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Dopo dieci anni di assenza da Milano, torna visibile al pubblico la magnifica opera di Mario Sironi: il cartone preparatorio della vetrata della Chiesa dell’Annunciata dell’Ospedale Niguarda Cà Granda, fulcro del progetto espositivo, curato dalla Fondazione Rivoli2.

Questa esposizione, che si terrà presso Palazzo Cusani – Via Brera 15 Milano, dall’11 ottobre al 4 novembre 2014, si articolerà in un dialogo sull’opera creata da Sironi, attraverso un’installazione realizzata da due giovani artisti: Marco Noris (Bergamo,1988) e Orestis Mavroudis (Atene, 1988).

Mario Sironi nel decennio che va dal 1930 in poi si dedica a lavori monumentali, adottando una composizione multicentrica, spesso a riquadri, governata da una spazialità ed una prospettiva prerinascimentali e “L’Annunciazione” appartiene alla felice produzione artistica di quel periodo. Il cartone preparatorio è il carboncino su carta da spolvero riportato su tela, dal quale è stata poi realizzata la vetrata che si trova nell’abside della Chiesa, tra la “Natività” di Alberto Salietti e la “Cacciata dal Paradiso” di Aldo Carpi.

L’artista sassarese realizza una scena in cui l’Arcangelo si presenta a Maria in un ambiente sacro, come dimostra l’inginocchiatoio, la piccola finestra che si affaccia su una torre campanaria medioevale e un piccolo libro sacro di colore bianco. L’Arcangelo è, in modo del tutto singolare, molto più imponente della Madonna, creando una straordinaria composizione, definita una fra le più belle vetrate sacre del secolo scorso in Italia.

Il video degli artisti Noris e Mavroudis è stato concepito come narrazione del processo creativo compiuto da Mario Sironi nell’ideazione della vetrata e mostra il legame diretto tra cartone preparatorio, spazio ed esito finale; una colomba bianca, simbolo assai ricorrente nelle rappresentazioni dell’annuncio dell’Arcangelo Gabriele a Maria e materializzazione della presenza divina nell’iconografia Cristiana, ne è l’elemento chiave.

Il video, allestito nella stessa sala dove viene esposta l’opera di Sironi, offre una sequenza di inquadrature che seguono le traiettorie imprevedibili della colomba all’interno della Chiesa.

Il volo della colomba guida lo sguardo dello spettatore alla scoperta degli spazi architettonici che, con la loro imponenza e rigidità, si contrappongono ai movimenti liberi e sincopati delle ali. Volare in uno spazio chiuso e limitato enfatizza l’atto del disegnare, intesa come azione libera e spontanea, ed esprime l’impegno compiuto dal pittore nell’unificare produzione artistica e architettura in modo organico.

Durante la mostra sono previsti incontri di approfondimento, che indagheranno il rapporto di Sironi con la città di Milano ed il valore del patrimonio artistico-monumentale da lui lasciato in eredità alla città.

Il progetto, ideato e organizzato dalla Fondazione Rivoli2, in collaborazione con il Comando Militare Esercito Lombardia e il supporto dell’Ospedale Niguarda Cà Granda, è sostenuto da Banca Akros e da Navigando s.r.l.

La Fondazione Rivoli2, in linea con i suoi obiettivi, promuove una mostra che presenta e valorizza il talento di due giovani artisti che si confrontano con uno dei Maestri dell’arte italiana e al tempo stesso, riporta a Milano un’opera di Mario Sironi, proveniente da una collezione privata e per questo motivo, raramente visibile al pubblico.

Biografia:

Mario Sironi è nato a Tempio Pausania (SS) nel 1885. Oltre ad essere pittore, è stato anche un eccellente scultore, architetto, illustratore, scenografo e grafico.

Nel 1922 è stato uno dei fondatori del “Novecento Italiano” e negli anni Trenta ha teorizzato e praticato con successo il ritorno alla pittura murale.

Ha vissuto a Milano, dove è morto nel 1961.

Sulla grande scena della civiltà figurativa del Settecento, la personalità di Giambattista Tiepolo (1696-1770), con le sue molteplici aperture europee, grandeggia prepotente e carismatica come pochissime altre. E l'impressionante quantità e varietà di disegni di Tiepolo si staglia come il più grande monumento della grafica settecentesca.

 

La sua straordinaria visione pittorica trova il naturale momento fondante nel disegno, l’aspetto che lo vide esprimersi come geniale e fecondissimo artefice. Il carattere progettuale della pratica del disegno, ma anche le sue valenze di studio, di analisi compositiva o di documentazione, gli consentirono di organizzare e dirigere la diversificata attività della sua singolare bottega familiare. Tiepolo guidò a diverse finalità anche l’attività grafica dei figli Giandomenico e Lorenzo, in quello che fu l’ultimo grande esempio di una secolare tradizione veneziana di atelier d’arte.

 

La mostra ai Musei Capitolini vuole essere omaggio quindi alla natura multiforme del disegno dei Tiepolo presentando, per la prima volta in maniera organica a Roma, gli esiti della grafica veneziana del Settecento ai suoi livelli più alti, ed entrando nelle dinamiche inventive e produttive di così grandi modelli figurativi, grazie a un’analisi del loro strumento operativo, il disegno, appunto. Nello stesso tempo l'esposizione riunisce una scelta di opere provenienti da raccolte italiane rimaste poco conosciute al grande pubblico, con fogli sinora raramente se non mai esposti.

 

L’esposizione, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica, Sovrintendenza Capitolina, è prodotta e organizzata dall'Associazione Culturale MetaMorfosi e da Zetema Progetto Cultura, e ideata e curata da Giorgio Marini, vicedirettore del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, insieme a Massimo Favilla e Ruggero Rugolo ricercatori e storici dell’arte veneziani.

 

Una mostra che vuole offrire una scelta rappresentativa di fogli in grado di svelare la “meccanica” del processo creativo tiepolesco nel suo sempre cangiante vocabolario espressivo: le balenanti illuminazioni in cui le “prime idee” si fissano in segni abbreviati e stenografici sul foglio, le diverse modalità in cui i termini compositivi e i rapporti luministici prendono forma nei “progetti operativi”, le composizioni autonome dei “disegni finiti”, concepiti per la vendita o il collezionismo, o ancora le “notazioni estemporanee” che catturano elementi paesistici, spunti decorativi o soggetti caricaturali.

 

Le quattro sezioni della mostra riuniscono disegni e una scelta di acqueforti secondo nuclei tematici salienti, declinandoli al contempo secondo la gamma delle loro modalità tecniche: dal progetto ai ‘pensieri’, dai ‘ricordi’ ai ‘divertimenti’ e alle repliche sempre originali di Giandomenico e Lorenzo, come esercizio emulativo dell’opera paterna.

Nella prima sezione, Idea, progetto, composizione: i paradigmi della figura, si può cogliere la “meccanica” del disegno: fissare le prime idee, studiarle in una progressione sempre originale di soluzioni, valutarne i rapporti e le connotazioni cromatiche. Attraverso i differenti tipi di carta e nell'utilizzo di diverse tecniche espressive, Tiepolo riesce a rendere il disegno pittorico: tratteggi a penna, inchiostro nero e bruno diluito in diverse gradazioni  e steso con il pennello, lumeggiature a biacca, tocchi di matita rossa, a “pietra nera”, danno vita a un sorprendente cromatismo. Nelle opere esposte in questa sezione già si intravede il tratto morbido della sua pittura. Ne danno ampia testimonianza in mostra L'Annunciazione e L'Olimpo, entrambi dal Museo Stefano Bardini di Firenze (n. 2 e n.5) e lo studio per il dipinto dall'omonimo soggetto oggi a Madrid Morte di Giacinto (n.6) dal Museo Civico Sartorio di Trieste.

 

L'ironia, ulteriore aspetto del mondo poliedrico di Giambattista Tiepolo, è la protagonista della seconda sezione, Caricatura ed esotismo: i caratteri dell'ironia. Vero e proprio antidoto per sfuggire agli schemi obbligati della società dell'epoca, l'ironia trova la sua realizzazione grafica nella caricatura. Tiepolo, attraverso uno sguardo arguto e pungente, eppure mai malevolo, riesce a restituire, tipizzate, fisionomie tratte dalla quotidianità: nobili imparruccati, orientali misteriosi, frati panciuti, abati rinsecchiti, signori in bauta, cicisbei incipriati, servi trafficoni. Sono ritratti psicologici di un'imprevista carica emotiva, gli stessi che si riverberano nelle commedie di Carlo Goldoni. Questo repertorio visivo elaborato da Giambattista e splendidamente rappresentato in mostra dalla Testa di Orientale e dalla Caricatura di gentiluomo con tricorno sotto il braccio e spadino (n. 9 e n. 11) entrambi provenienti dal Museo Civico Sartorio di Trieste, verrà raccolto dal figlio maggiore Giandomenico, il quale, dotato di uno spirito ludico inesauribile, saprà cogliere i particolari più inconsueti dell'universo paterno e ne porterà alle estreme conseguenze le sottili e garbate allusioni.

 

Nella sua vastissima produzione grafica, Giambattista Tiepolo si è poi cimentato nel ritrarre anche frammenti di paesaggio: è il tema della terza sezione della mostra, Visioni d'Arcadia: paesaggio, natura e mito. Si tratta di appunti di taccuino trasferiti sulla carta per cogliere, en plein air, gli effetti della luce  dell'aria sulle cose. È il caso degli eleganti Cani levrieri, che si ritroveranno anche nei suoi dipinti, caratterizzati da un segno esile come se la penna accarezzasse il foglio, realizzati a penna e inchiostro bruno diluito, provenienti dal Museo Civico Sartorio ed esposti in questa sezione, o come il Cavallo in un paesaggio con edifici, realizzato da Giandomenico e in prestito dalla veneziana Fondazione Cini, Collezione Fiocco (n.13). Per altri versi, il figlio Giandomenico mostrerà una particolare inclinazione al mondo fantastico dei Satiri e dei Centauri calati in una campagna veneta trasfigurata in Arcadia, ben esemplificato in mostra dalla presenza, tra gli altri, de Il combattimento dei Satiri, proveniente da una collezione privata di Firenze.

 

Infine, la quarta sezione, All'antica:decorazione e design, raccoglie gli esempi che meglio rappresentano l'attenzione ai dettagli che sempre caratterizzò l'opera di Tiepolo: non esibizione di ricercato virtuosismo fine a se stesso quanto, invece, una riflessione su un'antichità che gioca, con il rilievo classico e la grottesca, su due piani: simbolico e utilizzo quotidiano. Esempio ne sono in mostra i Vasi, realizzati da Giambattista a penna e inchiostro bruno, inchiostro diluito bruno, su traccia di grafite e in prestito dal Museo Civico Sartorio di Trieste. Alcune della sue celebri raccolte di stampe raccolgono proprio un vasto repertorio di vasi, cippi  e ornamentazioni tratte dall'antico, variamente rielaborato e riproponibile per una produzione d'arredo che oggi chiameremmo di design e décor.

 

Ai disegni si aggiunge una calibrata selezione di dipinti, di Giambattista e dei figli Giandomenico e Lorenzo, con il compito di introdurre e in qualche modo rappresentare gli esiti pittorici di ciascuna tipologia grafica. Alcuni molto noti, come La Tentazione di Antonio (n.15) dalla Pinacoteca di Brera, o come L'Abramo e i suoi figli, realizzato da Giandomenico, dalle Accademie di Venezia (n.16),  altri invece riemersi o riconosciuti solo dalle ricerche più recenti.  Tutti, però, contribuiscono a penetrare le dinamiche del linguaggio tiepolesco, la cui eccezionale fertilità immaginativa non esclude una costante innovazione nella iterazione dei modelli.

 

Tiepolo non fu mai a Roma, ma non gli mancarono i rapporti con la città: nel 1758 gli furono richieste due grandi pale per la chiesa di San Marco annessa a Palazzo Venezia, sede dell’ambasciata della Serenissima Repubblica, ma l’incarico sfumò perché il pittore era oberato da impegni. Roma fu anche il luogo della controversa “riabilitazione” dell’arte tiepolesca, in particolare nell’opera di Giandomenico, un cui progetto per la veneziana Scuola Grande della Carità fu sottoposto al parere dell’Accademia di San Luca, e venne giudicato come «il più spiritoso e che più tenga di un certo carattere di valent’uomo». Ma in quegli stessi anni un altro grande veneziano, Giovanni Battista Piranesi, che si era trasferito nella città eterna conquistato dal fascino delle rovine classiche, trasformerà con le sue stampe l’immaginario della Roma antica, dopo essere stato, intorno al 1740, nella bottega dei Tiepolo.

 

Le opere, oltre 90 disegni dal prevalente carattere di “fogli d’album” data la loro tipica natura “di lavoro”, provengono in larga misura dal ricco fondo Sartorio dei Musei Civici di Trieste, cui si affiancano disegni dalle raccolte della Fondazione Giorgio Cini di Venezia e altri, assai meno noti per non essere stati esposti nell’ultimo mezzo secolo, dalle collezioni riunite nel secondo Ottocento a Firenze dagli studiosi Herbert Percy Horne, Frederick Stibbert e Stefano Bardini, ora conservate negli omonimi musei fiorentini. Un'ulteriore selezione arriva ancora dai fogli ben noti del Museo di Bassano del Grappa, e da un'importantissima  raccolta di fogli veneziani del Settecento riunita all'inizio del secolo scorso dal pittore di origine goriziana Italico Brass, oggi in parte dispersa.

 

Secondo : Giorgio Marini, Massimo Favilla e Ruggero Rugolo :

L’impressionante quantità e varietà dei disegni di Tiepolo si staglia come il più grande monumento della grafica settecentesca. È la stessa incredibile mole di questa produzione – che ci appare peraltro sempre nuova – ad aver sollecitato negli studi degli ultimi cinquant’anni un’adeguata sistematizzazione tipologica, stilistica e cronologica. Allo stesso tempo essa ha stimolato una riflessione critica su come corrisponda a tale inesauribile vena narrativa, intesa per lo più come esercizio autonomo e del tutto privato, una varietà di registri stilistici calibrati dall’artista in rapporto alle diverse funzionalità della sua produzione.

L’arte di Giambattista Tiepolo trova infatti il proprio geniale elemento fondante nel disegno, aspetto che lo vide esprimersi come fecondissimo artefice, e insieme cifra con la quale seppe organizzare e dirigere la diversificata produzione di una singolare bottega famigliare, guidando l’attività grafica dei figli Giandomenico e Lorenzo in quello che fu l’ultimo grande esempio di una secolare tradizione veneziana di atelier d’arte.

Dunque al cromatismo del disegno tiepolesco e alla gamma delle sue molteplici tipologie, tecniche e tematiche, si è voluta dedicare la presente occasione, che trova la propria ragione nella felice possibilità di riunire una scelta di opere da raccolte italiane rimaste assai meno conosciute al grande pubblico, con fogli sinora raramente – o mai – esposti, ma eloquenti della natura multiforme di questa attività grafica, aspetto che costituisce di per sé un fatto rilevante.

Nata in collaborazione in special modo con i Civici Musei d’Arte e Storia di Trieste, la mostra vede provenire un nucleo centrale e consistente di opere dalle collezioni triestine del Museo Sartorio, mentre un’ulteriore selezione viene proposta dai fogli ben noti del Museo di Bassano del Grappa e del fondo Fiocco dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini di Venezia.

Ma essa ambisce anche a presentarsi come un’occasione di novità nell’accostare, a quelli, i disegni di Tiepolo appartenuti a tre grandi collezionisti attivi a Firenze tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento: Frederick Stibbert, Herbert Percy Horne e Stefano Bardini, le cui raccolte, oggi opportunamente musealizzate, restano però malauguratamente trascurate non solo dai grandi flussi turistici ma spesso anche dall’interesse degli studiosi. E ancora, un piccolo gruppo di vivaci invenzioni mitologiche di Giandomenico testimonia quella che fu l’importantissima raccolta di fogli veneziani del Settecento riunita all’inizio del secolo scorso dal pittore d’origine goriziana Italico Brass, oggi in parte dispersa.

Le quattro sezioni della mostra riuniscono quindi i disegni e una scelta di acqueforti secondo i nuclei tematici salienti, declinandole al contempo attraverso la gamma delle loro modalità tecniche: dal progetto ai ‘pensieri’, dai ‘ricordi’ ai ‘divertimenti’ e alle repliche sempre variate e inventive di Giandomenico e Lorenzo, come esercizio emulativo dell’opera paterna. A essi si aggiunge una calibrata selezione di dipinti, con il compito di introdurre e in qualche modo rappresentare gli esiti pittorici di ciascuna tipologia grafica. Alcuni molto noti, altri invece riemersi o riconosciuti solo dalle ricerche più recenti, tutti contribuiscono a penetrare le dinamiche del linguaggio dei Tiepolo, la cui eccezionale fertilità immaginativa non esclude una costante innovazione nell’iterazione dei modelli.

La nostra gratitudine va dunque alla generosità dei prestatori, pubblici e privati, alla disponibilità dei curatori, al Sovrintendente Claudio Parisi Presicce, al Servizio Mostre della Sovrintendenza e alla struttura organizzativa dei Musei Capitolini e al suo staff, che ci hanno assecondato nella elaborazione del progetto scientifico. Un particolare ringraziamento desideriamo rivolgere a Catherine Whistler, che ha voluto condividere con noi la sua profonda conoscenza dell’arte tiepolesca, a Maria Masau Dan e a Lorenza Resciniti per il loro prezioso contributo sui disegni della collezione Sartorio, a Zètema Progetto Cultura e ancor prima all’Associazione MetaMorfosi, che ha pensato di coinvolgerci nella sfida appassionante di presentare la grafica di Tiepolo, per la prima volta in maniera organica, al pubblico di Roma.

Roma fu anche il luogo della controversa “riabilitazione” dell’arte tiepolesca, in particolare nell’opera di Giandomenico. Quando nel 1771 la Scuola Grande della Carità di Venezia bandì il concorso per la realizzazione di un dipinto, i bozzetti furono sottoposti al parere dei professori dell’Accademia di San Luca, tra cui Mengs, Pecheux e Natoire. Il vincitore risultò essere Giandomenico Tiepolo, il cui bozzetto venne definito come «il più spiritoso e che più tenga di un certo carattere di valent’uomo», giudizio che esprime la carica vitale e quella singolare varietà dei registri espressivi dell’arte tiepolesca che la mostra si propone appunto di evidenziare.

 

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In questi giorni, presso l'Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di restauro della Fortezza da Basso di Firenze, sono stati resi noti i risultati della delicata prima fase dell'intervento di restauro su "L'Adorazione dei Magi"di Leonardo da Vinci, alla presenza di Cristina Acidini, sovrintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etno-antropologico e per il polo museale della città di Firenze, di Marco Ciatti, sovrintendente dell'Opificio delle Pietre Dure, di Antonio Natali, direttore della Galleria degli Uffizi e di Maria Vottoria Rimbotti, presidente degli Amici degli Uffizi.
Grazie al sostegno degli Amici degli Uffizi, il grande capolavoro di Leonardo, dipinto su tavola, raffigurante l'Adorazione dei Magi (cm 246x243), iniziato nel 1481 per il monastero di San Donato a Scopeto e lasciato incompiuto, nel novembre del 2011 è stato trasferito dalla Galleria degli Uffizi al Laboratorio di restauro dell'Opificio delle Pietre Dure della Fortezza da Basso.
Nel corso del primo anno l'opera è stata sottoposta ad un'articolata serie di indagini diagnostiche, allo scopo di verificare lo stato di conservazione del supporto ligneo, (nel tempo dimensionalmente modificato) e della superficie pittorica che Leonardo, in via preliminare, aveva iniziato a comporre.
Quindi, è iniziata una prima fase dell'intervento di restauro, dedicato alla parte pittorica, che si concluderà entro l'estate del 2015.
Successivamente, verrà effettuato il restauro del supporto ligneo, necessario ad assicurare solidità alla tavola ed evitare negative conseguenze sulla pittura.
"Si tratta di un altro importante momento nella storia del restauro del capolavoro di Leonardo - ha affermato Cristina Acidini - in cui l'Opificio della Pietre Dure presenta i risultati dell'intervento sulla parte pittorica, che rappresenta anche l'evidente progresso delle nostre conoscenze sul quadro, sia dal punto di vista delle materie presenti sulla tavola, nelle loro diverse stratificazioni, sia riguardo le originali modalità di esecuzione, offrendo quindi nuovi spunti d'interpretazione dell'Adorazione dei Magi nel suo insieme e nei particolari.".
Per il direttore della galleria degli Uffizi, Antonio Natali: "Quello che la pulitura sta rivelando, nella parti dove ultimata, consente di apprezzare ciò che prima si poteva solo intuire, attraverso la lettura dei referti ad infrarossi. Ora si può affermare, con assoluta certezza che, una volta concluso il restauro, l'occhio del visitatore potrà darsi ragione di una trama teologica, che aveva potuto ricostruire solo in virtù delle indagini. Questo a sostegno della realizzazione di un museo inteso come luogo di educazione, più che di stupore".
Da parte sua, la presidente degli Amici degli Uffizi, Maria Vittoria Rimbotti, ha sottolineato che: "Sono trascorsi due anni dall'inizio del restauro , operazione lunga ed estremamente complessa che l'Opificio delle Pietre Dure di Firenze sta conducendo con grande professionalità ed estrema perizia, tanto da portarlo ad essere considerato uno dei punti di riferimento per il restauro a livello mondiale".
"Fin dai suoi inizi - continua Maria Vittoria Rimbotti - gli Amici degli Uffizi sono stati vicini a questo intervento. Nel 2012, per festeggiare il ventesimo anniversario della nostra fondazione, abbiamo sostenuto le spese per le indagini diagnostiche.  Ci sembrava, quindi, doveroso da parte dell'Associazione, che ho l'onore di presiedere, continuare a sostenere economicamente il proseguimento dei lavori".
"Più tecnicamente, il sovrintendente dell'Opificio delle Pietre Dure, Marco Ciatti, ha affermato che "In questa seconda conferenza stampa, dedicata al restauro dell'Adorazione dei Magi di Leonardo della Galleria degli Uffizi, possiamo sostenere che che le problematiche ed i risultati sperati, anticipati e proposti nel precedente incontro e frutto delle indagini diagnostiche svolte sull'opera, si sono col tempo pienamente realizzati, facendo tuttavia emergere anche interessanti novità. In realtà, ora vediamo chiaramente ed in maniera inconfutabile che il lavoro di pulitura tramite un leggero, graduale e differenziato assottigliamento dei vari materiali sovrapposti nei secoli dai vari manutentori e restauratori delle Gallerie in superficie, era assolutamente doveroso e tecnicamente possibile".
Come appare in maniera evidente, la superficie pittorica, anche se appena abbozzata, risulta ora libera dal pericoloso effetto di strappo dei materiali accumulatisi sopra e le parti disegnate ed ombreggiate da Leonardo emergono finalmente leggibili, rendendo possibile una più approfondita lettura dei loro valori espressivi.
Per esempio, le alterazioni di questi materiali aggiunti e non originali sulla bellissima figura del pensatore, o Isaia secondo la lettura iconografica di Antonio Natali, appiattita dallo sbiancamento, sono scomparse con un leggerissimo trattamento di pulitura e la potenza dei volumi e dell'espressione sono immediatamente riemerse. Ma, è soprattutto nella parte alta che la nuova lettura dell'opera si afferma prepotente, rivelando un accenno sottilissimo dei colori del cielo e rendendo percepibili ad occhio nudo, anzichè solo in infrarossi, le figure dei lavatori che sono intenti alla ricostruzione del Tempio, elemento iconologico di grande importanza, così come la zuffa di cavalli e figure umane sulla destra. La presenza di queste tracce di velatura di colore locale, già evidenziata dalle prime indagini diagnostiche, è forse all'origine della patinatura con la quale, nei secoli passati, le si erano volute occultare, forse per conferire all'insieme l'effetto di un voluto monocromo.
Questa delicata pulitura ha consentito anche di penetrare sempre più nel modo di lavorare di Leonardo, confermando l'interpretazione iniziale circa le varie fasi e materiali, ma arricchendola di nuovi elementi, esempi ed anche interessanti problemi interpretativi. Significativi alcuni particolari nella comprensione del processo mentale di Leonardo, che lavora secondo la propria ispirazione in maniera molto libera al di sopra di una, invece, rigorosissima impostazione prospettica dell'insieme. Il gruppo di teste sul lato sinistro mostrano con evidenza i vari possibili livelli, durante il processo di costruzione delle immagini. All'estremità destra appaiono varie posizioni di una testa di cavallo, per la quale, evidentemente, il pittore non aveva ancora compiuto la scelta definitiva.
Come si rileva ovunque, molta materia aggiunta è stata ancora lasciata, in base all'impostazione teorica e tecnica della pulitura propria di questo istituto, sia come livello di sicurezza, sia come "patina" della storia trascorsa. Il principio che ci guida, come ben noto, è che la pulitura non deve porsi l'obiettivo di far tornare il dipinto come nuovo, una indimostrabile e pericolosissima pretesa, dato che nessuno sa esattamente come esso apparisse e può condurre a danni irreparabili, bensì quella più ragionevole di consentire una corretta lettura dei suoi significati e valori espressivi, sia pur con i segni ed i passaggi del tempo.
Alla fine del restauro, il dipinto di Leonardo dovrà apparire un dipinto non finito, antico, ma in buone condizioni sia materiche, sia di leggibilità. A tal scopo, unitamente con il massimo rispetto della sua autenticità materica e formale, vanno tutti gli sforzi del team dell'Opificio al lavoro (restauratori, esperti scientifici, storici dell'arte) che, con un confronto continuo con la Direzione della Galleria degli Uffizi, con gli studiosi dell'opera di Leonardo e con il fondamentale sostegno degli Amici degli Uffizi, vede ormai prossima la conclusione di questa prima fase dell'intervento.
L'opera tornerà presumibilmente agli Uffizi entro la fine del 2015 e ad accoglierla troverà un nuovo allestimento della sala 15 della Galleria.

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In concomitanza e prossimi al finissage di "FREEDOM FIGHTERS" - I Kennedy e la battaglia per i diritti civili, (visitabile fino al 12 ottobre), nella splendida cornice di Palazzo Reale - Milano dall'8 al 10 ottobre 2014 si svolgerà l'inedita mostra evento "I HAVE A DREAM".
A cinquant'anni dall'assegnazione del Premio Nobel per la Pace a Martin Luther King, cinquantuno artisti hanno aderito a questa speciale iniziativa donando un'opera.
Le curatrici di questo importante evento Melissa Proietti e Raffaella A. Caruso spiegano che "I HAVE A DREAM" nasce dall'esigenza di dimostrare quanto oggi  il sogno di democrazia e le battaglie per l'uguaglianza e il riconoscimento dei diritti civili condotte da John e Robert Kennedy e Martin Luther King siano ancora vivi,  sia nel ricordo di questi uomini entrati nella storia, sia nell'attualità e comunione d 'intenti.
Sono stati messi a confronto artisti italiani del dopoguerra, che hanno vissuto sulla loro pelle la controversa fase del rinnovamento, con gli artisti della generazione corrente, che a tutt'oggi assistono ad esecrabili oltraggi alla democrazia.
A tutti loro è stato chiesto di interpretare il tema del "sogno di libertà", ognuno in base alle proprie modalità espressive, in senso narrativo e metaforico, nell'intento di donare immagini di speranza e di denuncia sociale, esulando sempre da ogni forma di violenza.
"I HAVE A DREAM" si concluderà con un 'asta di beneficenza a sostegno del Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights Europe, che si terrà venerdì 10 ottobre alle ore 19.00 e sarà battuta dalla più importante casa d 'aste francese Artcurial.
All 'evento presenzierà la Presidente Onoraria Kerry Kennedy.
All'asta di venerdì 10 ottobre seguirà, sempre nelle sale di Palazzo Reale, una serata di gala organizzata dal Memo's Boutique Events, dove alle eccellenze dell'arte si uniranno quelle dell'alta cucina italiana, con la partecipazione di chef "stellati", che presenteranno creazioni culinarie abbinate a vini pregiati del Comitato Grandi Cru d'Italia.

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Dopo l’evento inaugurale del 30 maggio scorso della M77 Gallery di via Mecenate 77 (Milano), dedicata alle opere su carta di Luca Pignatelli, con la mostra dal titolo “Off Paper”, questo nuovo spazio espositivo per l’arte contemporanea italiana ed internazionale dal 21 ottobre 2014 al 31 gennaio 2015 ospiterà l’artista spagnolo Santi Moix.

L’esposizione, dal titolo Brooklyn Studio, realizzata in collaborazione con Paul Kasmin Gallery e curata da Luca Beatrice, propone 40 lavori inediti, tra dipinti e acquerelli ed una grande installazione “site specific”, pensata appositamente per gli spazi della galleria.

Catalano di nascita, Santi Moix è un pittore e ceramista e dal 1986 vive e lavora a New York, dopo aver trascorso lunghi periodi in India, Giappone, Francia ed Africa.

Attraverso i suoi frequenti viaggi e soggiorni di studio, egli ha attinto la linfa vitale per nutrire la sua creatività, fino a trovare nella metropoli americana un sicuro approdo dove sviluppare la sua arte.

Nel 2002 ha ottenuto un’eccellente borsa di studio, dalla John Simon Guggenheim Memorial Foundation: il “Geggenheim Fellowship Award”.

Influenzato da eccellenti maestri, quali Delacroix, Velàzquez, El Greco, Picasso, Mirò e Pollok, l’artista ha avuto e continua a ricevere dal mondo letterario importanti e preziose fonti d’ispirazione. Secondo Moix, l’immaginario letterario costituisce un considerevole bagaglio di informazioni per la sua pittura.

Non è un caso che la sua più recente personale in Terra catalana ruotasse attorno alle avventure di Huckleberry Finn, l’immortale personaggio di Mark Twain, con un’installazione di disegni e un grande “wall drawing”.

“Ciò che cerco di fare – afferma Santi Moix – è ribellarmi al passato e ai codici, che la mia opera non si capisca a prima vista, quindi tentare che l’opera diventi intelligente da sola. Mi piacciono i quadri che sembrano idioti. Lottare contro gli istinti, che conducono a certi automatismi; mi piace pensare che le foreste frondose siano grandi orecchie. Penso a Ramon Llull (scrittore e filosofo di Maiorca), il quale affermava che è fondamentale riuscire a captare sempre nell’ambiente le idee e proiettarle, finchè si convertono in sostanza propria.

Veniamo da una grande esplosione, l’idea è che questa stessa esplosione uscirà sulla tela e si perderà per sempre. La mia funzione, come artista, è quella di congelare l’istante”.

La creatività vorace e sorprendente di Santi Moix non finisce mai di stupire il pubblico, fornendo ogni volta importanti spunti di riflessione.

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