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Caso Procure: giudizio disciplinare per Palamara e altre 9 toghe

Nuovi sviluppi nella vicenda legata al caso dell’ex pm romano Luca Palamara accusato, insieme ad altri nove magistrati collegati alla riunione sulle nomine all’Hotel Champagne, di interferenza nell'esercizio delle attività di organi costituzionali dal procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, che ha chiesto il processo disciplinare. Il titolare dell'azione disciplinare ha chiuso la prima fase dell'istruttoria e ora sarà il Consiglio Superiore della Magistratura a valutare – al termine di una sorta di processo pubblico – se meritano la sanzione prevista per quello di cui sono accusati.L'accusa del procuratore generale della Cassazione Salvi è di interferenza nell'esercizio delle attività di organi costituzionali  Giovanni Salvi, ha chiesto alla sezione disciplinare del Csm, dopo aver chiuso la prima tranche della sua istruttoria condotta sugli atti dell'inchiesta di Perugia.

Oltre a Luca Palamara, rischiano pesanti sanzioni disciplinari (dall’ammonimento alla perdita di anzianità fino, teoricamente, alla rimozione) cinque consiglieri togati del Csm - Luigi Spina, l’unico indagato, Antonio Lepre, Corrado Cartoni, Gianluigi Morlini e Paolo Criscuoli - che si sono dimessi l’anno scorso sulla scia dell’inchiesta di Perugia, di due magistrati segretari, del pm Stefano Fava. “Per quanto riguarda la posizione di Cosimo Ferri (incluso nei dieci, ndr), che è parlamentare, abbiamo chiesto alla camera di poter utilizzare il materiale”, spiega ancora Salvi.    

E non finisce qui, altre richieste potrebbero arrivare “prima dell’estate”.
“Abbiamo concluso la prima fase, quella dei fatti della riunione all’Hotel Champagne”, racconta Giovanni Salvi, procuratore generale in Corte di Cassazione, in una conferenza stampa in cui, con il pool di pubblici ministeri che si stanno occupando di vagliare le migliaia di conversazioni del pm romano, illustra il lavoro che stanno portando avanti. E precisamente sui commensali che la notte tra l′8 e il 9 maggio 2019 discutevano di nomine nelle più importanti procure, ma non solo.

Per questi dieci il lavoro della procura è finito. A loro si contesta di non aver solo manifestato opinioni, ma di aver voluto influenzare l’attività del Csm “per avvantaggiare qualcuno e danneggiare altri”, dice il pg. Saranno ora analizzate le posizioni di chi con Palamara parlava di nomine in altre sedi.

Dopo l’esclusione dall’Anm, Palamara è passato al contrattacco e in un’intervista a Repubblica ha detto: “Io mi assumo le mie responsabilità, ma posso assumermi quelle di tutti. Non ho inventato io le correnti, farò i nomi“.
Secondo notizie.it  Palamara chiama poi in causa i probiviri del sindacato delle toghe, e li accusa “di essere loro per primi i beneficiari del sistema di cui solo io oggi sono ritenuto colpevole.

Penso ci avrebbero dovuto pensare prima di far parte di quel collegio”, afferma l’ex consigliere del Csm, e ancora: “Trovo fisiologico che chi ha determinate cariche rappresentative nella magistratura interloquisca con la politica. Ma trovo meno condivisibile che ci siano procuratori della Repubblica che vadano a cena con i politici”.

“So che devo rispondere dei miei comportamenti e di quello che è accaduto all'hotel Champagne. Ma, allo stesso tempo – è la tesi di Palamara – non posso essere considerato solo io il responsabile di un sistema che ha fallito e che ha penalizzato coloro i quali non risultano iscritti alle correnti”. Perché, ripete l’ex pm, “Palamara non si è svegliato una mattina e ha inventato il sistema delle correnti. Ma ha agito e ha operato facendo accordi per trovare un equilibrio e gestire il potere interno alla magistratura”.

«Crescendo s'impara e l'ho scontato sulla mia pelle, per la legge del contrappasso», dice a Porta a Porta, al inizi del mese di giugno era ospite di porta a porta, e come riferisce il quotidiano il Giornale, quando Vespa gli chiede della sua campagna anti berlusconiana e del peso delle intercettazioni per mettere alle strette il Cavaliere. Il conduttore gli fa vedere un filmato del 2011, in cui gli contesta duramente proprio la strumentalizzazione di certe conversazioni, scelte e pubblicate per colpire questo o quel politico.

E lui, che oggi si trova nei panni degli antichi avversari con tutte le chat sbattute sui giornali, in poche parole ammette di essersi ricreduto sul circuito mediatico-giudiziario. «Che ci sia un problema mediatico per le inchieste se lo dicessi lo direi riferito a me. Ma potrei citare Luigi Ferraioli, che nel 2012 denuncia le storture di un processo che vede i pm protagonisti e la diffusione di carte prima che siano state notificate agli indagati. Questo non è più un processo penale ma un processo che si svolge in altra sede».

Come sottolinea il Giornale, ai tempi caldi del leader di Forza Italia a Palazzo Chigi Palamara era presidente del sindacato dei giudici, tra il 2008 e il 2012, come capo della centrista Unicost che si era alleata con la sinistra di Area e Giuseppe Cascini era segretario. Da poco le correnti nate negli anni '70 sono cambiate, spiega Palamara, da «fenomeno di pluralismo culturale», con «un'idea corporativista e una più aperta al sociale e più progressista, sono diventate strumenti di potere», così «si va al Csm e all'Anm se si è indicati dalle correnti» e gli altri sono «penalizzati» su tutte le nomine. È anche una reazione alla riforma Castelli, con la gerarchizzazione delle procure che ha dato più potere ai capi, al contrario delle intenzioni. Servono amici ai posti giusti e le toghe accantonano il criterio dell'anzianità per nascondere dietro al merito una maggiore discrezionalità di scelta.

Secondo il quotidiano della famiglia Berlusconi il mea culpa di Palamara è esplicito. «Provo disagio e un senso di angoscia, non solo verso le persone comuni ma verso i tanti magistrati che ogni mattina si alzano per lavorare e sono totalmente estranei al sistema delle correnti. È il sistema delle correnti, a iniziare dal sottoscritto, che deve chiedere scusa». Però, lui che è in attesa di un rinvio a giudizio e di un processo disciplinare, dice di non volersi dimettere. «No, amo la magistratura, la porto nel cuore, conto di poter chiarire tutto». Ma per lui l'inchiesta qualche cosa di strano ce l'ha. «I fatti dicono che ci sono state anomalie sul funzionamento e intermittenze del Trojan stesso». Sistema spia che giustificato da un'accusa di corruzione già caduta, per il pm romano, e che non funziona in certe occasioni, come la cena del 9 maggio 2019 per la pensione di Giuseppe Pignatone, procuratore di Roma. E sull'inchiesta relativa alla Banca Etruria, con la famiglia di Maria Elena Boschi, allora e tuttora fedelissima di Matteo Renzi, nessuna ammissione: «Non ho mai fatto favori a nessuno».

 

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