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Di fronte ad ogni attentato terroristico islamista ormai da tempo si ripetono gli stessi commenti, le stesse reazioni, gli stessi rituali, c'è chi parla di guerra di religione, chi di guerra economica, chi di guerra civile interna all'islam, chi di scontro di civiltà. Forse sono tutte queste cose messe insieme. E' probabile che hanno ragione tutti quelli che accampano queste ipotesi. Di sicuro il terrorismo jihadista islamico ce lo porteremo con noi per molto tempo. Anzi qualcuno sostiene che entro dieci anni succederà qualcosa di grosso con protagonisti i terroristi del fondamentalismo islamico.

Tuttavia non bisogna illudersi il terrorismo prima o poi colpirà anche qui in Italia, lo scrive Giampaolo Pansa, su “La Verità” e sostiene che sono necessari leggi speciali e forse una “Guantanamo”. Dobbiamo combattere un nemico forse imbattibile. “Colpisce quando vuole e dove vuole, con una cadenza che nessuno è in grado di prevedere”. Abbiamo visto l'attentato contro i ragazzini che stavano uscendo dal Manchester Arena e poi subito dopo qualche giorno il massacro dei cristiani copti che stavano andando a pregare in una santuario in Egitto. L'ultimo in pieno centro a Kabul di ieri con oltre 90 morti. Certamente è una guerra mondiale a pezzi come ama dire papa Francesco.

Tutti sembrano concordi nel dire che“dobbiamo essere pronti a combattere questa guerra con il massimo della determinazione e dell'energia, sapendo che non potremo mai dirci sicuri, perchè non esiste questa possibilità”, lo scriveva qualche giorno fa Mario Calabresi, direttore di “Repubblica”. Allora se questi sono i termini per Pansa non resta che una sola strada:“adottare una ferrea strategia difensiva e blindarsi. In altre parole dovremo fare l'opposto di quanto siamo abituati a gridare nei cortei o nei talk show televisivi: 'le stragi del califfato non cambieranno il nostro modo di vivere!'. Invece saremo noi a mutarlo. E nel profondo”.

Pansa è convinto che bisogna abbandonare il concetto di “società aperta” e subito adottare leggi restrittive e limitare la libertà, inoltre occorre adeguare le nostre strutture carcerarie, magari creando una Guantanamo italiana.

Questi sono alcuni dei suggerimenti che si leggono e si ascoltano sui media e che possono essere utili per prevenire attacchi o scontri. Certamente bisognerebbe evitare di fare quegli errori che ha elencato il magistrato Alfredo Mantovano a proposito del terrorista italo tunisino Hosni Ismail, catturato nella Stazione Centrale a Milano. La questione per Mantovano non è che Hosni sia italiano, ma che fosse ancora a piede libero dopo aver commesso una serie di reati gravi. La stessa cosa si può dire per Anis Amri, l'attentatore al mercatino di Natale a Berlino. Tuttavia una volta attuate tutte le strategie difensive contro il terrorismo, non basta dobbiamo fare una svolta radicale, sono utili le considerazioni socio culturali e politiche espresse qualche giorno fa dal reggente nazionale di Alleanza Cattolica, Marco Invernizzi.

Per rispondere efficacemente al terrorismo islamista, all'odio ideologico del terrorismo del fondamentalismo jihadista islamico non si può rispondere con un altrettanto odio ideologico di matrice occidentale, come è stato fatto negli anni settanta del secolo scorso, quando, soprattutto in Italia si combatté il terrorismo comunista delle Brigate Rosse. Infatti per Invernizzi, in Italia stiamo vivendo dei tempi che assomigliano molto a quelli degli anni settanta, del dopo sessantotto.

Dopo la rivoluzione russa del 1917, l'odio ideologico comunista prese piede e tentò di conquistare il mondo. “Chi, come me, cercò di ribellarsi, impiegò del tempo a comprendere che quell’odio non poteva essere sconfitto da un altro odio, ma dal contrario dell’odio, dalla Verità e dall’amore. Fu allora che capii, troppo lentamente forse, il detto di Joseph de Maistre, che «la Contro-Rivoluzione non è una Rivoluzione di segno contrario, ma il contrario della Rivoluzione». Oggi viviamo una condizione analoga”.(M. Invernizzi, “Contro l'odio,l'amore per la Verità”, 28.5.17, in www.alleanzacattolica.org)

I terroristi islamici che hanno trucidato 28 cristiani copti, tra cui 8 bambini:“hanno chiesto loro di rinunciare a Cristo e di diventare musulmani. Se avessero accettato li avrebbero salvati, ma i pellegrini hanno rifiutato e così sono stati uccisi. Gli hanno messo la pistola sulla testa e sul collo per ucciderli in modo diretto”. E' importante conoscere questi drammatici dettagli, sono stati raccontati a La Verità da padre Antonio Gabriel, parroco della chiesa copta San Mina a Roma. E' una guerra di religione? Per i commentatori del quotidiano diretto da Belpietro si. Del resto per dichiarare una guerra,“non serve essere in due, basta che uno solo lo voglia”. Peraltro tutti gli attentati dell'Isis o delle altre ramificazioni hanno quasi sempre un carattere religioso.

I terroristi jihadisti che uccidono i cristiani, lo fanno nel nome dell’islam, come le Brigate Rosse uccidevano nel nome del comunismo. Non tutti i musulmani sono terroristi, come non tutti i comunisti uccidevano, aspettavano sotto casa, imprigionavano e torturavano i dissidenti, ma ci vollero anni e coraggio perché qualcuno prendesse le distanze dalla violenza comunista dopo la rivolta di Budapest del 1956, dopo l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968, la repressione dei dissidenti in URSS.

Pertanto a sconfiggere il terrorismo islamista ,“non sarà un’altra ideologia[...] tanto meno l’ideologia nichilista di chi contrappone all’islam radicale i modesti valori del nostro Occidente attuale, che nessuno ben capisce quali possano essere dopo che la classe politica che sta “facendo l’Europa” ha rinnegato le radici cristiane del nostro continente. Non sarà il nulla o quella cultura “sazia e disperata” di cui parlava il card. Giacomo Biffi a salvarci dall’islam”.Secondo Invernizzi,“sarà soltanto l’amore per la Verità a salvare i nostri popoli, attraverso la conversione e la penitenza indicate dalla Madonna a Fatima nel 1917, nei mesi precedenti la Rivoluzione d’Ottobre”.

Certo ognuno di noi potrà fare la propria parte,“con una preghiera, con un gesto di solidarietà nei confronti dei nostri fratelli che vivono, nei Paesi islamici, la stessa paura di coloro che vivevano oltre la Cortina di ferro, o dei giovani anticomunisti che andavano a scuola o all’università dominate dalla violenza dei collettivi”.

Intanto però per vincere il male bisogna ricorrere alla forza legittima e doverosa della politica e degli eserciti.

Infine per vincere il jihadismo, sono utilissime le considerazioni di monsignor Luigi Negri, subito dopo la strage dei poveri ragazzi di Manchester. A qualcuno sono sembrate un po' dure, ma rappresentano molto bene il grado di in-civiltà che stiamo vivendo in Europa. Scrive il vescovo riferendosi alle giovani vittime:“nessuno vi ha dato delle «ragioni adeguate per vivere», come chiedeva il grande Bernanos alla generazione dei suoi adulti. Vi hanno messo nella società con due grandi princìpi: che potete fare quello che volete perché ogni vostro desiderio è un diritto; e l’importanza di avere il maggior numero di beni di consumo”. Continua monsignor Negri, Siete cresciuti così, ritenendo ovvio che aveste tutto. E quando avevate qualche problema esistenziale – una volta si diceva così – e lo comunicavate ai vostri genitori, ai vostri adulti, c’era già pronta la seduta psicanalitica per risolvere questo problema. Si sono solo dimenticati di dirvi che c’è il Male. E il Male è una persona, non è una serie di forze o di energie. È una persona. Questa persona s’è acquattata lì durante il vostro concerto. E l’ala terribile della morte che porta con sé vi ha ghermito.

Figli miei, siete morti così, quasi senza ragioni come avevate vissuto. Non preoccupatevi, non vi hanno aiutato a vivere ma vi faranno un "ottimo" funerale in cui si esprimerà al massimo questa bolsa retorica laicista con tutte le autorità presenti - purtroppo anche quelle religiose - in piedi, silenziose. Naturalmente i vostri funerali saranno fatti all’aria aperta, anche per quelli che credono, perché ormai l’unico tempio è la natura[...]Non dimenticheranno di mettervi sui marciapiedi i vostri peluche, i ricordi della vostra infanzia, della vostra prima giovinezza. E poi tutto sarà archiviato nella  retorica di chi non ha niente da dire di fronte alle tragedie perché non ha niente da dire di fronte alla vita”. (Luigi Negri, "Poveri figli della società che non riconosce il Male", 23.5.17 LaNuovaBQ.it)

Il vescovo emerito infine auspica che almeno per questa tragedia, i vari guru culturali, politici e religiosi, ci dispensano dai soliti discorsi che“non è una guerra di religione, che “la religione per sua natura è aperta al dialogo e alla comprensione”.

 

 

Dopo l'11 settembre 2001 volenti o nolenti siamo stati costretti ad occuparci  dei contenuti della religione islamica, se prima l'argomento perlopiù era confinato in ambito culturale, ora, soprattutto dopo i ripetuti e puntuali attentati ad opera del jihadismo islamista, il dibattito si è trasferito sui media, nelle conversazioni da salotto e perfino nei bar. Pertanto anche in questo caso per capire è necessario, leggere e magari studiare.

Spontaneo chiedersi: per quale motivo degli uomini, ma anche donne, bambini, tutti appartenenti alla fede islamica combattono, ormai una guerra aperta contro altri uomini e donne? Sono pazzi, sono solo dei terroristi, sono dei “lupi solitari”, sono figli del disagio sociale, o del disagio mentale? Quello del disagio mentale è l'ultimo appellativo che hanno inventato i grandi professori illuminati conoscitori di cose islamiche. gli illuminati progressisti che ce l'hanno sempre con l'Occidente.

Siamo consapevoli che non esistono risposte univoche, anche perché nel mondo islamico non c'è un unico magistero che interpreta il testo coranico. Poi mettiamoci la secolare divisione tra sciiti e sunniti, tra le diverse scuole giuridiche e teologiche, e la confusione si aggrava notevolmente.

Tuttavia per capire meglio bisogna leggere e perché no studiare, ci viene in aiuto un libretto pubblicato da poco, dalla casa editrice Paoline e dal Centro Federico Peirone, di Torino, “Jihad. Significato e attualità”, scritto dalla professoressa Silvia Scaranari, cofondatrice del Centro stesso.

Certamente la professoressa torinese per scrivere un pamphlet di questa portata ha studiato bene il fenomeno. L'agile testo composto da cinque capitoli, prende in esame il Corano, alcuni ahadith (raccolte di detti e fatti del profeta Muhammad) e la storia delle conquiste islamiche, conduce il lettore attraverso un itinerario che permette di comprendere come dalla teoria espressa nel Corano, si passa facilmente a quella pratica cruenta di alcuni periodi storici, compreso quello stiamo vivendo.

Il termine jihad (da notare il genere maschile) viene spesso interpretato come “guerra santa”, ma anche come “sforzo spirituale”. Sul tema c'è accesa discussione.

La parola “jihad” in effetti deriva dalla radice araba JHD che indica lo sforzo teso verso uno scopo e nel Corano ricorre come sforzo interiore e personale per adeguarsi alla volontà divina.

Poiché però compito del fedele islamico è di uniformare tutta l’umanità al volere di Allah, questo “jihad” deve avvenire in diverse modalità: quello dell’animo (sforzo personale interiore rivolto al dominio delle proprie passioni), della parola (diffusione della verità islamica), della mano (l’aiuto agli altri incoraggiando il bene e proibendo il male) e della spada (azione attiva di guerra contro l’infedele).

Il 2° capitolo la Scaranari affronta le diverse forme di Jihad. Non tutte le guerre combattute dai musulmani nei quindici secoli della loro storia sono Jihad. Occorre  fare diverse distinzioni, guardando le varie fasi storiche che hanno visto impegnate le truppe islamiche. In pratica esiste il jihad contro gli ebrei, i cristiani, i pagani, quello del commercio, infine quello sunnita e sciita.

Nel 3° capitolo il testo offre dei brevi cenni della storia del Jihad. Il primo secolo è stato quello dello “slancio”, dell'avanzata trionfale. Significative alcune date: 636 conquista di Damasco, di Gerusalemme nel 638, di Alessandria d'Egitto nel 642, i primi sbarchi in Sicilia nel 652, occupazione di Kabul nel 664, di Tunisi nel 700, sbarco in Spagna nel 711, conquista di Sarmarcanda nel 713. Sostanzialmente in meno di un secolo si conquistano spazi immensi. E questo può essere inteso come jihad offensivo, fino alla conquista di Costantinopoli, nel 1453, per giungere alla battaglia per Vienna nel 1683. Poi c'è il jihad difensivo che corrisponde al tempo delle Crociate. L'autrice rileva che “la grave perdita della città santa di Gerusalemme – santa anche per l'islam in quanto città del primo credente Abramo, sorta sul luogo del sacrificio di Ismaele (Isacco per gli ebrei) e poi luogo del sogno di Muhammad – genera il dovere di riconquista e quindi la chiamata al jihad per riottenere e difendere i luoghi dell'islam”.

Il testo si occupa anche della questione delle alleanze lecite e illecite durante il jihad. Ci si interroga se l'islam può allearsi con un esercito cristiano.“In caso di pericolo per la sua incolumità o per la sua vita, gli è concesso di stipulare alleanze di tipo tattico o momentaneo con gli infedeli”, è capitato con la grande avanzata turca nel cuore dell'Europa cristiana, quando il sultano turco si alleò con la Francia che cercava di indebolire il Sacro Romano Impero degli Asburgo. Il testo della Scaranari accenna all'alleanza politicamente scorretta del Gran Muftì di Gerusalemme, Amin al-Hussein, capo spirituale dei musulmani palestinesi, con Adolf Hitler.

Poi si discute sul Jihad interno all'islam, ci si interroga se è lecito chiamare alle armi contro altre comunità musulmane. Ci si domanda se è lecito uccidere musulmani se vivono in territori nemici, o se  i musulmani devono continuare a vivere in un territorio occupato o devono cercare di emigrare. E quando i pagani si convertono all'islam, è ancora lecito combatterli?

Gli ultimi due capitoli si riferiscono al “Jihad oggi” e al “Jihadismo contemporaneo”. Adesso l'attenzione si sposta sulle battaglie odierne. In pratica per la Scaranari esiste una guerra civile interna all'Islam, con una vivace contrapposizione fra correnti (attenzione quando si parla di discussioni all'interno dell'islam, significa che spesso “parlano” le armi, non è come in Occidente).

C'è una corrente che propone“un islam laicizzato sull'esempio della Francia di Voltaire, un islam democratico “simil unione europea”, un islam politico come in alcune monarchie o, al contrario un islam integralista che spera nel ritorno all'epoca d'oro del primo secolo”. Non è uno scandalo, ma la storia dell'islam è ricca di contrapposizioni. Nel mondo islamico, ci sono quelli che ritengono che l'islam sia rimasto indietro, cioè si è avvicinato troppo poco all'Occidente e abbia perso il passo riguardo alla scienza, alla tecnologia e anche all'amministrazione dello Stato. Pertanto questi ritengono che occorre rileggere il Corano e trovare delle soluzioni che permettano allo stato islamico maggiore flessibilità, maggiore libertà rispetto alla religione.

Invece “per altri – scrive la Scaranari – le cose 'sono andate storte' perché l'islam si è avvicinato troppo all'Occidente, mettendo in pericolo quell'integrità della semplice fede originaria che garantiva anche le vittorie militari”. A questo proposito si ricorda che i beduini, nel deserto, non avevano nulla, solo una fede pura, eppure vincevano. “Quindi si tratta di tornare alle origini, riprendere una lettura integrale del Corano e ritrovare la la forza della vittoria. E' qui che nasce il salafismo”. A questo punto l'autrice argomenta sul connubio esistente tra il salafismo e il jihadismo. Ilsalafismo è un movimento nato nel XVIII secolo in Egitto con forte richiamo ai salaf al-sali cioè “i pii antenati”), il salafismo-jihadista e il ritorno al Califfato che ci introduce negli anni attuali e alla fondazione dello Stato Islamico in Iraq e Siria.

Il testo elenca i vari passaggi dei musulmani conservatori che teorizzano il salafismo, che si richiamano a Ibn al-Hanbal, Ibn Taimyya e al-Wahhab, che propongono un islam puro, anche se non si sa quale debba essere. Da al-Banna si passa a Sayd Qutb, che teorizza il jihad come dovere di abbattere i governanti traditori.

Un anno cruciale è il 1979, quando si compie la Rivoluzione iraniana, che costringe lo scià Muhammad Reza Pahlavi all'esilio e riporta a Teheran l'ayatollah Rohollah Khomeyni. La Rivoluzione Khomeynista è un esempio di lotta riuscita. “Per anni l'opposizione allo scià, colpevole di avere occidentalizzato la persia a scapito delle tradizioni islamiche e di essersi infeudato agli inglesi prima e agli americani dopo, aveva preparato il terreno e finalmente è riuscita a ristabilire un governo islamico in un Paese molto vasto”.

Altro momento cruciale del salafismo jihadista è l'invasione dell'Afghanistan, anche qui bisogna scendere in campo per riconquistare la propria terra come hanno fatto gli iraniani. Da anni nella zona di Peshawar, erano nate le scuole islamiche e campi dove si accoglievano gli esuli che fuggivano dai propri Paesi considerati non islamicamente corretti. Praticamente per la Scaranari,“I campi afghani sono 'incubatrice sociale e religiosa dell'islam radicale globale perché misero a contatto, e amalgamarono, una vasta gamma di militanti su posizioni radicali formatisi nei movimenti di resistenza e gli oppositori ai regimi politici”. E qui che ritrovano tutti i teorici del radicalismo islamista e jihadista.

E' importante soffermarsi sulla rivoluzione iraniana del 1979, perchè l'esperimento della rivoluzione sciita ha fatto scuola in tutto il mondo islamico. Lo sciismo, ha elaborato una particolare sensibilità verso la sofferenza e verso le persecuzioni. Mentre nell'islam sunnita non era così, chi soffre non ha diritto alla compassione e spesso nemmeno all'aiuto. Per la Scaranari, “con la rivolta Khomeynista cambia qualcosa di molto importante[...]fondare uno Stato islamico e mantenerlo in vita, porta a sviluppare una teoria della bellezza della morte per la patria, o meglio per la vittoria dell'islam”. Così il vero muslim, fedele alla causa, che sa sacrificare se stesso per favorire un disegno più grande della propria misera esistenza, è la figura di Husayn, il martire.

Negli otto anni di guerra degli sciiti iraniani contro l'Iraq di Saddam Hussein, il giovane iraniano “che si lancia in imprese disperate sapendo di morire diventa quasi una prassi, tanto che il martirio passa da essere subito a essere visto come una corsia preferenziale per il paradiso”. Nel frattempo poi anche la causa palestinese diventa sempre più importante.

A questo punto la professoressa torinese fa riferimento al diverso significato di “martire” per noi occidentali. Quello cristiano che non cerca il martirio, ma lo accetta come San Massimiliano Maria Kolbe o Santa Maria Goretti. Per l'islam il martire è un combattente, un credente che lotta, che testimonia con la spada in pugno, oggi con il Kalashnikov.

Altra questione da affrontare è quella della liceità del martirio volontario, del suicidio. Prima era proibito, ma da qualche decennio è lecito, anzi viene incoraggiato; il martirio-suicidio è diventato un gesto desiderato e atteso, quasi “un vivere la morte per la morte”.

Interessante l’ultimo capitolo dedicato alla predicazione del “jihad” attraverso i media, canali televisivi e film ma soprattutto attraverso internet. Anche il ruolo della donna è mutato rispetto alla concezione tradizionale e, a partire dalle grandi manifestazioni femminili contro lo Scià in Iran (che poi si ritorsero contro l’universo femminile), e poi attraverso le guerre in Palestina e Cecenia, la donna oggi ha raggiunto in questa lotta una sua particolare “parità di genere”.

Il libro si conclude con una breve panoramica dei principali e più noti movimenti jihadisti nel mondo attuale, si passa da Hamas in Palestina, ad Al-Qaida che ha realizzato una guerra generalizzata all’Occidente di cui l’attentato alle Torri di New York rappresenta l’esempio più sanguinoso e noto. Poi c'è Boko Aram (che significa nella locale lingua nigeriana hausa “l’educazione occidentale è proibita”), Al-Shabab in Somalia ma con incursioni anche in Kenia, sono loro che hanno ucciso ben 150 studenti cristiani all'università di Garissa. Infine il Califfato dello Stato Islamico (abbreviato in occidente con ISIS, traduzione di Al-Dawla al-Islamiyya fi Iraq wa l-Sham, divenuto poi IS eliminando i limiti territoriali).

Lo Stato Islamico tra l’altro pubblica in cinque lingue una rivista online intitolato Dabiq, illustrata e ricca di indicazioni su come vivere il vero Islam ma soprattutto a scopo di propaganda per reclutare nuovi adepti anche in Occidente.

Attualmente tutti i movimenti jihadisti appaiono in difficoltà sia nel mantenimento dei territori conquistati in Iraq e Siria sia nello slancio espansivo in Africa ma, come dimostrano gli attentati nelle capitali europee, il mito del “jihad”, come tutti i miti, mantiene tuttora il suo potere di mobilitazione e di fascino in estremisti di aree geografiche anche lontane tra loro e questo mito ci indica che il pericolo non è passato finchè queste nicchie ultra-fondamentaliste inseguiranno il sogno dello scontro finale tra i “cristiani” (termine generico con cui i jihadisti denominano europei e americani senza distinguere tra credenti e laicisti) e islamici, scontro che avverrà appunto a Dabiq in Siria e in cui Allah darà la vittoria ai suoi.

 

L'altra sera presso il centro culturale Rosetum di Milano in occasione della presentazione del libro “La famiglia in Italia. Dal Divorzio al Gender” (Sugarco) di Invernizzi e Cerrelli, è intervenuto anche il professore Massimo Gandolfini, presidente del comitato “Difendiamo i nostri figli”. In poche battute si è capito di che pasta è fatto il medico bresciano, che da alcuni anni sta guidando la battaglia culturale a favore della famiglia in Italia. Ascoltando il suo caloroso intervento mi viene spontaneo accostarlo a quegli uomini dal“Codice cavalleresco”, che Roberto Marchesini descrive nel suo ottimo libretto. Oppure a quegli “Italiani seri”, che Vittorio Messori, evocava in un libro, riferendosi al beato Fa' di Bruno. Tuttavia per chi vuole conoscere meglio Gandolfini deve leggere, “L'Italia del family Day”, (Marsilio Editori, 2016) scritto dallo stesso Gandolfini insieme al giornalista Stefano Lorenzetto.

Massimo Gandolfini, ama talmente la famiglia che ha adottato ben sette figli perchè non ne poteva averne di suoi. Ha organizzato il Family Day del 20 giugno 2015 e del 30 gennaio del 2016 al circo Massimo a Roma.

Il professore quando parla è molto chiaro e preciso. In questo libro racconta la sua vita, pur provenendo da una famiglia cattolicissima, militava nei Cristiani per il socialismo. Professava la teologia della liberazione. I suoi riferimenti spirituali e politici erano in personaggi particolari come dom Franzoni ed altri compagni preti di sinistra. Successivamente cambiò vita, dopo aver incontrato il Cammino neocatecumenale, facendogli intraprendere un itinerario di fede che si è rivelato fondamentale per la sua vita. “Questo percorso di fede non è estraneo alla scelta di campo compiuta dal leader del Family day, discendente da una nobile famiglia che da almeno mezzo millennio si batte per questo, per mantenere intatto il depositum fidei, il patrimonio della verità e dei precetti morali insegnati da Gesù”. Nell'introduzione Lorenzetto scrive che la figura del condottiero è stata sempre presente nel suo casato. Pare che la compagnia di cavalleria di Castel Goffredo fosse comandata dal capitano Domenico Gandolfini.

Gandolfini è un chirurgo, specialista in neurochirurgia e psichiatria e dirige il Dipartimento di neuroscienze e chirurgia testa-collo dell'Ospedale Poliambulanza di Brescia. Fa un lavoro difficile e impegnativo, come quello di “scoperchiare un cranio”. A volte deve rimanere concentrato anche per 18 ore, in piedi, senza mangiare e dormire.“Non è preso dal panico quando mette le mani sulle meningi? Domanda Lorenzetto e lui risponde: “Adesso aprire la testa è diventata una cosa normale. Ma le prime volte mi ponevo tutti gli angosciosi dubbi[...] Mi dicevo: sto manipolando l'organo fondamentale di questa persona, dal quale dipendono la sua vita, le sue relazioni affettive, la sua attività professionale, la sua cultura”. Praticamente il professore Gandolfini compie da cinque a sette interventi a settimana. Nella sua carriera ne ha fatti all'incirca 15.000.

Seguendo le informazioni di Lorenzetto, apprendiamo che Gandolfini è anche docente di neurochirurgia all'Università Cattolica di Roma, ha scritto diversi studi e pubblicazioni scientifiche e partecipa come relatore a centinaia di congressi, convegni, conferenze all'anno. Non basta, è anche presidente dell'Associazione medici cattolici lombardi; vicepresidente nazionale dell'associazione Scienza & vita. Inoltre da vent'anni è consultore della Congregazione delle cause dei santi. Per conto del Vaticano, il perito neurochirurgo ha esaminato con freddezza scientifica tra i tanti, i miracoli attribuiti a Madre Teresa di Calcutta, e a Giovanni Paolo II.

Comunque da questo ricco curriculum secondo Lorenzetto,“si capisce meglio perchè il marito, il padre, il medico Gandolfini si sia imbarcato in questa temeraria impresa del Family day. C'è di mezzo qualcosa che ha a che fare con la nobiltà vera, quella d'animo. Nessun tornaconto personale. Nessun calcolo delle convenienze. Nessuna fregola di vanagloria. Solo un inderogabile dovere di coscienza lo ha obbligato a raccogliere una bandiera dalla polvere e a mettersi alla guida di un'altra Italia, popolosa o deserta che sia, di sicura scarsamente rappresentata dal parlamento e dai mass media”.

A questo proposito è veramente significativa l'esperienza dei coniugi Gandolfini che riguarda l'adozione dei sette di bambini trovati in giro per il mondo. Hanno raccontato, le difficoltà, le peripezie, gli ostacoli, che con la pazienza e l'aiuto di Dio hanno sempre superato.

Tutti si chiedono e gli chiedono se questa Italia del Family Day diventerà un partito, ci sono i precedenti storici dell'insuccesso della lista di scopo“Aborto? No grazie”, che il giornalista Giuliano Ferrara, in un esempio di sconsiderata generosità, presentò per la Camera alle elezioni del 2008, ottenendo la miseria di 135.578 voti”. Certo la questione della rappresentanza politica dei cattolici, dei difensori della famiglia naturale e cristiana è un argomento aperto, che prima o poi bisognerà affrontare. Della questione se ne é occupato Alfredo Mantovano esponente di rilievo di Alleanza Cattolica con una intervista su Formiche.net  (“Come andare oltre il Family Day”, 2.2.17).

Nel dialogo con leader del comitato “Difendiamo i nostri figli”, il testo affronta tutti i temi scottanti inerenti alla “buona battaglia”, culturale, sociale e politica che occorre combattere sulla famiglia di oggi. Si passa dall'aspetto dell'organizzazione dei Family Day, al ribadire che cos'è la famiglia naturale, l'omosessualità, il matrimonio omosessuale, le adozioni gay, l'utero in affitto, infine l'ideologia del gender.

Il medico bresciano racconta i vari passaggi organizzativi dei raduni a Roma, chi ha aderito e chi no. Chi riteneva inutile e controproducenti le manifestazioni di piazza, come il Forum delle famiglie, Comunione e Liberazione.

Il rapporto con la politica, in particolare con il Pd di Renzi è abbastanza conflittuale, “Il nostro premier prende ordini da Barak Obama”, che è al servizio dei padroni del mondo, che non sono certo i governi. Gandolfini fa riferimento a oltre 200 aziende americane, tutte insieme, hanno chiesto e ottenuto da Obama nel 2013, l'abolizione del marriage act, la legge federale che, definisce il matrimonio esclusivamente come unione tra uomo e donna. Tra questi colossi c'è Google, Apple, Microsoft, Facebook, Amazon, Ebay, Intel, Pfizer e tanti altri. Multinazionali in grado di orientare l'opinione pubblica e determinare le sorti dei governi.

Comunque sia il comitato è apartitico, aconfessionale e non ha fini di lucro e si propone attraverso convegni, manifestazioni, dibattiti ad “affermare, promuovere, diffondere e difendere nella loro interezza”, quei principi enunciati nel manifesto in difesa della famiglia naturale e dei figli. “Una famiglia debole significa una società debole”. Gandolfini nella destrutturazione della famiglia, da credente, vede lo zampino del diavolo, che è per sua natura divisore, il separatore. “Il diavolo è l'antagonista della verità. Infatti oggi vengono attaccate le verità più elementari”. Del resto “una società debole, formata da figli con orientamenti sessuali incerti e mutevoli. È altissimamente condizionabile da qualsiasi imput proveniente dall'esterno”. Avremo un mondo di figli che non hanno genitori, ne avranno quattro, cinque, non avranno nessun riferimento, cercheranno ragioni della loro esistenza nella cultura corrente, nel consumismo, nei prodotti, nell'Iphone o l'Ipad.

Per il professore Gandolfini,“siamo diventati una somma di individui, non siamo più una somma di persone in relazione”. Siamo soli con Facebook, con Twitter, con Google, con i social network che sostanzialmente propagandano e sostengono l'ideologia gender.

Gandolfini ci tiene a precisare che la sua battaglia culturale non è contro le persone, ma contro le idee, “la nostra cultura ci obbliga a combattere le idee sbagliate, non gli uomini che le rappresentano”. La campagna culturale di Gandolfini è di ordine educativo e formativo e proseguirà per dare voce a chi non ha voce.

Praticamente le associazioni Lgbt rappresentano una minoranza esigua nel nostro Paese, eppure l'arroganza di Renzi ha fatto in modo di trattarli come “maggioranza”, infischiandosene della aspettative della vera maggioranza degli italiani. Qualcuno ha scritto che siamo ormai alla dittatura dell'ideologia gender, del nuovo marxismo.

Nel libro Gandolfini riporta del suo colloquio con Papa Francesco, che gli ha ribadito di andare avanti nella battaglia, nella missione a favore della famiglia e dei figli. Il Papa gli ha parlato della pericolosità della “colonizzazione del gender” nella cultura e nella scuola.

Chiaramente il movimento, il comitato non ha bisogno di “vescovi piloti”, bensì di “vescovi pastori”, che indichino con chiarezza la via della verità. Del resto,“spetta ai laici, illuminati da una coscienza ben formata, compiere scelte sociopolitiche coerenti e idonee, mentre spetta ai pastori non fare politica, ma indicare i grandi valori e i principi del messaggio cristiano, necessari per costruire una società più giusta, libera, pacifica, orientata al bene[...]”. Questo è stato il pensiero espresso dal Santo Padre Francesco.

Il presidente del Comitato difendiamo i nostri figli, fa riferimento alla scelta di Adinolfi e Amato di fare il partito, “Il popolo della famiglia”. E' una loro scelta personale che non si può condividere, anche perchè è molto difficile che il popolo del Family Day, possa trasformarsi in un partito. Non siamo al tempo di De Gasperi o del banchiere Giuseppe Antonio Tovini o del medico Luigi Gedda, il fondatore dei Comitati Civici.

Gandolfini ama precisare che i suoi discorsi hanno pochissimo di confessionale, “saranno soltanto ispirati alla ragione e alla scienza”. E' particolarmente abituato all'incomprensione, anche alle aggressioni, di chi non accetta l'ovvietà, la verità delle cose. Il professore utilizza spesso l'esempio della mela, che non può trasformarsi in pera. Di fronte all'evidenza,“cessa ogni contesa, ritirati da costui, perché ormai le sue capacità razionali si sono indurite come pietre”.

Tuttavia il professore non ha paura di testimoniare la verità sulla famiglia, è pronto di andare anche in prigione. “Bisogna essere testimoni della verità, sempre, a qualunque costo. Non si possono fare sconti alla verità”. Bisogna essere meno intransigenti, meno aggressivi, bisogna cercare il dialogo? Tommaso Moro e San Giovani Battista ci rimisero la testa per non cedere al volere dei loro re.

Si può discutere sulla manovra economica, sulle pensioni, sull'alta velocità, ma sui valori fondamentali della società non è possibile nessun accomodamento. Anche se usciremo battuti, perdenti, almeno possiamo dire come San Paolo, rinchiuso nel carcere Mamertino e avviato verso il martirio: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede”.

In queste settimane la Grecia è attraversata ancora una volta da proteste e malcontento in seguito alle nuove misure di austerità varate dal governo guidato dalla sinistra radicale di Alexis Tsipras, misure necessarie all'esborso di una cruciale tranche di aiuti, senza la quale Atene rischia in estate di andare in bancarotta sotto il peso degli interessi sul debito. E l'alleggerimento del debito rimane un punto di divisione tra i creditori; il governo ellenico si aspetta però che il varo dell'ennesimo pacchetto di tagli e tasse possa portare ad un superamento dello stallo.

L’ultimo Eurogruppo tenutosi a Bruxelles il 22 maggio è finito con un nulla di fatto dopo sette ore di discussioni tra i 19 ministri dell’Eurozona e il danese Poul Thomsen, rappresentante del Fmi. Tutto è stato rinviato al prossimo Eurogruppo che si terrà il 15 giugno e in quell’occasione si dovrà decidere se dare il via libera alla tranche di aiuti per evitare il default, consentire il pagamento di 7 miliardi di euro di debiti e trovare una formula per ridurre il debito greco che viaggia al 180% del Pil.

La Grecia è l’unico Paese dei cinque dell’Eurozona che hanno chiesto aiuto (Irlanda , Cipro, Portogallo e Spagna) che non è ancora uscita dai piani di salvataggio. Mentre la tensione sociale non accenna a diminuire.

Cosi Atene ancora nel mirino delle forze che vogliono la destabilizzazione del Paese mediterraneo da sette anni in piena crisi del debito sovrano. In un clima di forte disillusione sociale e politica dopo l’ennesimo varo di misure di austerità e il rinvio sull’esborso di aiuti e della riduzione del debito in seguito alla fumata nera dell’Eurogruppo di lunedì, un ordigno è esploso ad Atene nell’auto dell’ex premier Loukas Papademos, che è rimasto ferito insieme all’autista e al poliziotto della scorta. L’esplosione, secondo quanto indicano fonti della polizia, è avvenuta al centro di Atene.

Papademos, 69 anni, è rimasto ferito al petto, alle gambe e alle braccia: le sue condizioni, ancorché serie, non fanno temere per la sua vita, secondo i media greci. Al momento è si trova, per precauzione, in terapia intensiva.

Le altre due persone che erano nel veicolo blindato - che nelle immagini appare integro - sono rimaste ferite in maniera più lieve. Tutti sono stati ricoverati all'ospedale Evangelismos. Economista formatosi al Mit, Papademos, già vicepresidente della Bce, è attualmente docente in visita a Harvard. È stato primo ministro 'tecnico' della Grecia dall'11 novembre 2011 al 16 maggio 2012.

Lo scoppio è avvenuto alle 18:45 locali all'incrocio tra le vie 3 settembre e Marni, in pieno centro di Atene. La polizia - che non ha confermato ufficialmente che si sia trattato di un pacco bomba - ha isolato la zona. "Siamo completamente scioccati da quello che è successo", ha affermato il ministro greco Nikos Pappas. 

Nessuno ha rivendicato l'azione, ma in passato alcuni politici greci, banche ed istituzioni finanziarie sono stati bersaglio di attacchi da parte di militanti di estrema sinistra o gruppi anarchici. 

"Siamo scioccati, condanno questo gesto infame", ha detto poco dopo la diffusione della notizia, il ministro per la Comunicazione, Nikos Pappas. Yannis Stournaras, presidente della Banca Centrale greca, si è recato subito in ospedale e ha parlato di "un attacco codardo". Il governo greco "condanna in maniera inequivocabile" l'attentato, secondo quanto detto dal portavoce Dimitris Tzanakopoulos, anche lui andato all'ospedale dove ha trovato i tre feriti "in condizioni stabili e coscienti". Il primo ministro Alexis Tsipras, al summit Nato a Bruxelles, è costantemente aggiornato sulle condizioni di Papademos.

Economista, Lucas Papademos ha guidato un Governo tecnico in Grecia tra il 2011 e il 2012, dopo essere stato governatore della banca di Grecia tra il 1994 e il 2002 e vice presidente della Banca Centrale europea tra il 2002 e il 2010. Il suo governo di larghe intese nel novembre 2011, approvò il secondo piano di salvataggio del paese dopo la caduta del governo di George Papandreou.

Nato ad Atene nel 1947, dopo essersi diplomato nella capitale greca, Papademos ha studiato negli Usa laureandosi al Massachusetts institute of technology (Mit), prima in Fisica (1970) e poi prendendo un dottorato in Ingegneria Elettrica (1972) e uno in Economia (1978). Mentre studiava ha lavorato come ricercatore nel Mit. Nel 1985, è tornato in Grecia per diventare consigliere economico della Banca di Grecia, una posizione che ha ricoperto fino al 1993. Nello stesso anno è stato nominato vicegovernatore e nel 1994 governatore della Banca di Grecia, incarico ricoperto sino al 2002.

In questa posizione Papademos ha avuto un ruolo chiave nel processo di integrazione della Grecia nella zona dell'euro. In seguito è divenuto vicepresidente della Banca Centrale Europea, posto che ha ricoperto fino ai primi mesi del 2010. Dal 1988 Papademos e docente di Economia presso l'Università di Atene e dal 2006 è membro ordinario dell'Accademia di Atene. E' tuttora membro del Consiglio della Bce (dal 2001) e membro del Consiglio generale dello stesso Istituto (dal 1999).

Ha Governato ad interim dei leader dei partiti politici e ha giurato quanto era Presidente della Reppublica era Karolos Papoulias . Al epoca erano presenti il premier uscente George Papandreou, il leader di Nuova Democrazia, Antonis Samaras, il leader del partito di destra del Laos, Giorgos Karatzaferis.

In questo breve lasso di tempo a Papademos ha avuto l'ingrato compito di rassicurare i mercati e i partner europei dopo il pasticcio provocato da Papandreou con la sua proposta (poi ritirata) di un referendum sul pacchetto di misure concordato con l'Europa il 27 ottobre e di portare quindi il Paese alle elezioni politiche anticipate in programma a febbraio. Con una solidissima esperienza sia come docente universitario che nella finanza internazionale, Papademos ha un curriculum molto nutrito e di tutto rispetto e molti concordano sul fatto che aveva il profilo giusto per l'incarico di premier di transizione in una Grecia sull'orlo del collasso..insomma e stato il primo ad aprire questa catastrofe finanziaria...che regna in Grecia da tanti anni.

Il suo governo di unità nazionale con i voti dei socialisti del Pasok e dei conservatori di Nea Dimokratia si formò all’indomani del ritorno dal tempestoso summit di Cannes - alla presenza di Obama, Sarkozy, Merkel e Berlusconi - del premier greco di allora, George Papandreu, che si dimise dall’incarico dopo aver proposto di andare a un controverso referendum sulla permanenza del Paese nell’euro. Il partito socialista, il Pasok, si spaccò e l’allora ministro delle Finanze, Evangelos Venizelos, guidò la fronda a Papandreu che decise di farsi da parte aprendo la strada alla formazione del governo tecnico di Papademos in uno dei momenti più difficili della crisi del debito sovrano greco, una vicenda che dopo sette anni non è ancora finita.

 

 

Che il ministro Boschi si sia interessata alle sorti di Banca Etruria non è uno scandalo: poteva – e forse doveva – farlo, per motivi famigliari (che non sono necessariamente illegittimi) e per motivi istituzionali, come factotum di Renzi. In questa ottica, però, non si spiega allora come il ministro in questione abbia sempre rifiutato, reiteratamente, ogni contatto con la rappresentanza delle Banche popolari, come se a queste ci si potesse interessare privatamente ma non pubblicamente (tra l’altro, sostenendo  che la competenza spetterebbe al Ministero dell’economia). Questa delle Banche popolari è davvero una vicenda dai contorni chiaroscuri, dunque, sotto più profili. L’ex premier Renzi, ad esempio, sostiene ora che chiarirà tutto – per la vicenda Boschi-De Bortoli – in sede di Commissione d’inchiesta e, a suo tempo, aveva su un quotidiano addirittura invocato l’istituzione della Commissione, per una verifica sul suo provvedimento di legge contro le Banche popolari: ma gli emendamenti tesi a stabilire che la Commissione dovesse occuparsi  della legge Renzi-Boschi di riforma di queste banche sono poi stati tutti respinti dal suo partito sia alla Camera – tanto in Commissione che in aula – che al Senato in Commissione (in aula devono ancora andarci, e qua Renzi – anche da segretario pienamente in carica, oggi – potrebbe ancora intervenire; né l’urgenza di varare la Commissione lo vieta: prima di tutto, perché è più importante chiarire questo che altro; e poi, perché se non figura espressamente tra i compiti dei commissari, l’argomento Popolari sarà del tutto saltato, certamente). Tra l’altro, i comportamenti del ministro Boschi da una parte e di Renzi dall’altra, potrebbero oggi  (anche quanto ai motivi – da indagare – che spinsero a rieditare un provvedimento del fascismo contro le Popolari, a parte l’indagine giudiziaria su chi da ciò trasse profitto) i comportamenti Boschi-Renzi, dicevo, potrebbero avvalorare la tesi che la “riforma” si volle comunque fare per dimostrare all’opinione pubblica che non si aveva timore di andare contro le Popolari nonostante la posizione famigliare nell’Etruria (e questo, anche con riguardo a come si atteggiò il Governo Renzi a proposito dell’applicazione, addirittura anticipata, del bail in alle famose 4 banche – 3 Casse e una Popolare, proprio la sola Etruria –, atteggiamento che sacrificò a esigenze a tutt’oggi sconosciute la reputazione dell’intero sistema bancario, o quasi, con un disdoro per lo stesso che ad oggi è tutt’altro che rimediato e chissà quando lo sarà mai).

Al di là della vicenda nata in questi giorni dall’opera di uno stimato giornalista, è comunque un fatto che la Commissione d’inchiesta sarebbe oggi in grado (essendosi oramai svolte le assemblee delle Popolari trasformate, salvo le due Popolari che dalla riforma hanno saputo, e potuto, starne fuori) la Commissione d’inchiesta – dunque – sarebbe oggi in grado di valutare a chi l’attuazione della riforma abbia giovato. Ormai, al proposito, le cose si fanno vieppiù chiare nonostante persistenti opacità che impediscono di conoscere sino in fondo i dettagli partecipativi degli azionisti dei fondi: la legge contro le Popolari ha giovato al capitale straniero, così che oggi il sistema bancario è, con una modalità o l’altra, in gran parte in mano ai fondi d’investimento e speculativi esteri (per la maggior parte statunitensi, ma anche europei), con i risparmiatori italiani che sono stati cacciati dalle loro banche per essere rimpiazzati da “governatori” stranieri – più o meno velati – , con conseguenti problematiche (di cui peraltro nessuna parla) anche sulla possibile stabilità del nostro sistema bancario, non appena i nostri interessi non collimassero, per un verso o per l’altro, con quelli dei Paesi interessati alle (e maggioritari nelle) nostre banche. Un argomento sul quale bisognerà che, chi può e deve, intervenga prima o dopo, e sul quale converrà in ogni caso ritornare.

 

                                                                                                                                             Corrado Sforza Fogliani

                                                                                                                                             presidente Assopolari

                                                                                                                                             Twitter @SforzaFogliani

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