Diciotti, ai giudici di Catania pure atti di Conte e Di Maio

Il presidente della Giunta, Maurizio Gasparri, ha presentato, come relatore, la sua proposta: il no all'autorizzazione a procedere. Per Gasparri i fatti della Diciotti erano "parte di un tentativo strategico dell'Esecutivo di risolvere in maniera strutturale il problema dell'immigrazione irregolare". E per questo la Giunta "non può che limitarsi al riscontro delle finalità indicate dalla legge costituzionale, senza estendere la propria valutazione alla scelta dei mezzi per conseguirle. L'autonomia della funzione di governo presuppone anche autonomia nella scelta dei mezzi e non solo quindi dei fini da perseguire".

Oggi i senatori sono chiamati a valutare la memoria trasmessa dal ministro sulla vicenda dei 177 migranti trattenuti per diversi giorni sulla nave della Guardia Costiera.

E oggi l'organismo parlamentare che valuta le richieste di autorizzazione a procedere nei confronti di deputati e senatori ha deciso di inviare a Catania pure i documenti che Conte, Di Maio e Toninelli hanno allegato alla difesa di Salvini per rivendicare un'azione unitaria dell'intero governo. La richiesta era arrivata dall'ex presidente del Senato, Pietro Grasso, e dall'ex M5S Gregorio De Falco, secondo cui i giudici etnei devono valutare anche la posizione del premier e degli altri ministri prima che la Giunta prenda una posizione.

Intanto lo scontro è aperto.Uno non ha i numeri in Parlamento e l'altro non ha la forza di imporsi se non mettendo a rischio il governo. Sulla Tav si consuma la paralisi perfetta. Un gioco di interdizione tra M5S e Lega che sulla carta rappresenta una sorta di pareggio che potrebbe tornare utile in vista delle elezioni europee. D'altra parte per mettere la parola fine alla Torino-Lione occorrerebbe presentare in Parlamento un disegno di legge in grado di cancellare la legge obiettivo del gennaio 2017 che recepì il trattato siglato con la Francia. Da Torino i grillini in consiglio comunale proprio questo chiedono quando, con la capogruppo Valentina Sganga, invitano il governo «a mettere da parte i tatticismi» «fermando definitivamente tutti gli appalti» attraverso una «legge che cancelli i trattati internazionali». Ma Luigi Di Maio non ha i voti per tentare il blitz e Salvini non ha intenzione di affondare il coltello mettendo sul piatto le percentuali abruzzesi.

Di Maio è in forte difficoltà soprattutto nel Movimento, «ma prima di suicidarsi o di essere suicidato - assicurano i suoi - è pronto ad indossare la cintura esplosiva» per tirare giù il vicepremier leghista e il premier Conte. I rapporti tra Di Maio e Conte sono da qualche settimana molto complicati anche per i sospetti che viaggiano tra i grillini sul conto del premier e di un suo futuro impegno diretto in politica. Fatto sta che ieri Salvini ha difeso Conte dagli attacchi ricevuti a Strasburgo. Il M5S non è andato oltre il seppur stimato capogruppo Francesco D'Uva.

La Lega, così come le opposizioni in coro, contestano le modalità di realizzazione dell'analisi da parte del Mit. "Chi l'ha già letta - spiegava ieri sera Salvini - mi dice che ci sono dati un po' strani che ci confermano l'idea di andare avanti". Alcuni aspetti lasciano dubbiosi i leghisti, "come l'aver inserito i mancati introiti per le accise e i pedaggi", spiega Edoardo Rixi, viceministro ai Trasporti. Le politiche nazionali ed europee, infatti, "puntano a una riduzione delle emissioni e non possiamo certo oberare i viadotti e la rete autostradale con altro carico veicolare". "Questa è un'analisi economica e non politica", si difende però il professor Marco Guido Ponti, membro della commissione, chiamato in audizione in Parlamento. "Ha tutti i vizi e le virtù di un'analisi economica - insiste - ma pretendere la perfezione per una cosa che tende al futuro è impossibile". Ma per Elena Maccanti (Lega) nel testo risalta "l'assenza della voce benefici": "La Bocconi - dice - ha già calcolato 9 miliardi di ricadute per l’indotto", senza contare "i livelli di inadeguatezza della linea ferroviaria esistente".

Il governo si trova ad un bivio. Ora che l'analisi costi-benefici è (finalmente) arrivata, i gialloverdi dovranno prendere una decisione in un senso o nell'altro. Un modo per uscire dall'impasse potrebbe essere la consultazione popolare. Per Rixi infatti il vero tema è "se si vuole fare l'opera oppure no". Se l'obiettivo è concluderla, allora i modi per risparmiare quei miliardi di troppo "ci sono". Ad esempio, dice il leghista, "si può usare la Relazione Ponti per far capire all'Europa che c'è bisogno di più risorse europee", oppure per rivedere il "sovra-finanziamento da parte italiana". Poi "si possono risparmiare circa 1,5 miliardi di euro su opere in territorio italiano e si potrebbero investire altri 2 miliardi su altre opere nel quadrante nordovest". Diverso è se l'obiettivo grillino è quello di non realizzare l'opera a tutti i costi. In questo caso, se il M5S facesse muro, la Lega pensa di puntare tutte le proprie fiches sul referendum: "Sono sempre stato favorevole", fa sapere Salvini. Che in attesa della Tav intanto sale sui trenini per bambini.

Andrea Giuricin, professore associato di Economia dei trasporti all'Università di Milano Bicocca, secondo il quotidiano il Giornale è convinto che la politica abbia evitato di assumersi una propria responsabilità nascondendosi dietro le cifre. Ma ci sono alcuni bug nell'intero impianto della relazione pubblicata ieri che si possono evidenziare.

«Fare un'analisi costi-benefici su un'opera così duratura nel tempo», spiega Giuricin,al quotidiano il Giornale, ha un'efficacia limitata perché «le considerazioni sono in gran parte basate sui valori attuali che vengono proiettati sull'orizzonte di durata dell'opera» che si può stimare in 100-150 anni. Ma in questo periodo «il progresso tecnologico è difficilmente calcolabile». Ad esempio, le perdite stimate in termini di minor gettito delle accise e dei pedaggi autostradali con il ricorso alla ferrovia potrebbero non essere tali se la mobilità su gomma si spostasse tutta sull'elettrico, «a meno che non si inventi una tassa sull'elettricità».

I minori introiti per lo Stato sono cifrati in media a 1,6 miliardi di euro, ma - come osservato dal professor Massimo Tavoni del Politecnico di Milano - non c'è univocità sull'adozione di questo parametro come «esternalità negativa» o costo di un'opera pubblica. In ogni caso, ha osservato Tavoni, «correggendo per le accise, il valore attuale netto si dimezza e se si fa lo stesso anche per i pedaggi, diventa positivo».

Secondo i dati dell'Epa, agenzia Ue per la protezione dell'ambiente, nel comparto del trasporto merci i camion emettono 10 volte più anidride carbonica rispetto ai treni. «A questo - osserva Giuricin - bisogna aggiungere che l'incidentalità è 36 volte più bassa». Ammesso che le accise siano un costo, argomenta, «bisogna fare una scelta politica accettando un'eventuale perdita perché le vite umane sono più importanti dell'introito del pedaggio» e perché una strategia positiva è «un network europeo che funziona bene con treni lunghi e pesanti».

«Le scelte politiche sono distorte dalla scelta di un singolo metodo di analisi che, probabilmente, non è il migliore e danneggia l'ambiente», aggiunge Giuricin rilevando come nel dossier non si utilizzi il parametro del costo per chilometro dei treni. Probabilmente, si intuisce, ne evidenzierebbe la competitività. Anche Tavoni aveva evidenziato come apparissero sottostimati sia i benefici della minor congestione stradale che del minor tempo per trasportare le merci.

Tra i metodi di valutazione citati da Giuricin c'è quello comunemente definito «costo del non fare». Si basa sull'impatto economico dell'opera sulla catena del valore. Sebbene anch'esso parziale, fornisce una prospettiva differente. All'uopo si può citare lo studio del gruppo Clas firmato da Lanfranco Senn e Roberto Zucchetti della Bocconi. La Tav Torino-Lione apporterebbe 10,6 miliardi di valore aggiunto ripartiti tra 3,6 di cantiere, 3,7 tra aziende e fornitori e 3,2 tra salari, nuova forza lavoro e giro d'affari. L'infrastruttura creerebbe 52mila posti di lavoro (il 76% nel comparto edile) e nel periodo 2020-2028 Dal 2020 al 2028, a fronte di una spesa annua di 350 milioni per i lavori, genererebbe un aumento di Pil annuo di 1,32 miliardi con un saldo positivo di 970 milioni. Si tratta dei dati che il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha citato come condizione sufficiente per non fermare la Tav.

«C'è un elemento reputazionale - conclude Giuricin al quotidiano il giornale - derivante non solo dal pagamento delle penali, ma anche dall'impatto economico sui player che non investirebbero più in Italia per l'inaffidabilità dei governi: vale qualche miliardo».

Per l’Italia terminare la Torino-Lione costerebbe ancora 4,7 miliardi: 3 per la tratta internazionale e 1,7 miliardi per la parte domestica. Nell’ipotesi suggerita dalla Lega di congelare gli investimenti sulla tratta italiana si scenderebbe a 3. Bloccare l’opera e scegliere di non realizzarla, costerà invece, 3,2 miliardi: 1,7 per risarcimenti e penali imposte da Francia e Unione europea; 1,5 per riammodernare il vecchio tunnel del Frejus. La scelta che il governo ha di fronte a sé è questa, per come emerge dall’analisi consegnata dal professor Ponti e dalla valutazione giuridica dell’avvocato Pasquale Pucciariello.

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