Skinhead nella sede pro-migranti a Como

I tredici militanti, tutti con teste rasate e vestiti con giubbotti neri, sono entrati nel locale e si sono messi attorno al tavolo dove stavano discutendo una decina di persone, hanno interrotto la riunione e un portavoce ha letto il testo di un volantino dal titolo «Como Senza Frontiere: ipocriti di mestiere!». Nel testo c'erano critiche alle politiche nazionali sull'immigrazione «l'invasione» e alle associazioni in particolare, accusate di essere composte «di soloni dell'immigrazione ad ogni costo», guidate da una «logica schiavista» e una «logica malata».

Copie del volantino sono state distribuite ai presenti. Dopo la lettura della nota, i militanti di estrema destra si sono allontanati. Il tutto è avvenuto senza violenza o alterchi. La vicenda ha prevedibilmente provocato una lunga serie di reazioni che denunciano la gravità dell'irruzione. I diretti interessati, vale a dire i componenti della rete Como Senza Frontiere, parlano di «pesante intimidazione» e hanno stigmatizzato il rischio «di una pericolosissima deriva di stampo fascista, con vari gruppuscoli neofascisti che cercano consenso e creano guerra tra poveri, odio razziale, intolleranza e tensione».

Intanto sono stati identificati e denunciati dalla Digos quattro dei sedici giovani del gruppo di estrema destra 'Veneto Fronte Skinheads' che ieri sera hanno interrotto una riunione pubblica della rete 'Como senza frontiere' per leggere un volantino di accuse nei confronti della rete stessa e contro l'immigrazione.

I quattro skinheads finora identificati sono comaschi legati a frange di ultrà già conosciuti dalla polizia: la Digos sta identificando anche gli altri che verranno denunciati per il reato di violenza privata. L'irruzione è avvenuta alle 21.30 durante un'assemblea organizzata dalla rete 'Como Senza Frontierè, gruppo costituito da associazioni e movimenti tra gli altri Arci, Acli, Cgil,gruppi di sinistra e del volontariato attivi nell'accoglienza dei migranti, una rete nata sull'onda dell'emergenza dello scorso anno a Como e che si propone lo scopo di «modificare la percezione del fenomeno migratorio veicolando un'informazione solidale, non violenta, antirazzista e antifascista».

Dopo la lettura della nota, i militanti di estrema destra si sono allontanati. Il tutto è avvenuto senza violenza o alterchi. ma il clima da Repubblica di Weimar, nazismo alle porte, l'ombra nera sull'Italia. Il blitz degli skinhead ha svariati precedenti, ed e questo e il paradosso ma a sinistra. 

A Daniela Santanchè, donna di destra quindi meno rispettabile, ha raccontato in diretta, mentre discuteva di ius soli con Fiano del Pd il deputato che vuol mettere in carcere chi ha una immagine di Mussolini in casa di aver ricevuto un tremendo insulto più minaccia di morte come se niente fosse «Mi è appena arrivato su Twitter Sei una put... da uccidere». Ancora a Napoli l'ex candidato sindaco di centrodestra, Gianni Lettieri, denunciò un'aggressione per strada da parte degli attivisti di una casa occupata. 

Ne sanno qualcosa gli ex ministri Renato Brunetta e Mariastella Gelmini, bersaglio prediletto degli attivisti e centri sociali per le battaglie sui furbetti della pubblica amministrazione e sulla scuola, feudo della contestazione di sinistra. Brunetta, durante un convegno, fu vittima di un blitz della «Rete dei precari» fischi, insulti, striscioni a cui replicò definendoli «l'Italia peggiore». Non l'avesse mai fatto: «Diecimila post di insulti, minacce, addirittura pallottole, sul mio profilo Facebook. Molti legati anche alla mia statura fisica» calcolò l'allora ministro, sempre preciso anche nella contabilità degli insulti ricevuti. Per la Gelmini, si inventò persino un No Gelmini Day, con i collettivi studenteschi in piazza, al grido «Ci vogliono ignoranti, ci avranno ribelli», ma pure senza un chiaro nesso logico «Siamo tutti antirazzisti e antifascisti». Coi fumogeni e i lanci di uova. Tanto i fascisti sono solo a destra.

Aggressioni, minacce, lanci di uova, però più politicamente corretti rispetto a quattro teste rasate, e quindi non meritevoli di allarme per la democrazia in pericolo. Eppure a lungo, per un giornalista come Giampaolo Pansa colpevole di aver messo in discussione la vulgata partigiana sulla guerra civile italiana dopo l'8 settembre, è stato quasi impossibile presentare un semplice libro, considerato negazionista dall'estremismo rosso che accoglieva le presentazioni con insulti, minacce, propaganda a pugni chiusi. Qualche cenno di solidarietà in privato dai leader di sinistra, ma mai pubblico, perché Pansa è un diffamatore della Resistenza, un nemico del popolo. Identica sorte toccata ad Angelo Panebianco, editorialista del Corriere e docente all'Università di Bologna: «Fuori i baroni dalla guerra», gli hanno urlato i collettivi lo scorso febbraio, durante la sua lezione. «Panebianco cuore nero», la scritta lasciata dai centri sociali sulla porta del suo ufficio anni fa.

Dalla presidente della Camera al leader del Pd Matteo Renzi fino al numero uno di Si Nicola Fratoianni e a Francesco Laforgia di Mdp, su una cosa finalmente si trovano d'accordo. Ed è già fissata la data: 9 dicembre a Como, una grande manifestazione «contro ogni intolleranza», annuncia il vicesegretario dem Maurizio Martina.

Superiamo le divisioni, è l'appello di Renzi, e la «condanna sia unanime». D'accordo sull'appuntamento del 9 è il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che nel Pd rappresenta la minoranza. E la Boldrini chiede di «ricorrere a misure adeguate anche con una mobilitazione civile».

La Cgil ha invece chiesto al Prefetto di Como la convocazione di un tavolo che veda un'ampia partecipazione delle forze sociali democratiche. Numerose le attestazioni di denuncia a solidarietà da parte di esponenti di Pd, Sinistra Italiana, Verdi Mdp, Possibile, Cigl e Fim Cisl. La vicenda è anche oggetto di un'interrogazione al ministro dell'Interno Minniti firmata dai deputati Pd Emanuele Fiano, Chiara Braga e Mauro Guerra che parlano di «intimidazione in stile squadristico» e di «azione gravissima e inaccettabile». Per questo chiedono al ministro «quali interventi ritenga opportuni per affrontare quella che sta divenendo per molti territori del nostro Paese una reale emergenza». 

«Il problema dell'Italia è Renzi - dice Matteo Salvini - non è il fascismo che non può tornare, né le fake news che non esistono. Da una settimana assistiamo a dibattiti surreali. Ovvio che non si entra in casa d'altri non invitati e non è quello il modo di risolvere i problemi. Bene, invece, fanno i nostri sindaci che con azioni concrete combattono l'invasione di immigrati».

«Maroni fa bene il presidente della Regione, ma ognuno deve fare il suo mestiere», ha poi aggiunto il leader della Lega rispondendo alla domanda di un cronista sulle dichiarazioni rilasciate dal president edella regione Lombardia  Roberto Maroni, che ha condannato fermamente l'episodio di Como dicendo che «la Lega non è né di destra, né di sinistra». Per Salvini il problema vero è l'immigrazione incontrollata. «Il 10 dicembre a Roma abbiamo organizzato una manifestazione nazionale su legalità, sicurezza, protezione per i confini e interesse per gli italiani. Solo l'Italia sta subendo un'immigrazione simile, senza reagire, anzi incentivandola», ha proseguito Salvini.

«La violenza di qualunque colore va condannata - ha aggiunto il capo leghista -. E io sono spesso vittima di violenza della cosiddetta sinistra, e mi piacerebbe che ci fosse altrettanta attenzione quando ci sono i centri sociali a picchiare, non a leggere i volantini, ma a picchiare leghisti e poliziotti. Un razzista è un idiota, uno che si ritiene superiore a qualcun altro ha dei problemi mentali. Io non mi ritengo superiore a nessun altro però pretendo che se do rispetto chi arriva a casa mia porti rispetto. Rispetti la nostra storia, la nostra cultura, la nostra tradizione, il nostro concetto di famiglia», ha sottolineato ancora Salvini su RaiTre.

«Ho fatto un appello per condannare agli skinheads, che negano la Shoah e parlano bene di Hitler», aveva detto Matteo Renzi, intervenendo a Radio Capital. « Salvini ha detto quello che ha detto, Meloni che sono ridicolo, è pazzesco, mi colpisce che attaccano me, invece di dire che questi sono fuori dal mondo, è una cosa pazzesca».

«Il problema vero non sono i quattro ragazzi che hanno fatto irruzione, ma un'immigrazione fuori controllo, voluta da qualcuno, organizzata e alimentata da una certa sinistra che fa favori ai poteri forti e cerca lo scontro sociale». Così il leader della Lega, Matteo Salvini, a Castel Volturno (Caserta), sul blitz dei neofascisti a Como.

Intanto l'avvicinamento alla sfida di stasera contro la Juventus è passato in secondo piano oggi a Napoli, dove l'argomento del giorno è la foto di Lorenzo Insigne e José Callejon, insieme al vicepresidente del Napoli Edoardo De Laurentiis, con Mattteo Salvini. I napoletani si sono scatenati in migliaia di post di delusione e rabbia dopo aver visto lo scatto del leader della Lega che ieri è stato in visita a Castel Volturno, dove ha sede anche il quartier generale del Napoli. Il più bersagliato, da napoletano, è ovviamente Insigne. 

«Questa foto è un calcio in faccia alla nostra città, da napoletano che punta ad essere un simbolo per questi colori e questa città dovresti vergognarti! La Lega Nord ci ha chiamati »Terroni e colerosi« per decenni ed ora si ricordano del Sud per racimolare qualche voto in più! La maglia si onora anche fuori dal campo», scrive un utente su una pagina dedicata di solito alla celebrazione delle imprese di «Lorenzinho». E anche su Twitter c'è una valanga di polemiche. «Profonda vergogna per Insigne che da napoletano avrebbe dovuto rifiutare la richiesta di una foto da quest'uomo. Uno che mai ha rispettato la nostra identità e il nostro amore per Napoli», scrive un utente, mentre molti rivedono anche l'idea di asssegnare a Insigne la maglia numero 10: «Ma quello della foto con Salvini, è lo stesso Insigne a cui si vuole dare la numero 10, simbolo della napoletanitá?», scrive un utente di Facebook.

Giorgia Meloni riconosce che si tratta di «un atto di intimidazione e per me l'intimidazione è inaccettabile», però trova «ridicolo» l'appello di Renzi, perché «non è un atto di violenza». Quella, sottolinea la leader di Fdi, « l'abbiamo invece vista un sacco di volte dai compagni dei centri sociali, quelli che distruggono intere città e bruciano le macchine degli italiani, e nessuno ha mai fatto gli appelli per la condanna di quelle violenze. Quello si può fare. Perché è gente di sinistra».

Ma proprio di violenza parla Renzi, che su Twitter chiede a tutte le forze politiche di essere unanimi nella condanna e cerca di far emergere le differenze nel centrodestra: «Qualsiasi gesto di violenza va condannato senza se e senza ma. Intimidazioni e provocazioni di segno fascistoide vanno respinti non solo dalla sinistra ma da tutta la comunità politica nazionale, senza eccezione alcuna. Su questi temi non si scherza». Tony Iwobi, responsabile Immigrazione della Lega Nord, risponde che «la responsabilità politica delle tensioni nel nostro Paese, compreso quanto accaduto a Como, è soltanto del Pd e dei governi Renzi-Gentiloni».

Poi c'è il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, «meravigliato che negli ambienti di destra non prendano radicalmente le distanze». Mentre Francesco Laforgia di Mdp, annuncia un'interrogazione al ministro dell'Interno. E Ivan Rota di Idv esorta Salvini a «pesare meglio le parole».

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