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Dalle primavere arabe all'inverno islamista

Ormai sono oltre cinque anni che si combatte in Siria e secondo l'Osservatorio siriano dei diritti dell'uomo(OSDH), il bilancio reale del conflitto ammonterebbe a 370.000 morti, e siamo fermi a qualche anno fa. Mentre il bilancio umanitario è catastrofico, secondo l'ONU, si stima che all'inizio del 2016 fossero quattro milioni i rifugiati siriani al di fuori del loro paese,“la più grande popolazione di rifugiati in un unico conflitto e in una sola generazione”. La Turchia e il Libano ospitano più della metà di questi rifugiati. Vorrei far presente che interessarsi del “caos siriano”, non è una questione accademica, ma interessa direttamente anche a noi. Secondo Randa Kassis e Alexandre Del Valle, autori di “Comprendere il caos siriano” , pubblicato nel mese di gennaio di quest'anno da D'Ettoris Editori,“il mondo non aveva conosciuto ancora una crisi umanitaria così drammatica, con un numero così alto di rifugiati e di profughi”.

Le conseguenze geopolitiche dei flussi di rifugiati per i paesi vicini e per l'Unione Europea sono un grosso problema, se si aggiungono ai flussi migratori provenienti dall'Africa, che sono ormai raddoppiati rispetto all'anno scorso, la situazione diventa esplosiva, per l'equilibrio politico economico dell'Europa.

Pertanto sarebbe utile documentarsi meglio su cosa è successo e succede in questi territori del Medio Oriente e in particolare in Siria. Il saggio pubblicato dalla D'Ettoris Editori aiuta molto a capire. In particolare i due capitoli dove si affrontano le cosiddette “primavere arabe”, e la questione delle minoranze, non solo in Siria, ma anche in altri paesi del Medio Oriente.

Per quanto riguarda la prima questione, scrivono Kassis e Del Valle:“La Primavera araba è stata percepita sin dal suo inizio come il primo scontro faccia a faccia mai avvenuto all'interno dei paesi arabi tra la società civile da una parte e il mondo religioso e i poteri dittatoriali secolarizza dall'altra”. In effetti la sollevazione della popolazione tunisina, con la cosiddetta “rivoluzione del Gelsomino”, ha inaugurato una nuova era per i paesi arabi. Per la prima volta viene messa in discussione il potere della religione sul piano sociale e politico e lo stesso autoritarismo dei vari regimi.

Gli autori del libro sottolineano l'influsso di internet, della rete, dove si affrontano laici, islamisti, moderati ed estremisti. Addirittura si fa riferimento a una guerra internazionale, a uno scontro tra muri social e tra blog. Qualcuno l'ha paragonata alle famose “rivoluzioni di velluto”, del secolo scorso, all'interno dell'ex Unione Sovietica.

Nel libro si fa riferimento a un testo di uno studioso americano, Gene Sharp, che aiutato da alcuni veterani di Solidarnocs, ha scritto un libro,“Dalla dittatura alla democrazia” (1993) utilizzato in Serbia per far cadere pacificamente il regime di Milosevic e pare abbia ispirato i movimenti democratici in Tunisia e in Egitto. Naturalmente si tiene a precisare che questo non significa che le rivolte delle primavere arabe siano state fomentate dagli USA, o dai servizi segreti degli Stati occidentali. C'erano già sufficienti motivi per le ribellioni, mancava solo la scintilla, “che verrà accesa da un venditore di legumi tunisino”.

Un altro aspetto che viene evidenziato nel libro è il Progressismo e l'ateismo presente nei vari attivisti delle primavere. Molti attivisti, intellettuali erano atei e hanno cominciato ad esprimersi liberamente all'interno del mondo virtuale con facebook e altri blog. Nel libro si fanno i nomi di alcuni giovani rivoluzionari fondatori di movimenti per il diritto d'espressione. Alcuni hanno dichiarato il loro ateismo rischiando la vita in piazza Tahir al Cairo. Addirittura si tenta di dare delle cifre sugli atei presenti in questi paesi arabi.

Gli autori del libro, ammettono che queste forze progressiste, però non erano quelle meglio armate e più organizzate. Erano quelle islamiste e oltranziste che rapidamente si son impadronite delle rivolte, vincendo anche con la violenza le elezioni.

Pertanto dalla Tunisia allo Yemen, la rivoluzione viene confiscata dagli islamisti.

E così,“l'idea dominante all'interno dei media occidentali - secondo alcuni sicuramente un po' ingenua, anche se la storia delle rivolte è appena cominciata – era quella secondo la quale la Primavera araba avrebbe inaugurato, in seguito alla caduta dei regimi dittatoriali screditati e abbandonati dai loro sostenitori esterni, una nuova era democratica”. Questo non è successo perchè le società civili arabe non erano ancora mature per uscire dalla corruzione delle dittature o dalla tentazione dell'islamismo radicale. L'Occidente si è rappresentata una rivoluzione di comodo, non ha capito o non ha voluto capire che ormai stava avanzando dell'altro, invece dei movimenti liberali.

Tutti i media occidentali dopo la caduta del dittatore tunisino Ben Ali e di quello egiziano Mubarak, specialmente quelli francesi, “gridavano vittoria all'unisono e non tolleravano che si contraddicesse l'idea allora di moda, secondo la quale la 'minaccia islamista' era ormai superata, che essa non era più altro che un 'fantasma' agitato dai aprtigiani dello 'choc delle civiltà', dei ' sionisti' o dagli 'islamofobi'. Sempre secondo questi pseudi analisti,“la democrazia in marcia avrebbe ormai 'calmato' gli islamisti, permettendo loro dalle prigioni dei dittatori nazionalisti arabi e di organizzare delle libere elezioni”. In pratica non si comprende come questi jihadisti sarebbero diventati ora di colpo democratici e pacifisti. Comunque sia ovunque gli islamisti vincono le elezioni, e pertanto è stato rischioso fidarsi di loro.

La stragrande maggioranza degli editorialisti, leader politici in Occidente erano“estasiati demagogicamente al veder sfilare pacificamente in Piazza Tahir 'la gioventù araba assetata di giustizia, di democrazia, di modernità' e riunita dall'appello dei blog”. Successivamente però hanno dovuto ricredersi,“hanno finito per ammettere che il mondo arabo, ben lungi dall'essere immunizzato contro il fascismo verde, poteva eleggere democraticamente (Egitto) partiti islamisti, che difatti si sono appropriati rapidamente della rivoluzione, traviandola”. E così gli islamo-democratici hanno prontamente represso, una volta vinte le elezioni i rivoluzionari laici, che di fatto non hanno ricevuto nessun aiuto, né dall'occidente, dalle petromonarchie del Golfo, che invece finanziano i Fratelli musulmani e i salafiti.

Era evidente ormai che non era possibile una esistenza di un “islamismo democratico”. E' in questo periodo che tutti i jihadisti, in particolare ex di Al-Qaida, hanno conquistato territori e tagliato teste in Iraq e in Siria, destabilizzando tutta la regione, facendo affluire in Libia, in Iraq, in Siria, volontari salafiti jihadisti.

Pertanto si è passati velocemente dalla Primavera araba all'Inverno islamista. Questa confisca delle rivolte, ha indotto i primi “rivoluzionari” pacifici a scendere di nuovo in piazza affrontando i Fratelli musulmani e altri islamisti salafiti seguaci del mito del “califfato mondiale”. Praticamente, questi secondo Kassis e Del Valle,“alla fine hanno ben presto utilizzato gli stessi metodi dittatoriali dei despoti contro cui avevano combattuto per tanto tempo, con l'unica differenza che la loro bandiera non era più quella della loro nazione, bensì la bandiera nera, ancora più minacciosa, dell'internazionale salafita jihadista”. Uno sforzo notevole di propaganda islamista è stato fatto dalle due emittenti televisive, Al-Jazeera e Al-Arabiyya.

Gli autori completano il II capitolo, guardando a quello che succede nei vari paesi toccati dalle cosiddette primavere, partendo dalla Tunisia, fino alla Siria. Domandandosi se questi paesi sono territori di sperimentazioni dell'”islamismo moderato”.Da quello che ho letto le speranza sono poche, in tutti i Paesi c'è una forte spinta verso la sharia, che resta la fonte principale di ogni legislazione. E l'Islam è l'unico elemento unificatore,non solo la nostalgia per il califfato sembra coinvolgere la stragrande maggioranza dei gruppi islamisti, compresi quelli di Hamas, che martirizzano la Libia, l'Iraq e la Siria. Gli autori del testo che sto presentando mettono in guardia dal considerare gli amanti del califfato come degli “psicopatici isolati che non hanno nulla a che fare con l'islam reale”, anche perchè il califfato rappresenta il cuore stesso della civiltà islamica, è una costante.

Inoltre la Kassis e Del Valle evidenziano un altro aspetto che riguarda l'ideologia totalitaria teocratica wahhabita, presente nell'Arabia Saudita, paradossalmente, grande alleata degli USA. I sauditi hanno da sempre incoraggiato i gruppi islamisti sunniti e la Lega islamica mondiale che peraltro gestisce numerosi centri islamisti e numerose moschee godendo di un'immagine benevola presso gli Stati democratici occidentali, che ricevono i suoi rappresentanti e concedono loro privilegi.

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