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L'insensata tirannia del Green Pass

La guerra in Ucraina farà passare in secondo piano l’anomalia del Paese Italia, l’unico ancora ad aggrapparsi all’emergenza e al suo strumento odioso del green pass. Ieri lanuovabq.it riportava un “gustoso articolo” di un giornale britannico The Spectator a firma di Nicholas Farrell, dove smonta tutte le tesi (anzi isterie) del Green Pass. (Stefano Magni, Green Pass, come siamo diventati dittatori di noi stessi, 22.2.22, lanuovabq.it)

Magni è convinto che probabilmente Farrell sarà subito tacciato di essere inglese e per giunta con simpatie fasciste, quindi è inattendibile. Praticamente ancora prima di leggere quello che ha scritto lo si scredita in partenza.

“Eppure il “fascista” Farrell, che dimostra una grande attenzione per la libertà degli italiani, sottolinea tutte le assurdità delle scelte del governo Draghi”. A questo proposito è paradossale, per certi aspetti, che a difendere lo Stato di Diritto e la Democrazia in Italia, sia rimasta soltanto la “fascista” Meloni di Fratelli d’Italia. 

Mentre in tutto il resto d’Europa, in Inghilterra soprattutto, si allentano le restrizioni, l’Italia sta continuando a chiudere. Il Green Pass che avrebbe dovuto farci raggiungere una serie di risultati, come incrementare il numero dei vaccini, creare spazi sicuri per i vaccinati, e quindi ridotto i casi, le ospedalizzazioni e i morti di Covid. Non ha ottenuto nessuno di questi risultati. Ciò nonostante, “le regole in materia sono diventate molto più draconiane”. Quindi è ideologia e non una misura sanitaria: «Osannato come un grande successo con religioso fervore dal governo italiano di unità nazionale, guidato dal premier non eletto ed ex capo della banca centrale europea Mario Draghi, “il Green Pass” è stato in realtà nient'altro che un esercizio di insensata tirannia»

Di ideologia si tratta, perché i dati parlano chiaro: «Che la loro ossessiva fede nelle meraviglie del “Green Pass” sia totalmente priva di senso risulta evidente da una comparazione tra i dati di Italia e Gran Bretagna, che non ha avuto propriamente nessuna forma di lasciapassare vaccinale». Sugli effetti del Green Pass e poi il Super Green Pass, Farrell scrive: «Se avessero funzionato, i tassi di infezione italiani avrebbero dovuto essere molto inferiori a quelli della Gran Bretagna. Ma al contrario dall'inizio dell'ultima grande ondata “a sombrero” causata a dicembre dalla variante Omicron, l'Italia ha avuto un numero di contagi Covid molto simile a quella della Gran Bretagna, che non aveva il pass». E: «La spiegazione, naturalmente, è che nonostante tutti quei Green Pass, i vaccinati italiani si contagiano tra loro».

A questo punto nessuno vuole fare mea culpa. Nessuno vuole rinunciare alla narrazione che si è costruita intorno a questa pandemia. Impossibile sentire dire:

“scusate abbiamo sbagliato”, dopo che a mezzo milione (almeno) di italiani è stato addirittura sospeso il lavoro e lo stipendio. E dopo l’ostracismo subito dai non vaccinati, è sempre più difficile reintegrarli nella normale vita sociale. L’aspetto più doloroso notato da Farrell, infatti, è proprio quello sociale: «In ogni caso, non è la natura anti-democratica dei governi italiani a spiegare il regime italiano dei passaporti vaccinali, ma la natura filo-dittatoriale degli italiani». Per essere un “fascista”, rivela il giornalista della Nuovabq.it, questo giornalista britannico dimostra più sensibilità al tema della libertà rispetto a molti osservatori italiani.

Anche perché è indubbio che le misure restrittive sono state chieste dalla gran parte degli italiani, anche quelle più odiose, quanti divieti, abbiamo subito. Vietato questo, vietato quest’altro. E’ inutile qui fare l’elenco, ognuno sa, perché ha subito sulla propria pelle. Si è detto che l’importante è rispettare le regole e avere il Green Pass, concesso dallo Stato Papà per buona condotta vaccinale, per accedere in tutti i luoghi dove è richiesto. 

Abbiamo accettato tutto questo, così come abbiamo accettato i discorsi di odio (ultimo tabù del XXI Secolo) purché rivolti ai non vaccinati. E abbiamo accettato, durante il lockdown, che i vicini di casa denunciassero le feste in cortile e alcuni sindaci invitassero a tirare secchi d’acqua contro chi usciva per strada. Abbiamo tollerato che governatori delle regioni invocassero l’uso del lanciafiamme contro gli studenti universitari che festeggiano la laurea o il napalm sui non vaccinati. Abbiamo accettato tutto questo perché, ebbene sì, noi siamo dittatori di noi stessi.

Da qualche giorno circola una testimonianza diretta su Fb di un giornalista della nuovabq.it, veramente raccapricciante, proprio per capire a che livello di barbarie ci siamo ridotti dopo due anni di regime pandemico. Lo trovate sul giornale online (“Gli spietati”, del 22.2.22, lanuovabussola.it). L’episodio è successo sul treno del pomeriggio per Salerno dove un viaggiatore con grossi problemi viene redarguito da un altro viaggiatore, perché non ha la mascherina. Ne nasce una discussione animata, una specie di baraonda tra viaggiatori e poi con il capotreno. Alla fine, il malcapitato, tra urli e rimproveri, deve abbandonare il treno a Reggio Emilia, e consegnato come un lestofante agli agenti perché il suo green pass svizzero non è valido.

Tutto ciò è apparso molto miserabile, da tutti i lati, anche tenuto conto di un possibile punto di ragione solamente normativo. Ma spesso - e in questa pandemia molto spesso - le norme non coincidono né col buon senso né con la comprensione. Nell’economia di un treno di migliaia di persone che differenza fa se una persona, per motivi che possono essere i più svariati e i più strambi, non ha con sé la mascherina o il green pass giusto? Qualcuno è disposto a credere che la trasmissione di un virus ormai ridicolmente innocuo possa dipendere da un unico frontaliero dello spread virale?

La verità è che la rabbia mostrata da questa gente, cieca e insensata, non è dettata da motivi medici. Su quel treno nessuno ormai credeva più che la mascherina servisse a qualcosa e il green pass ci garantisse un'immunità. A scatenare la rabbia è stato piuttosto il vedere che c'è qualcuno che fa diverso dagli altri e che, per necessità o per ignoranza, non si adegua, facendo così ricordare a tutti gli altri di essere delle pecore belanti. Dovevamo uscirne migliori, ne siamo usciti spietati.

E a proposito di denunce e odio verso i diversi. In una intervista della Nuovabussola il patologo Paolo Bellavite può dire che, “La “pazzia” più grande è la divisione tra le persone; siamo stati messi gli uni contro gli altri, si sono create discriminazioni sulla fede o no in un farmaco. Gli “atei” sono stati banditi dalla vita sociale [...]”. (P. Bellavite, Hanno creato la pazzia della divisione. Ma è ora di guarire, 21.2.22, lanuovabq.it).

Ormai tutti abbiamo capito dopo due anni, cos’è la patologia del virus,

“abbiamo anche capito che si è diffusa una patologia sociale, politica, culturale, ma anche più profonda, di tipo mentale, addirittura spirituale. Ed è anche contagiosa. La pazzia consiste nell’incapacità di stare nella realtà, quindi essersi creati un mondo a sé stante, artificioso e motivo di sofferenza sociale, economica e anche fisica. Un mondo di divisioni e contrasti artificiosi, creati dal Potere”.

Una paura che per certi versi è stata coltivata sia dal potere politico, scientifico, che da quello mediatico, una paura che ha isolato le persone e metterle le une contro le altre, in modo da controllare e dominarle. Si è creduto ciecamente come ad una fede religiosa nel "santo vaccino", il salvatore, il nuovo vitello d’oro, cui si sono prostrati i partiti politici, i preti, le televisioni che hanno a loro volta favorito la propaganda di molti cosiddetti esperti che non hanno fatto altro che diffondere questa fede. E siamo ancora in questa situazione, prova ne sia che in questi giorni, constatati gli insuccessi dovuti alle varianti, gli stessi responsabili di tali insuccessi hanno iniziato a promettere l’arrivo di un vaccino “universale”. Anche se bisogna ammettere che il vaccino nella maggior parte dei casi ci ha liberati dal ricovero in ospedale e dalla terapia intensiva.

Tuttavia, qui mi interessa il clima sociale e politico in cui ci siamo impantanati. Un clima di “pazzia” da cui è possibile uscire, attraverso la “Verità” e la “Libertà”. Bisognava affrontare diversamente questo virus, almeno come hanno fatto altri Paesi. I cittadini, dubbiosi, hanno posto diverse domande a cui nessuno ha risposto. La risposta non può essere: “tachipirina e vigile attesa”. E quello che è più grave, in questi siamo giunti alla degenerazione della scienza occupata dalla politica. Quando tutto sarà finito, qualcuno dovrà rispondere per questa anomalia. Anche sulle restrizioni odiose della libertà

La libertà non è una cosa che dobbiamo chiedere o peggio implorare dai potenti di turno, è una dimensione della vita, dei comportamenti che possiamo mettere in atto subito, almeno in modo iniziale. Non serve essere in tanti, ma serve essere convinti e SANI. Sani di mente, prima di tutto. Vivere senza paura”.

E’ significativo il riferimento finale di Bellavite alla Storia della dissidenza nella Cecoslovacchia, quando Vaclav Havel e un pugno di amici riuscirono a sconfiggere il sistema totalitario comunista.

La dissidenza di “Charta 77” sembrava condannata all’irrilevanza; invece, sorprendentemente Havel riuscì senza spargere sangue a vincere il sistema totalitario, "tutti coloro che vivono nella menzogna ad ogni momento possono essere folgorati dalla forza della verità" con esiti imprevedibili sul piano sociale: "nessuno sa quando una qualsiasi palla di neve può provocare una valanga". Quindi nella storia non conta il numero, conta la purezza delle convinzioni. Conta il movimento dell’“io”.

 

 

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