Sulla riforma fiscale

Rispetto al disegno di legge presentato dal Governo, il nuovo testo della riforma fiscale contiene, per quel che riguarda gli immobili, tre principali novità.

La prima è l’eliminazione dell’automatico aumento della tassazione sui redditi da locazione abitativa (articolo 2). Nonostante la cosa non sia mai stata ammessa pubblicamente da promotori e sostenitori della riforma, il testo originario avrebbe inevitabilmente portato all’incremento della cedolare secca sugli affitti residenziali, considerata la volontà di impostare un’unica aliquota alternativa all’Irpef per i redditi finanziari e immobiliari, ipotizzata nel 23 o nel 26 per cento (le attuali percentuali della cedolare sono del 21 e del 10). Si tratta di un miglioramento importante. Ciò che va fatto, ora, è rimuovere la discriminazione nei confronti dei redditi da locazione a uso diverso dall’abitativo, per i quali pure va concessa la possibilità di optare per l’imposta sostitutiva, anche al fine di ridare fiato al commercio e di restituire decoro e sicurezza alle nostre città.

La seconda novità è la nuova impostazione della revisione catastale (comma 2 dell’articolo 6), che, opportunamente, non dispone più l’attribuzione alle unità immobiliari di un valore patrimoniale ma prevede il criterio reddituale, pur in parte impropriamente derivando il reddito dal valore e con il pericoloso inserimento di una non meglio precisata “consultazione” della banca dati Omi (l’Osservatorio sul mercato immobiliare dell’Agenzia delle entrate): una banca dati che contiene, secondo quanto dichiarato dalla stessa Agenzia, “indicazioni di valore di larga massima” su compravendite e locazioni, che non si comprende che cosa abbiano a che vedere col catasto. L’ideale, va ribadito, sarebbe stato il mantenimento del solo comma 1 dell’articolo 6, quello che riguarda le regolarizzazioni catastali, ma Palazzo Chigi ha preteso che la delega comprendesse anche la revisione, insistendo nella forzatura compiuta già all’atto della presentazione del disegno di legge, il cui contenuto è in contrasto con la volontà espressa dal Parlamento nel giugno del 2021 proprio per via dell’inclusione della parte sul catasto.

La terza novità è l’introduzione della “tutela del bene casa” nella norma riguardante il riordino delle cosiddette tax expenditures, vale a dire le deduzioni e le detrazioni Irpef (articolo 2). Si tratta di un principio importante, considerata la rilevanza che da un quarto di secolo hanno gli incentivi per gli interventi sugli immobili (dalla detrazione del 36% istituita nel 1997 al superbonus 110% introdotto nel 2020) e il fondamentale ruolo svolto anche da altre tipologie di deduzioni e detrazioni (interessi sui mutui, spese per restauro di immobili storico-artistici ecc.). Naturalmente, al di là del “paletto” inserito nella delega, si tratterà poi di fare delle scelte di prospettiva e impostare un sistema di incentivi stabile ed equilibrato, sul quale peserà l’imminente approvazione della direttiva Ue sulle prestazioni energetiche nell’edilizia: se essa dovesse prevedere, come è nel testo approvato dalla Commissione, l’obbligo generalizzato di adeguare gli immobili a determinati standard energetici, la domanda da farsi è: chi paga?

In attesa dell’esame del disegno di legge, sperabilmente non solo formale, da parte dell’Aula della Camera e di Commissioni e Aula del Senato, rimane il problema di fondo. Pensare a una riforma fiscale, per di più a fine legislatura e sotto forma di delega, con una maggioranza che va dalla Lega a Leu, è un controsenso. E la vaghezza, e la conseguente pericolosità, dell’articolato all’esame del Parlamento ne è la riprova. Come noto, in caso di legge delega le disposizioni direttamente incidenti su cittadini e imprese si hanno con i decreti delegati, che sono di fatto privi di controllo parlamentare. Se a predisporli è un Governo con una maggioranza così anomala, non vedere rischi è nascondersi la realtà.

Giorgio Spaziani Testa

Presidente Confedilizia

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