Battisti, il piano per riprendere i latitanti

Un elenco di nomi redatto dal Viminale e che include i terroristi "bianchi, rossi, neri", dice Salvini ricercati nel Belpaese per crimini di cui non hanno mai saldato il conto. Latitanti, tecnicamente. Protetti da anni di dottrina Mitterrand come "rifugiati" politici nel Paese d'Oltralpe e mai estradati.

Per ora, però, la Francia mantiene il totale riserbo. "Le richieste di estradizione che riceveremo nei prossimi giorni dalle autorità italiane, saranno oggetto di analisi approfondite, caso per caso, come accade da una quindicina di anno", ha detto il ministero della Giustizia francese. Secondo i francesi, riporta il Messaggero, "non c'è alcuna lista". 

Ed è per questo che il Viminale è pronta a consegnarla alle diplomazie così da eliminare ogni alibi. "Sarà più che un appello, saremo convincenti. Se qualcuno protegge i terroristi, siano rossi, siano neri o bianchi, fa il piacere di restituirli all'Italia", ha spiegato chiaramente Salvini.

Il piano per riavere i latitanti, dunque, parte dal dossier che metterà in chiaro le situazioni dei diretti interessati. Poi forse le elezioni europee e gli eventuali effetti sulla politica francese potrebbero fare il resto. Come successo per Battisti, che con l'arrivo di Bolsonaro alla guida del Brasile ha visto cadere la sua rete di protezione.

Ventisette in tutto, dei quali 12 solo in Francia. È questo il dato ufficiale che arriva dal Dipartimento di Pubblica sicurezza. Ne sono scappati a centinaia tra terroristi neri e rossi, negli anni di piombo, una cinquantina sono rimasti nella lista dei ricercati per moltissimi anni. Alcuni hanno scelto i paesi del centro e sud americani, Brasile, Nicaragua e Perù. Altri il Giappone e la Gran Bretagna. 

Ora, dopo la cattura di Cesare Battisti, il numero di chi ancora avrebbe da scontare anni di carcere si è dimezzato. E su di loro le intenzioni del Governo sembrano chiare: «Riportarne indietro quanti più possibile». Ma tra il dire e il fare ci sono le varie condizioni imposte dagli stati che li ospitano. Molti hanno la cittadinanza, alcuni sono diventati imprenditori di un certo rilievo, e difficilmente verranno ceduti all'Italia. Obiettivo, quindi, è puntare sulla Francia. 

Proprio in queste ore, infatti, il Viminale sta lavorando alla nuova documentazione che verrà consegnata alla Francia. Dossier e informazioni aggiornate che saranno trasmesse a breve.

Negli anni Ottanta se ne contarono anche 400, erano gli anni in cui la Dottrina Mitterrand sembrava intoccabile, la parola d'onore di un paese che apriva le porte a chi scappava prima di tutto da una fase storica chiusa e non da una condanna. Nel 2002, con il mandato europeo entrato in vigore, Berlusconi e Chirac ai vertici, ci fu la svolta: Paolo Persichetti venne riconsegnato all'Italia. Anche allora venne fuori una lista: comprendeva settanta nomi. Nel tempo si sono ridotti: le prescrizioni, i decessi, e poi quelli che sono tornati spontaneamente.

Per i diretti interessati, non si tratta più di giustizia ma di «vendetta». Anche perché - dicono - c'è chi aperto un ristorante, come Maurizio di Marzio, chi fa il traduttore e insegna l'italiano come Giovanni Alimonti, c'è chi ha lavorato per una casa editrice di fumetti ed è stato per anni rappresentante dei genitori a scuola, come Roberta Cappelli, chi è stato già graziato da Nicolas Sarkozy per motivi di salute, come Marina Petrella. Insomma, la battaglia italiana parte in salita. I francesi, infatti, non sembrano essere d'accordo nemmeno sul numero delle persone che andrebbero rimpatriate. «Non c'è alcuna lista», affermano.

L'Italia ha più volte tentato di riavere indietro Alessio Casimirri, il brigatista che faceva parte del commando che ha sequestrato Aldo Moro e ucciso gli uomini della scorta. «Nel 1993 eravamo a un passo dal farlo rientrare in Italia - racconta Carlo Parolisi, agente del Sisde, ora in pensione - Poi un scoop giornalistico ha fatto saltare tutto». Condannato a sei ergastoli, Casimirri non ha mai passato un giorno in cella e da 37 anni vive in Nicaragua, dove ha moglie e figli oltre che una fiorente attività da ristoratore. Talmente fiorente che nella capitale, a Managua, il suo locale Gastronomia El Buzo Il sub ha guadagnato il primo posto nella classifica di Trip advisor. Viene indicato per l'ottimo pesce, e lo chef è proprio Casimirri.

Se ci si sposta di paese, in Brasile, si trova un altro terrorista che ho scelto di esibirsi in cucina: Luciano Pessina, esponente di punta di Prima linea, condannato a 12 anni e 4 mesi per reati che comprendono rapina, furto e detenzione illegale di armi. «I miei reati sono stati prescritti - dice - L'Italia ha chiesto la mia estradizione ma il Brasile l'ha negata e la cosa è finita lì». A Rio, ha preferito il mestolo al mitra. Oltre 20 anni fa ha aperto un ristorante, Osteria all'angolo, che ha chiuso i battenti l'anno scorso. Ma solo perché l'attività si è spostata a Copacabana, con Pasta&Vino, un piccolo negozio dove viene venduta pasta fatta in casa. Perché in Italia, Pessina si guarda bene dal tornare, ma sui prodotti del suo paese ci guadagna, eccome.

Intanto Davigo spegne le polemiche che nelle ultime ore hanno coinvolto il ministro degli Interni, Matteo Salvini e quello della Giustizia, Alfonso Bonafede. Di certo le istituzioni non hanno potuto nascondere l'esultanza per un arresto atteso da 37 anni. Sulla pista di Ciampino è arrivato un monito chiaro a chi pensa di poter sfuggire alla giustizia italiana.

Il consigliere superiore della magistratura in un'intervista al Fatto non critica i ministri che si sono esposti in prima fila per la cattura dell'ex terrorista dei Pac. "Un ministro è a capo di una branca della Pubblica amministrazione. È normale che rivendichi i meriti dell'amministrazione che dirige. Poi le forme con cui manifesta la sua soddisfazione non sta a me giudicarle". A questo punto arriva l'affondo per chi critica questo tipo di esposizione mediatica dell'arresto di un assassino come Battisti: "In Italia c'è libertà di manifestazione del pensiero, dunque anche di andare a eventi di questo tipo. Ma mi sono sempre meravigliato di quelli che si dicono garantisti e sono attentissimi ai diritti degli imputati, ma niente affatto a quelli delle vittime di reati".

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E dal 2004, quando Jacques Chirac decide di mettere fine a questa situazione, così, la giustizia francese dà il via libera alla sua estradizione. Ma gli intellettuali lo difendono: Fred Vargas, Bernard-Henri Levy, Tiziano Scarpa, Christian Raimo, Daniel Pennac, Vauro e Davide Ferrario.

A quel punto, il terrorista fugge in Brasile sotto falsa identità, e, a suo dire con l’aiuto dei servizi segreti di Parigi. Il 18 marzo del 2007, dopo tre anni in clandestinità, viene arrestato a Rio de Janeiro e spedito nel carcere di Brasilia, dove ci resta per quattro anni dicendo anche di “morire in Brasile piuttosto che tornare in Italia”.

Nel 2009 il ministro della Giustizia del governo Lula, Tarso Genro, gli concede l’asilo politico. Il 18 novembre del 2009 la Corte suprema brasiliana autorizza l’estradizione di Battisti, ma lascia l’ultima parola al presidente Lula, che nell’ultimo giorno del suo mandato, il 31 dicembre 2010, rifiuta di estradarlo con decreto. A giugno del 2011,gli viene assegnato un permesso di residenza permanente in Brasile.

Nel 2015 un giudice federale ordina la sua espulsione in Messico o in Francia. La polizia lo arresta, ma poi viene scarcerato. A ottobre 2017 viene arrestato, questa volta al confine con la Bolivia. Rilasciato, fino ad aprile del 2018 è sottoposto a obbligo di firma e della sorveglianza elettronica.

Dopo la cattura di Cesare Battisti, Salvini e pronto a tornare alla carica con Macron. Non che i rapporti tra i due siano ottimali come quelli con Bolsonaro in Brasile, ma il presidente francese è in evidente difficoltà interna e non è detto che abbia interesse a difendere le ragioni dei protagonisti di vecchie storie di 30 e passa anni fa. E certo a Salvini non dispiacerà di mettere ulteriore carne sul fuoco di un già asserragliato Macron.

Secondo quanto riporta il Messaggero, in queste ore al ministero dell'Interno stanno lavorando a "una nuova documentazione" da inviare alla Francia. Ci saranno tutte le informazioni aggiornate su latitanti e ricercati che il Dipartimento di pubblica sicurezza pensa siano nascosti in Francia. Dovrebbero essere 12 (su 27 in totale, gli altri sono sparsi per il mondo). In fondo ieri è stata la leader del RN, Marine Le Pen, a far intendere che se l'aria politica cambiasse, allora Parigi sarebbe pronta a riconsegnarci gli ex terroristi.

L'”inizio della fine” della latitanza boliviana di Cesare Battisti comincia a Santa Cruz de la Sierra, precisamente al residence Casona Azul, sulla Radial 21, una stradona dell’estrema periferia ovest della metropoli a poche centinaia di metri dal quarto anello di circonvallazione.

Battisti è arrivato al residence la notte del 16 novembre a bordo di un Suv Toyota Rav4 color scuro accompagnato da un amico, un individuo descritto come alto, in carne e con i capelli corti e la pelle chiara, istruito, molto probabilmente un locale e unico soggetto che ha più volte visitato il latitante durante il suo breve soggiorno al residence; è stato proprio questo suo amico a fare il check-in per poi allontanarsi e lasciare la stanza a Battisti che viaggiava con bagaglio leggero.

Violenza, rapine, omicidi, terrorismo. La vita di Cesare Battisti è segnata da una continua fuga dalla giustizia. Che adesso, con il suo arresto, sembra essersi definitivamente interrotta. E l’Italia attende il ritorno di un assassino, prima ancora che di un “ex” terrorista.

Nato 63 anni fa a Cisterna di Latina, Battisti inizia la sua carriera criminale sin da giovane per alcuni reati comuni. Nessuna giustizia proletaria, nessuna idea, nessun vento ideologico: semplice violenza e furti.

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Dal carcere, inizia ad avvicinarsi alla sinistra estrema. E alla fine degli anni Settanta entra nei Pac, un piccolo e quasi insignificante gruppo armato del terrorismo di sinistra che si è specializzato in rapine come “espropri proletari”. “Pretendere di cambiare il mondo con le armi è una stupidaggine ma a quell’epoca tutti avevano delle pistole”, disse nel 1991 Battisti. Ma intanto il sangue scorreva a fiumi, mentre il comunismo serviva più per dare una parvenza di mito a una semplice e orribile  criminalità.

Arrestato nel 1979 a Milano, Battisti evade nel 1981 dal carcere di Frosinone. La giustizia italiana lo condanna in via definitiva per quattro omicidi tra il 1978 e il 1979, di cui due come esecutore materiale. Il terrorista si dichiara innocente. Ma i tribunali sono di ben altro avviso.

Sotto i colpi delle sue azioni e dei Pac, muoiono la guardia carceraria Andrea Santoro a Udine, il gioielliere Pierluigi Torregiani a Milano e il macellaio Lino Sabbadin, questa volta a Mestre. Gli ultimi due innocenti sono stati uccisi perché avevano sparato a dei rapinatori. Il figlio di Torregiani, Alberto, allora 15enne cade vittima dell’agguato rimanendo paralizzato. L’ultima vittima è il poliziotto Andrea Campagna, ucciso a Milano.

 

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