Ucraina: si dimette Tymoshenko, numero due dello staff di Zelensky

La corruzione in Ucraina è un male endemico tanto che il Paese, nella classifica annuale di Transparency International figura al 122esimo posto (su 180 Paesi), non molto meglio della Russia. E rappresenta uno dei punti centrali nelle riforme nel percorso di adesione all'Ue.

Kyryl Tymoshenko, il numero due dello staff del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ha presentato le dimissioni dall'incarico. Dopo aver ringraziato il capo dello Stato "per la fiducia e l'opportunità di compiere buone azioni ogni giorno e ogni minuto", Tymoshenko ha confermato le indiscrezioni che nelle scorse ore erano circolate sulla stampa ucraina con un messaggio su Telegram. Secondo i giornali, nelle prossime ore ci potrebbero essere altri cambiamenti nel governo di Kiev, dopo che nei giorni scorsi erano emersi fatti di corruzione nell'ambito dei rifornimenti alimentari per l'esercito.

"Voglio essere chiaro, non ci sarà ritorno al passato, a quello che facevano varie persone vicine alle istituzioni o quelli che trascorrevano una vita a rincorrere una poltrona", ha assicurato ieri Zelensky. Il capo di Stato - che ha promesso novità in proposito nei prossimi giorni - ha ricordato che proprio lo scorso sabato il governo aveva defenestrato un ministro che aveva accettato una tangente. Non ne ha fatto il nome ma domenica i media ucraini avevano raccontato che era stato licenziato il vice ministro delle infrastrutture Vasyl Lozynskiy, che avrebbe ricevuto una tangente di 400 mila dollari: secondo le forze dell'ordine, il denaro era una tangente per aver truccato una gara d'appalto per l'acquisto di generatori di elettricità e altre apparecchiature.

E sempre sabato il ministero della Difesa ucraino era stato costretto a smentire di aver firmato contratti a prezzi gonfiati per prodotti alimentari destinati ai soldati e aveva liquidato un'inchiesta giornalistica in proposito come "manipolata": secondo la denuncia, il ministero acquista prodotti per i militari "due o tre volte più costosi" di quelli che possono essere acquistati nei negozi al dettaglio a Kiev.

L'inchiesta in particolare riguarda un accordo concluso dal ministero della Difesa per i servizi di ristorazione nel 2023 destinati alle unità militari di stanza nelle regioni di Zhytomyr, Kiev, Poltava, Sumy, Cherkasy e Chernihiv. L'importo della transazione è di 13,16 miliardi di grivna (ovvero più+ di 350 milioni di dollari).

Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg è "fiducioso" che "presto" sarà trovata una soluzione sulla fornitura a Kiev dei carri armati Leopard. Lo ha detto a Berlino, dopo l'incontro con il ministro della Difesa Boris Pistorius, sottolineando che al momento non c'è "nessuna indicazione" che la Russia abbia cambiato i suoi obiettivi nella guerra in Ucraina.

Nel frattempo il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, dopo l'incontro con Stoltemberg ha detto che "gli alleati possono cominciare ad addestrare le forze armate ucraina all'uso dei carri armati Leopard, anche se la decisione circa il loro invio è ancora pendente. "Ho espressamente incoraggiato i paesi partner che hanno Leopard in dotazione affinché siano pronti a sviluppare l'addestramento delle forze ucraine per questi carri" ha detto Pistorius. Soddisfazione è stata manifestata da Jens Stoltenberg per il "chiaro messaggio" del ministro tedesco, "perché dopo che una decisione sull'invio dei carri sarà presa, occorrerà un po' di tempo per conoscerli, affrontarli e per addestrare i soldati ucraini" al loro impiego. 

Intanto chi insulta i valori sacri non si aspetti sostegno per entrare nella Nato". Alla fine è arrivata la reazione del presidente turco Recep Tayyip Erdogan nei confronti delle autorità svedesi, che lo scorso sabato hanno autorizzato una manifestazione dinanzi all'ambasciata turca a Stoccolma, durante la quale è stata bruciata una copia del Corano.

"Chi ha autorizzato questa scandalosa dimostrazione non si aspetti nessun tipo di sostegno per entrare nella Nato. Sappiano che hanno superato il limite disonorandoci con un colpo basso. Se davvero credono di essere rispettosi delle libertà allora rispettino la fede dei musulmani. Se non lo faranno non avranno mai il nostro sostegno ad entrare nella Nato", ha detto ieri sera il presidente turco al termine del consiglio dei ministri. Una reazione di chiusura totale a Stoccolma, il veto turco rimane e rimarrà e la Turchia è destinata, con la prossima ratifica da parte del parlamento ungherese, a essere l'unico membro Nato a bloccare l'ingresso della Svezia nell'Alleanza. Un no perentorio, tanto che le autorità finlandesi sono state spinte a compiere una parziale marcia indietro rispetto a quanto affermato fino ad ora e paventare la possibilità di poter entrare nella Nato senza la Svezia.

Con il governo di Helsinki non sembrano esserci particolari ostacoli, lo aveva confermato il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu dagli Usa, dove si era recato in visita la scorsa settimana. "Con la Finlandia non ci sono problemi, per la Svezia la strada è invece molto lunga", aveva detto il capo della diplomazia di Ankara la scorsa settimana. Tuttavia il rogo del Corano da parte del leader del partito di destra danese Stram Kurs, Rasmus Paluden, ha complicato quella strada che era già lunga e difficile in maniera apparentemente irrimediabile, tanto che da Helsinki hanno fatto sapere che, a questo punto, la Finlandia potrebbe non. aspettare la Svezia.

Le autorità svedesi potevano bloccare la manifestazione, l'hanno invece autorizzata in nome della libertà di espressione e hanno chiuso un occhio su più aspetti della vicenda. Ankara aveva ripetutamente chiesto di revocare il permesso accordato per la dimostrazione in cui il rogo del Corano era stato abbondantemente annunciato. Richiesta fatta direttamente all'ambasciatore svedese ad Ankara in un momento già delicato dei rapporti tra i due Paesi, complicatisi dopo un'altra manifestazione a favore dei separatisti curdi del Pkk dello scorso 11 gennaio, in cui è stato appeso a testa in giù un manichino di Erdogan. Una manifestazione che aveva portato a una prima convocazione dell'ambasciatore svedese in Turchia, presentatosi due volte in una settimana presso il ministero degli Esteri. Sintomo evidente che il negoziato stava andando a rotoli e che negare il permesso a Paluden avrebbe costituito un segnale importante per Ankara.

Se il governo svedese, come hanno sempre ripetuto il premier e il ministro degli Esteri, vuole davvero entrare nella Nato era necessario permettere a un leader xenofobo, peraltro danese, di danneggiare il negoziato in maniera tanto plateale? Stoccolma ha anche chiuso gli occhi dinanzi a motivi di ordine pubblico. Paluden aveva già bruciato copie del Corano lo scorso aprile provocando quattro giorni di violenti scontri. I due Paesi aspiranti membri Nato, per convincere la Turchia a togliere il veto all'allargamento si erano impegnati con un protocollo siglato a Madrid lo scorso giugno a vietare manifestazioni e raccolte fondi a sostegno del Pkk ed estradare in Turchia dei terroristi di cui Ankara chiede la consegna. Sembravano proprio le estradizioni il nodo cruciale dell'allargamento. Polemiche e dubbi sul futuro del negoziato erano infatti scoppiate dopo che Stoccolma ha negato l'estradizione del giornalista Bulent Kenes. Un caso emblematico dell'impasse che contraddistingue il negoziato tra Stoccolma e Ankara.

La Turchia ritiene terroristi alcune persone rispetto a cui la giustizia svedese fa fatica ad accertare responsabilità personali e indizi di colpevolezza. Kenes è stato alla testa di un quotidiano con edizione in turco e in inglese. Zaman, a lungo considerato in Turchia il megafono dell'organizzazione di Fetullah Gulen. Quest'ultimo un tycoon residente negli Usa, ex alleato di Erdogan con cui ha rotto nel 2012 e che Ankara accusa di aver organizzato il tentativo di golpe del 2016. Kenes è fuggito in Svezia e la sua situazione si è complicata dopo il fallimento del golpe del 2016.

Il legame del giornalista con Gulen in Turchia è considerato conclamato. Tuttavia l'accusa di aver posto in essere una 'macchina del fango' nei confronti del governo turco ed Erdogan e aver utilizzato la propria posizione e influenza per lanciare 'segnali di golpè può forse essere sufficiente a renderlo colpevole in Turchia, ma non a renderlo un 'terrorista' per la giustizia svedese. Una divergenza di vedute con tutta probabilità destinata a riproporsi anche in altri dossier. Purtroppo il negoziato con la Svezia si è arenato ancora prima, nel punto in cui Ankara ha chiesto il divieto di manifestazioni a favore del Pkk, come quella andata in scena l'11 gennaio. "Avranno bisogno di sei mesi per nuove leggi", aveva lasciato la porta aperta Ibrahim Kalin, stretto consigliere e portavoce di Erdogan.

La manifestazione con il rogo del Corano non rappresenta un esempio di ciò che Ankara chiede che venga vietato nel protocollo di Madrid, ma aumenta la percezione che divieti nei confronti dei sostenitori e simpatizzanti del Pkk non arriveranno mai. Percezione divenuta quasi certezza dopo che è stato permesso a un leader xenofobo e razzista di compiere un atto che ha attirato le condanne da mezzo mondo in un momento già estremamente delicato nei rapporti tra i due Paesi.

 

Fonte Agi e varie agenzie

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