quali già dubitava lo stesso Leopardi. È rifiutato dal suo editore Pierre-Louis Hetzel con una lettera della fine del 1863 nella quale pone dei rilievi tecnici per migliorare il testo, ma che nascondono, anche non troppo velatamente, il fatto che “non si crederà oggi alle vostre profezie” che non interesseranno ad alcun editore. Il romanzo, che viene pubblicato solo nel 1994 da Hachette, l’editore storico di Verne (in italiano nel 1995 e nel 2013), si inserisce nel filone della narrativa utopistica  affiancando l’autore ai due famosi scrittori inglesi.

Parigi nel XX secolo ci mette di fronte a un Verne pessimista  già all’inizio della sua carriera di scrittore e che è consapevole del destino di un’umanità che, se continuerà sulla strada che ha imboccato, sarà destinata ad arrivare dove lui immagina. Una storia ambientata nella Parigi del 1960 in una città tutta tecnologica: aria compressa che fa muovere le macchine, combustibili ad idrogeno, mezzi automatici su rotaie sopraelevate, sistemi comunicativi che sembrano internet, energia eolica, macchine calcolatrici, sistemi di climatizzazione, l’uso del pantelegrafo, l’antenato del fax inventato dal sacerdote italiano Giovanni Caselli.  Le logiche dell’economia trionfano relegando nel dimenticatoio la letteratura, l’arte e la musica. Nelle università i corsi umanistici sono in via d’estinzione e prevalgono le materie tecniche. Il protagonista, Michel, è orfano e si occupa di lui uno zio banchiere che incarna perfettamente lo spirito del tempo: è il “prodotto naturale di quel secolo industriale”, un uomo pratico che fa solo cose utili e disprezza le arti e gli artisti.  Michel invece è proprio un artista come suo padre che era musicista e ama tutto ciò che il secolo moderno ha dimenticato, in primo luogo la letteratura. Va subito alla ricerca degli autori a lui cari, ma inutilmente, Hugo, Balzac, de Musset e Lamartine non esistono più, gli scaffali delle librerie offrono solamente volumi dedicati a scienza e tecnica: Armonie elettriche, Meditazioni sull’ossigeno, Odi decarbonate, questi i titoli. Michel incontra uno zio, fratello di sua mamma, che di nascosto si tiene informato della sua vita stimando la sua vocazione artistica e che può dargli accesso ai libri che cerca avidamente per trovare ristoro in quel  mondo cupo, triste, dove il riso è proibito e che “non è altro che un mercato, un’immensa fiera” nel quale al: “cosa so?” ,si è sostituito il: “cosa mi rende?”.  Come tutta la letteratura utopistica coglie in modo profetico aspetti della nostra realtà: il mito della tecnica, il disprezzo per le materie umanistiche, la ricerca dell’utile ad ogni costo e ci offre un Verne sconosciuto, apparentemente agli antipodi di quello che abbiamo letto da ragazzi, ma, probabilmente, più vero e realistico dei suoi Viaggi straordinari.  Romanzi che hanno anticipato conquiste della scienza che si sono realizzate nel XX secolo, ma che nulla hanno a che fare con l’aridità e la tristezza che emanano da questa profetica opera.

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