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I Carabinieri del Reparto Operativo del Comando Tutela Patrimonio Culturale (TPC) durante una complessa attività d’indagine durata più di un anno, coordinata dalla Procura della Repubblica di Salerno, ha sequestrato 37 opere d’arte di epoca compresa tra il XVI e XX sec., tra cui spiccano per importanza cinque pale d’altare sottratte da due chiese della provincia de L’Aquila, chiuse al culto perché dichiarate inagibili a seguito del sisma del 2009.

Il gruppo criminale, effettuava furti di pregevoli opere d’arte che poi andavano ad arricchire l’arredo di alcune ville di lusso della costiera amalfitana, accrescendo il loro fascino per i turisti stranieri, che ne beneficiavano nei loro soggiorni di vacanza.

L’operazione, avviata a settembre 2017, s’inquadra nel novero delle attività preventive e repressive attuate dal Comando TPC e, in particolare, in quelle info-operative svolte sul mercato clandestino di beni d’arte, che hanno permesso di acquisire elementi su imprenditori che avevano, nella loro disponibilità, numerosi beni di natura antiquariale di probabile provenienza furtiva. Gli ulteriori approfondimenti investigativi, coordinati della Procura della Repubblica di Salerno, hanno consentito di identificare sia personaggi dediti alla ricettazione di opere d’arte antica, sia collezionisti, pronti ad acquistare beni culturali senza verificarne, pur di ampliare la loro raccolta, la lecita provenienza. Le successive perquisizioni e la comparazione delle immagini dei beni rinvenuti con quelli censiti nella Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti, gestita dal Comando TPC, hanno confermato la corrispondenza di 37 opere, permettendo di risalire a 16 furti perpetrati, negli ultimi 20 anni, in varie province italiane e di denunciare svariate persone a piede libero.

Questo importante recupero consentirà, di rendere nuovamente fruibile al pubblico opere d’arte di inestimabile valore storico, artistico e devozionale, tra cui si evidenziano, per importanza, le cinque pale d’altare risalenti al XVII-XVIII sec., che verranno consegnate durante la cerimonia. 

Bombe contro gli studenti, decine di ragazzi in fuga falciati dai proiettili sparati da uno studente. I loro corpi restano a terra, c'è chi urla e si lamenta, chi chiede aiuto. Almeno 18 persone sono morte e altre 70 sono rimaste ferite in un attacco che riporta all'incubo terrorismo in Crimea. La strage è avvenuta all'istituto politecnico di Kerch, sulle penisola affacciata sul Mar Nero. Lo hanno reso noto le autorità sanitarie della penisola, citate dall'agenzia di stampa Tass

Il killer si chiamava Vladislav Roslyakov, 18 anni, iscritto al politecnico. Molti lo descrivono uno studente normale, ma con un tarlo per la "grandezza della Russia"  e un'ammirazione maniacale per le politiche di Putin, con l'annessione della Crimea. Da una prima ricostruzione avrebbe messo circa 4 ordigni sparsi per l'università che sono esplosi in circa 7 minuti.L'attacco contro l'Istituto di Kerch è stato portato a termine da uno studente iscritto al quarto anno dello stesso istituto e che in seguito si è tolto la vita, ha reso noto il governatore della regione, Sergei Aksyonov precisando che il suo corpo è stato ritrovato nella biblioteca del secondo piano. Una modalità di attacco che ricorda quella di Breivik in Norvegia. 

Viene studiata» la possibilità che la strage al Politecnico in Crimea sia la conseguenza di «un atto terroristico»: lo ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, precisando che Putin è stato informato dell'accaduto ed esprime le sue condoglianze ai familiari delle vittime.

All'istituto di Kerch sarebbero entrati in azione uomini mascherati e armati di mitra, che sarebbero usciti dai bagni proprio nel momento dello scoppio. Lo affermano due testimoni oculari a RT. «Ce n'erano veramente tanti, ma non posso dire quanti», ha detto uno dei testimoni.

Almeno 18 persone sono morte e altre 40 sono rimaste ferite in un attacco questa mattina nella mensa del Politecnico di Kerch, in Crimea. Lo ha annunciato il governatore della Crimea Sergei Aksyonov secondo quanto riportato dall'agenzia Itartass. Il bilancio delle vittime è in corso di verifica.

Un alto funzionario russo in Crimea ha reso noto che l'autore dell'attacco al college era uno studente che poi si è ucciso. La maggior parte dei feriti sono adolescenti, lo riportano i media russi.

"Il sospetto assalitore si è sparato. Era al quarto anno dell'istituto professionale di Kerch. Il suo corpo è stato trovato in biblioteca al secondo piano", ha riferito il leader della Crimea Sergei Aksyonov in tv, senza dare il nome. Lo studente che ha compiuto la strage si chiamava Vladislav Roslyakov e aveva 18 anni. Lo ha detto il comitato investigativo, secondo quanto riportato da Russia Today.

Lo ha reso noto il leader regionale della Crimea, Serghei Aksyonov che lo studente era un residente del posto, la città di Kerc, dove si trova l'istituto politecnico attaccato e ha agito da solo.

E' entrato con un fucile ed ha aperto il fuoco. Tutte le vittime - 17, più l'attentatore - sono morte in seguito a ferite da arma da fuoco. Lo hanno reso noto gli inquirenti, sottolineando di avere le immagini del ragazzo che spara e poi si uccide con la stessa arma. In precedenza gli investigatori avevano parlato di un ordigno esplosivo.

L'attacco al college in Crimea non è più considerato dagli inquirenti un attacco terroristico ma sarà indagato come "omicidio". Lo riferiscono fonti investigative riportate da Russia Today.

"Oltre 200 militari del distretto militare del sud e circa 10 mezzi pesanti sono stati inviati a Kerch su ordine del comandante delle forze armate del distretto per aiutare i servizi di emergenza della città a ripulire le macerie provate dall'esplosione".

Uno studente dell'istituto di Kerch dove è avvenuta l'esplosione, Semion Gavrilov, ha raccontato che al politecnico "un viso familiare ha iniziato a sparare agli studenti, sembra sia uno dei nostri compagni". Lo riporta Meduza. Stando ad altri media russi, come Lenta e la radio Govorit Moskva, gli assalitori "potrebbero essere due" e le esplosioni "quattro" e non una, come precedentemente riportato. Ma si tratta di informazioni non confermate a livello ufficiale.

Sono circolate su Telegram, pubblicate dal canale televisivo Mesh, le prime immagini del giovane killer. Il video tratto dalle telecamere di sicurezza mostra un ragazzo biondo, con i capelli corti e una felpa nera col cappuccio che tiene in mano un grosso fucile.

Sono rinato. Ora non mi interessa nulla se sarò condannato o destituito dall'Arma": sono le parole che Francesco Tedesco ha affidato ieri al suo avvocato, Eugenio Pini, dopo la notizia delle sue accuse a due carabinieri. "Ho fatto il mio dovere; quello che volevo fare fin dall'inizio e che mi è stato impedito", ha aggiunto Tedesco al suo avvocato. Tedesco è imputato, assieme ai carabinieri Raffaele D'Alessandro e Alessio Di Bernardo di omicidio preterintenzionale.

Altri due carabinieri indagati nell'ambito degli accertamenti sui presunti atti falsificati seguiti alla morte di Cucchi. Si tratta di Francesco Di Sano, carabiniere della stazione di Tor Sapienza, e del luogotenente Massimiliano Colombo, comandante della stessa caserma. Colombo sarà interrogato la prossima settimana dai pm. Nei giorni scorsi è stato sottoposto ad una perquisizione:l'atto istruttorio puntava ad individuare eventuali comunicazioni tra lui e i suoi superiori dell'epoca sul caso Cucchi.

La sorella di Stefano Cucchi annuncia che andrà avanti per dar voce ad altri Stefano: "L'unica cosa che mi dà la forza di andare avanti - afferma Ilaria, intervistata da Rtl 102.5 - è provare, tramite Stefano, a dar voce a tutti gli altri Stefano, tutti gli altri ultimi di cui non importa niente a nessuno, che muoiono e che subiscono soprusi quotidianamente nel disinteresse generale, di una società che è abituata a voltarsi dall'altra parte e che pensa sempre che le cose capitino sempre agli altri e mai a se stessi". 

Un pestaggio violento, con Cucchi a terra e due carabinieri che in un' "azione combinata" infieriscono sul geometra a poche ore dal suo fermo. Poi le minacce, il tentativo di insabbiamento e infine il coraggio di parlare, di dire tutto. Per non sentirsi più "solo contro una sorta di muro, come se non ci fosse nulla da fare".

Dopo nove anni arrivano le prime parole, nero su bianco, di un testimone oculare su quello che subì Stefano Cucchi mentre era nelle mani dello Stato: un pestaggio. Il ricordo di quegli attimi di violenza arriva da Francesco Tedesco, uno dei tre militari imputati al processo, che lo scorso luglio di fronte al pm accusa gli altri due colleghi accusati come lui di omicidio preterintenzionale, Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro.

Un racconto che, nelle parole di Ilaria Cucchi ha "abbattuto il muro". E il ministro Salvini ora le tende una mano: "Sorella e parenti sono i benvenuti al Viminale".

Tutto sarebbe cominciato a poche ore dal fermo di Cucchi, la notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009, con un battibecco tra il giovane appena arrestato e uno dei due carabinieri. All'uscita dalla sala del foto segnalamento della Compagnia Casilina, dopo una serie di insulti arriva lo schiaffo di Di Bernardo e parte il pestaggio: "un'azione combinata", durante la quale Stefano perde l'equilibrio e cade sul bacino per un calcio di un carabiniere e una violenta spinta dell'altro. Infine una botta alla testa, tanto violenta da far sentire il rumore - si legge nel verbale - e l'ultimo colpo sferrato da D'Alessandro con un calcio in faccia a Cucchi mentre questi è a terra. 

"Gli dissi 'basta, che c...fate, non vi permettete", fa mettere a verbale Tedesco che aiuta Cucchi a rialzarsi. "Sto bene, io sono un pugile", gli dice il geometra. Poi cala il muro di silenzio di fronte al quale, dopo una serie di tentativi, lo stesso Tedesco sembra impaurito. Fin dai primi minuti successivi all'episodio, il militare aveva informato l'allora comandante della stazione Appia, Roberto Mandolini, imputato al processo per calunnia e falso assieme a Vincenzo Nicolardi. Ma dal comandante non arriva alcuna risposta neppure quando - dopo la notizia della morte di Cucchi - Tedesco scrive ciò che ha visto in un file che salva su un pc.

"Stampai due copie del file dell'annotazione redigendo due originali", che nonostante fossero protocollate non sono state più ritrovate nell'archivio, né sembrano mai arrivate all'autorità giudiziaria. Anzi. "D'Alessandro e Di Bernardo mi dissero che avrei dovuto farmi i c... miei", spiega Tedesco al pm il quale nel giugno scorso ha presentato una denuncia contro ignoti per la sparizione della notazione di servizio. E Mandolini prima dell'interrogatorio gli consiglia : "digli che non è successo niente".

Nove anni di silenzio alla fine dei quali Tedesco ha deciso di parlare. "All'inizio avevo molta paura per la mia carriera - dice al termine dell'interrogatorio - poi mi sono reso conto che il muro si stava sgretolando e diversi colleghi hanno iniziato a dire la verità". Tra questi il collega Riccardo Casamassima, l'appuntato che con la sua testimonianza fece riaprire l'inchiesta e che oggi dice a Tedesco "bravo, ti sei ripreso la tua dignità". "In tanti dovranno chiedere scusa", dice Ilaria Cucchi. Salvini chiede che siano puniti "eventuali reati o errori di pochissimi uomini in divisa".

Gli fa eco il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta: "Quanto accaduto è inaccettabile". La testimonianza di Tedesco attende ora di essere acquisita agli atti del processo: forse dopo nove anni la morte di Stefano Cucchi troverà la verità.

Cosi sono tredici volte che la complessa vicenda di Stefano Cucchi, il geometra romano arrestato nel 2009 per droga e morto una settimana dopo in ospedale, arriva nelle aule di tribunale. E a volte proprio le aule di tribunale hanno riservato colpi di scena; l'ultimo l'11 ottobre con la rivelazione di un verbale in cui il carabiniere Francesco Tedesco, imputato, accusa del pestaggio altri due colleghi, Raffaele D'Alessandro e Alessio Di Bernardo, anche loro sotto processo.

Tutto iniziò il 15 ottobre 2009, quando Cucchi fu arrestato perché trovato in possesso di droga. Già nel cuore di quella notte si sentì male in caserma, e le sue condizioni peggiorarono, tant'è che in breve tempo fu portato in ospedale, dove morì. Furono portati a processo sei medici, tre infermieri e tre agenti della penitenziaria; per accuse terribili, contestate a vario titolo, ovvero abbandono d'incapace, abuso d'ufficio, favoreggiamento, falsità ideologica, lesioni e abuso d'autorità. Nella prima indagine, l'ipotesi accusatoria fu che Cucchi era stato 'pestato' nelle celle del tribunale e in ospedale era stato abbandonato e lasciato morire di fame e sete.

Nel processo di primo grado, però, i giudici arrivarono a un'ipotesi diversa: nessun pestaggio, ma morte per malnutrizione. Unici colpevoli furono dichiarati i medici - per omicidio colposo - mentre furono con assolti infermieri e agenti penitenziari.

Davanti ai giudici d'appello, tutto fu ribaltato: tutti gli imputati furono assolti, senza distinzione di posizioni. E la Cassazione arrivò alla parziale cancellazione di quella sentenza e l'ordine di un appello-bis per omicidio colposo per i Cucchi: processi e colpi di scena, 9 anni per la verità medici. La conclusione fu una nuova assoluzione nel frattempo diventò definitiva l'assoluzione di agenti e infermieri, e un successivo nuovo annullamento in Cassazione è in corso un nuovo processo d'appello, in attesa dell'affidamento di una nuova perizia.

L'ostinazione di Ilaria Cucchi e della sua famiglia portarono poi all'inchiesta-bis, oggi al vaglio della III Corte d'Assise, in cui sono imputati cinque carabinieri, tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale. Nell'ambito di quest'ultimo dibattimento, il colpo di scena dell'11 ottobre con il 'racconto su carta' di uno dei militari imputati.

Quella maledetta porta si sta aprendo, è solo un'udienza e non una sentenza, ma auspico che si arrivi alla verità e alla giustizia", dice all'ansa Alessio Cremonini, il regista di 'Sulla mia pelle' che da due anni e mezzo - tra preparazione (con la lettura dei materiali disponibili), riprese e lancio - è dentro il caso di Stefano Cucchi, insieme al suo protagonista Alessandro Borghi, a Jasmine Trinca-Ilaria Cucchi e al produttore Andrea Occhipinti di Lucky Red.

"Questo film è speciale, è vivo e oggi è un giorno magico che tutti noi aspettavamo come cineasti e come cittadini: abbiamo sempre immaginato che Stefano non fosse caduto per le scale. Bisogna constatare che ci sono voluti 9 anni per questa udienza", aggiunge ancora Cremonini.

E proprio di tempi parla Borghi che a caldo sui social ha scritto in dialetto romanesco "La giustizia è lenta ma ariva pe' tutti". L'attore si è letteralmente trasformato per interpretare Cucchi e portare sullo schermo i segni delle sue sofferenze nel film, arrivando a diventare magrissimo, emaciato, irriconoscibile per quella lunga settimana prima di morire. Sulla mia pelle è un caso nel caso : tante visioni-dibattito con il pubblico sono state emozionanti e sold out, grazie alla passione con cui il cast lo ha accompagnato in Italia dopo l'anteprima alla Mostra del cinema di Venezia e tante sono state le proiezioni non autorizzate nei centri sociali e persino in strada, un fenomeno sociale di cui non si ha praticamente memoria, tutto questo ha contribuito a dare un valore civile al cinema. Dal punto di vista produttivo, certo, è qualcosa di negativo, ma sta a significare "un cinema vivo quando - risponde Cremonini - tocca il cuore delle persone, quando realtà e fiction sono in contatto".

 

 

Si è appena conclusa la 5° edizione di ARCHMARATHON Awards. L’evento, svolto presso la suggestiva cornice di Palazzo Mezzanotte dall’11 al 13 ottobre 2018, quest’anno ha battuto tutti i record con la presenza di 55 progetti di architettura e interior design suddivisi in 16 categorie, presentati da altrettanti studi provenienti da ben 23 paesi e 4 continenti. Sul palco si sono inoltre succedute 8 lectures internazionali per un evento che ha anche erogato 16 crediti formativi per gli architetti visitatori.

I 55 studi di progettazione – selezionati da una prestigiosa giuria internazionale – sono stati invitati a raccontare il loro progetto di fronte ad un folto pubblico di architetti, developers e designers, provenienti da tutto il mondo.

I vincitori di ciascuna delle 16 categorie in gara e i due overall winner – uno per la macrocategoria Architettura e una per la macrocategoria Interior Design - annunciati dalla Main Jury – guidata da Luca Molinari affiancato da Gary Chang, Lesley Lokko e Rozana Montiel - e dalla Guest Jury – formata da Massimiliano Cecconi, Cherubino Gambardella e Evgeniya Murinets, sono:

OVERALL ARCHITECTURE

I progetti che funzionano bene su micro e macro scala sono molto rari. I progetti che funzionano su entrambe le scale in un contesto poco conosciuto dagli architetti occidentali sono ancora più rari. Il progetto di MDRDV per il recupero della tangenziale urbana di Seoul a spazio pubblico fa entrambe le cose: è visionario, profondamente storico e funziona attraverso i confini disciplinari in un modo esemplare senza precedenti. La sua premessa è semplice: portare il giardino nel paesaggio urbano in modo da farci ri-pensare il nostro rapporto con il mondo naturale, mettendo simultaneamente in discussione il tempo libero, la vendita al dettaglio, i social media, la socialità. È un esempio eccezionale del matrimonio tra ricerca, speculazione e pratica, un lavoro magistrale in tutti i sensi per la capacità di ripensare le infrastrutture moderne ormai obsolete come risorsa per il futuro.

OVERALL INTERIOR DESIGN

Uno dei veri elementi di eccellenza di questo progetto per un quartiere in grande trasformazione di Città del Messico è il modo in cui gli interni si fondono quasi perfettamente con la visione urbana, ovvero finanziare con aspirazione e guardare alle comunità locali come risorsa. Il modo in cui una conoscenza profonda di un quartiere può fornire modelli di sviluppo per altre realtà è qualcosa che il resto del mondo, alle prese con visioni strategie ristrette di sviluppo, gentrificazione e scarsa pianificazione urbana, potrebbe imparare da questo modello innovativo e aperto al mondo che cambia.

ART & CULTURE

EDUCATIONAL BUILDINGS

HEALTHCARE & HOSPITALS

LANDSCAPE & INFRASTRUCTURE

MIXED USE & RESIDENTIAL BUILINGS

PRIVATE HOUSING

RELIGIOUS BUILDINGS

RETROFITTING

SPORT

WORKSPACES

MACROCATEGORIA INTERIOR DESIGN

BARS & RESTAURANTS

COMMERCIAL RETAIL

HOTEL & LEISURE HOSPITALITY

HOTEL & LEISURE LUXURY

PRIVATE HOUSING

WORKSPACES

Nel corso della serata, inoltre, è stato assegnato a Kaan Architecten  per il progetto Supreme Court of the Netherlands lo Stone Award, una categoria speciale istituita in collaborazione con Marmomacc – la fiera internazionale del marmo, design e tecnologie – partner istituzionale di Archmarathon 2018.

Le prossime selezioni per individuare i primi potenziali candidati dell’edizione 2020 avranno luogo a marzo 2019 nell’ambito di Made Expo, fiera di riferimento del mondo dell’architettura e partner istituzionale di Archmarathon già da  già da due anni.    

Sabato scorso, 22 settembre, presso il Cine Teatro S. Giuseppe in via Redi a Milano si è svolto un interessante convegno organizzato dal Forum delle Associazioni Familiari dal tema: «Inverno demografico. L'allarme per una nazione a rischio di estinzione».

Ha introdotto e moderato il Convegno Marco Dipilato, vice presidente provinciale del Forum di Milano. In questo intervento dò spazio alle relazioni del professore Gian Carlo Blangiardo (la verità sui numeri), ordinario di demografia presso l'Università Bicocca di Milano. E del professore Massimo Gandolfini, (La famiglia sotto attacco). Le conclusioni del Convegno sono state tenute dal presidente provinciale del Forum, Enrico Chiesura, esponendo quali sono le richieste dell'associazione familiare alla politica.

Aiutandosi con le sue tabelle di numeri, il prof Blangiardo, ha descritto la drammatica situazione delle nascite in Italia e soprattutto quali sono gli scenari futuri, della mancanza di figli in Italia. «Un numero così basso di nascite, come quello registrato nel 2017, pur con l'apporto di bambini stranieri venuti al mondo in Italia, non si era mai visto. Un fatto straordinario, mai accaduto prima, e che dovrebbe far riflettere la classe di governo, che naturalmente se ne disinteressa, temendo - a torto – il ritorno delle politiche demografiche e di potenza del passato regime fascista». Inoltre il professore Blangiardo, ha denunciato quella «favoletta» che circola da tempo nelle cancellerie occidentali, nei vari laboratori degli intellettuali, dove si deforma l'opinione pubblica, e cioè la crisi demografica dell'Europa, il crollo verticale delle nascite, saranno ampiamente compensati dall'arrivo di forze fresche, dagli immigrati. E' una tesi molto diffusa negli ambienti di sinistra, in particolare, l'ex presidente alla Camera Laura Boldrini è convinta che con l'arrivo di 300-400 mila immigrati l'anno, per lei, una «risorsa» che impedirà all'Italia di scendere al di sotto dei 45 milioni di unità. Quelli della denatalità sono dati impietosi, per questo occorre una concreta azione politica. A questo proposito ne ha parlato il professore Massimo Gandolfini, organizzatore dei Family Day e presidente CDNF (Comitato Difendiamo I Nostri Figli), che nella settimana è stato promotore dell'intergruppo Parlamentare di circa 120 tra deputati e senatori, sensibili ai valori della famiglia naturale e dei diritti dei bambini.

Gandolfini nel suo intervento ha trattato il tema della famiglia sotto attacco negli ultimi 50 anni. A partire dal 1968, c'è stato un cambiamento davvero epocale che si è realizzato in pochi anni. «La prima grande ferita inferta alla famiglia, come l’avevano descritta in maniera ispirata i padri costituenti, ossia una società naturale fondata sul matrimonio - perché io sottolineo sempre che non si tratta di dare una descrizione della famiglia secondo un credo religioso, che nel mio caso sarebbe quello cristiano cattolico, ma in maniera assolutamente laica - ha iniziato a conoscere le prime derive con la legge sul divorzio prima, nel ‘74, poi la legge sull’aborto nel 1978, con i due relativi referendum, fino ad arrivare al 2016, alla legge sulle unioni civili, passando anche attraverso altri stadi intermedi».

Per il professore Gandolfini nella nostra società in questi anni si instaurata la dittatura dell’individualismo e del relativismo. Infatti per il prof «Non è con l’allargamento dei diritti che si forma una società più civile e più democratica ma è con la costruzione di diritti che sono poggiati su dei valori costruttivi per il soggetto e per la società intera. Il nostro mondo è caduto in questo inganno, abbiamo cominciato ad aprire uno spiraglio con la legge sul divorzio, allorché si diceva ‘è soltanto questo passaggio, ma dopo, i grandi valori non vengono assolutamente messi in discussione’; e poi siamo invece andati avanti con la deriva del ‘78 e il referendum del 1981, in cui si decretava quello che secondo me è il trionfo dell’individualismo e del relativismo: di fronte al diritto di nascere di una nuova vita, di un bambino, si è fatto prevalere il diritto di scelta di un’altra persona sulla vita del proprio figlio. Questo secondo me è stato gravissimo”.

Il mondo cristiano cattolico è caduto nell'inganno in quegli anni, ma ancora oggi, di fronte al famoso slogan: «perché mi vieti di fare ciò che tu non faresti mai», non sa rispondere. Gandolfini fa riferimento esplicito alla campagna prima sul divorzio e poi sull’aborto, anche qui «lo slogan mediatico era ‘non si può negare a un altro di fare quello che io reputo non essere giusto’. Ma è un errore, - afferma il professore - perché la democrazia, secondo questo punto di vista, sarebbe la somma di tutte le libertà degli individui, e più si allargano le libertà tanto più una società sarebbe democratica, cosa che invece è falsa».

In pratica, siamo al diritto di un forte che prevarica quello di un debole per definizione, il nascituro. “Debole e praticamente senza voce, senza nessuno che lo tuteli. Dall’altra parte abbiamo il diritto di un più forte che ha tutta la voce per far valere le proprie ragioni, e ancora una volta, con la legge 194, si è dato un colpo al concetto di famiglia, perché la libertà di scelta riguarda la donna, e il padre del bambino è totalmente esautorato da qualsiasi tentativo anche lontano
di poter dire una parola, di poter far sentire il peso della propria coscienza.

Oggi tutti i desideri si stanno trasformando in diritti e questo è un passaggio dal punti di vista culturale antropologico gravissimo. Il professore fa l'esempio dell'assurdo del diritto al suicidio di una persona. Qui tocchiamo veramente il fondo. « Un evento drammatico come il suicidio viene trasformato in un diritto, e quindi come tale in un bene che la legge deve garantire e tutelare».

A questo punto Gandolfini, si interessa del degrado della famiglia dal punto di vista legislativo e culturale. Non esiste più la famiglia, ma che esistono «‘le famiglie’ perché – e cito testuale - la famiglia è un soggetto giuridico polimorfo variabile nel tempo, è evidente che il buco dentro il tessuto sociale diventa immenso, perché allora tutto diventa famiglia, qualsiasi relazione affettiva, tra 2, 3, 4 persone; addirittura si parla di famiglie monoparentali, il singolo stesso è diventato una famiglia, e questo dal punto di vista antropologico - e antropologico vuol dire ricaduta sulle generazioni - sarà veramente devastante».

Dunque la battaglia non sarà nel breve periodo, ossia sul piano meramente legislativo, ma di lungo periodo, ovvero sul piano del recupero culturale. Infatti Gandolfini è convinto che la famiglia possa avere ancora un grande ruolo soprattutto per quanto riguarda il welfare. « Se l’Italia ha in qualche misura tenuto sulla crisi economica, non sono stati gli 80 euro, né certamente gli aiuti spot del governo di turno, ma il fatto che esiste un tessuto familiare ancora sufficientemente solido, che mantenendo l’aiuto tra generazioni, sta tenendo in piedi la società». Oggi sembra che per aiutare la famiglia basta che il governo decida di dare qualche sostegno
economico, ma non è quello il punto nodale.

E facendo riferimento alla denatalità, all'inverno demografico, Gandolfini, afferma: «gli aiuti economici servono e il sostegno alle famiglie numerose in termini di soldi è una buona cosa, ma sia ben chiaro che questo non è sufficiente. Oserei dire che rappresenta il secondo passo, perché il primo passo è quello di rimettere al centro il fatto che la famiglia è una società naturale fondata su un patto il possibile stabile, e che garantisce la continuazione delle generazioni, o se vogliamo dirla più laicamente, la sopravvivenza della specie.
Nel momento in cui noi apriamo a delle unioni che sono formazioni sociali basate esclusiva,ente di un rapporto affettivo temporaneo non naturali - nel senso che l’unione maschio-maschio femmina-femmina non garantisce il mantenimento della specie, e quindi in questo senso non è secondo natura, andiamo incontro ad una società il cui livello demografico diventerà uno zero
assoluto».

Pertanto in conclusione il presidente del CDNF afferma che «Una società che nega la famiglia, assimilandola ad altre forme di convivenza affettiva, culturale, sociale, aggregativa, d’interesse condiviso, è destinata all’estinzione, ancor prima ed anche al di là di politiche – pur assolutamente necessarie – che cerchino di vincere l’inverno demografico».

Del resto, «quando una strada porta verso un burrone, non serve a nulla stanziare fondi per asfaltare la strada: bisogna cambiare strada. Il legittimo riconoscimento di diritti legati alla persona, anche all’interno di una relazione affettiva, non ha e non deve avere nulla a che fare con l’istituto giuridico familiare, in quanto “strutturalmente” diversi. E proprio in nome del contrasto ad ogni forma di discriminazione, considerato che non vi è nulla di discriminatorio se si tutelano in modo diverso condizioni che sono strutturalmente diverse».

Al contrario, proprio come sta accadendo oggi, «il vero oggetto di discriminazione è la famiglia, società naturale. Dobbiamo partire, o ripartire da qui, come fondamento su cui costruire politiche di welfare coerenti: apertura alla vita, famiglie numerose, compatibilità lavoro/maternità, sostegno all’infanzia, a disabili o anziani accuditi in casa». Queste parole sono state ascoltate con attenzione dal ministro per la Famiglia e le disabilità, Lorenzo Fontana, che ha partecipato al Convegno con un suo caloroso intervento e certamente farà di tutto per concretizzare tutte le necessità esposte dal professore Gandolfini. Il lavoro è enorme, ma il primo passo è certamente recuperare la bellezza della famiglia, la bellezza di quella comunione di anima e corpo che genera nuove vite.

 

 

 

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