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Per la prima volta in terra marchigiana, l’esposizione presenta 24 opere realizzate da due tra i più riconosciuti maestri della scultura ceramica contemporanea.

La rassegna riveste un importante significato di rinascita culturale e artistica della regione: inizialmente prevista per novembre scorso, era stata rimandata a causa dei terribili eventi sismici.

Cosi dal 25 marzo al 24 settembre 2017, la Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno, ospita la mostra Bertozzi & Casoni. Minimi Avanzi, che presenta 24 opere di diversi formati, realizzate dai due dei più importanti e riconosciuti maestri della scultura ceramica contemporanea, cui si aggiunge un’installazione inedita di grandi dimensioni, creata appositamente per gli spazi del museo, che dialogherà con i suoi luoghi ricchi di storia e con i capolavori d’arte antica in esso conservati.La rassegna, curata da Stefano Papetti, Elisa Mori, Giorgia Berardinelli e Silvia Bartolini, è la prima personale del duo in terra marchigiana, riveste inoltre un importante significato di rinascita culturale e turistica per tutta la regione. 

Prevista originariamente per lo scorso 26 novembre, l’inaugurazione dovette subire uno spostamento a causa dei terribili eventi sismici che colpirono le Marche e in particolare le province di Ascoli Piceno e Macerata. A quattro mesi di distanza, l’esposizione si ripresenta ora con lo stesso progetto espositivo. Bertozzi & Casoni. Minimi Avanzi affronta alcuni temi cari ai due artisti, primo fra tutti, quello del cibo in tutte le sue declinazioni - avanzi di banchetti, rifiuti, lattine, rimasugli, pattumiere -, oltre a fiori, farfalle, animali, giornali, ed elementi della vita quotidiana che, sapientemente smembrati e riassemblati, compongono le insolite nature morte realizzate in ceramica policroma che li hanno resi celebri. 
Un ulteriore collegamento con il territorio è dato dal fatto che il capoluogo marchigiano vanta una lunga e importante tradizione con quell’arte ceramica che Bertozzi & Casoni hanno saputo reinterpretare all’interno del panorama dell’arte contemporanea: la ceramica policroma, infatti, costituisce il loro medium privilegiato per garantire una riproduzione che il più delle volte supera la realtà, mentre l’immaginario pesca nel quotidiano, tra oggetti che vengono recuperati giusto nel momento in cui diventano scarti, rifiuti, con evidente riferimento alla società dei consumi.

Ne risultano opere costantemente in bilico tra surrealismo compositivo e iperrealismo formale, in cui la vanitas e la caducità del mondo organico si collegano a quei sentimenti di disgusto e orrore che proiettano il pubblico nel mondo dell’usa e getta e della futilità del materialismo moderno; ma attraverso la ceramica Bertozzi & Casoni restituiscono agli oggetti nuova esistenza, donando loro una sorta di nuova vita “eterna”. Essi, infatti, sottratti alla deperibilità, acquisiscono una nuova valenza che è quella della godibilità estetica.

Lo spettatore, dunque, di fronte ai rifiuti della società trasformati in mirabolanti sculture, che difficilmente è possibile cogliere per intero ad un primo sguardo, ne scopre l’orrore e la bellezza, ed è sollecitato a più riprese, tra lo stupore e il turbamento, a indugiare nell’osservazione dei minimi particolari lasciandosi sedurre da opere in cui si fondono passato e presente, artificio e realtà.La mostra è accompagnata da un catalogo stampato da Artelito (Camerino), curato da Stefano Papetti, Elisa Mori, Giorgia Berardinelli, Silvia Bartolini, con un testo di Marco Senaldi. Bertozzi & Casoni. Minimi Avanzi nasce da un’idea dell’Associazione culturale Verticale d’Arte ed è promossa e organizzata da quest’ultima in collaborazione con i Musei Civici di Ascoli Piceno, col patrocinio del MiBACT - Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, della Regione Marche, della Provincia di Ascoli Piceno, del Comune di Ascoli Piceno, dell’Associazione Italiana Città della Ceramica, della Fondazione Marche Cultura, di Marche Social Media Team.

Bertozzi & Casoni è una società fondata nel 1980 a Imola da Giampaolo Bertozzi (Borgo Tossignano, Bologna, 1957) e da Stefano Dal Monte Casoni (Lugo di Romagna, Ravenna, 1961). 

La loro prima formazione artistica avviene all'Istituto Statale d'Arte per la Ceramica di Faenza in un clima dominato da un post-informale “freddo” allora in voga. Di maggiore interesse, per loro, sono invece le sculture figurative di Angelo Biancini, con il quale Bertozzi collabora nello studio all'interno della scuola, l'arte decorativa di Gianna Boschi e il radicalismo concettuale di Alfonso Leoni. 

Appena terminati gli studi, Bertozzi e Casoni frequentano l'Accademia di Belle Arti di Bologna, fondano una società e partecipano alle manifestazioni che tentano di mettere a fuoco i protagonisti e le ragioni di una “nuova ceramica”.

Abilità esecutiva e distaccata ironia caratterizzano già le loro prime creazioni in sottile maiolica policroma. Importante è la collaborazione (1985-1990) con la Cooperativa Ceramica di Imola dove lavorano come ricercatori nel Centro Sperimentazioni e Ricerche sulla Ceramica. Nel 1987 e 1988 collaborano con “K International Ceramics Magazine” di cui realizzano anche le immagini di copertina. Negli anni Ottanta il virtuosismo esecutivo raggiunge nuovi apici tra opere scultoree, intersezioni con il design e realizzazioni di opere di affermati artisti italiani ed europei: Arman e Alessandro Mendini, tra gli altri.

Nel 1990 creano fontane e grandi sculture per un intervento urbano a Tama, un nuovo quartiere di Tokyo. Del 1993 è il grande pannello Ditelo con i fiori collocato su una parete esterna dell'Ospedale Civile di Imola. Negli anni Novanta emerge nel loro lavoro un aspetto maggiormente concettuale e radicale: la ceramica assume dimensioni sempre maggiori fino a sconfinare nell'iperbole linguistica e realizzativa. 

La critica e le più importanti gallerie d'arte nazionali e internazionali si interessano al loro lavoro. Le loro sculture - simboliche, irridenti e pervase da sensi di attrazione nei confronti di quanto è caduco, transitorio, peribile e in disfacimento - sono diventate icone internazionalmente riconosciute di una, non solo contemporanea, condizione umana. L'ironia corrosiva delle loro opere è sempre controbilanciata da un inossidabile perfezionismo esecutivo. Tra surrealismo compositivo e iperrealismo formale, Bertozzi e Casoni indagano i rifiuti della società contemporanea non escludendo quelli culturali: da quelli del passato a quelli delle tendenze artistiche più vicine. Icone quali la Brillo box passata al vaglio della Pop Art o le lattine di Merda d'artista di Piero Manzoni trovano, in una raffinata versione ceramica che ne indaga l'obsolescenza e il degrado, sia i segni di un tempo irrimediabilmente trascorso sia un congelamento in assetti che, per converso, li affidano a destini davvero immortali. 

Dal 2000, Bertozzi e Casoni abbandonano l'uso della maiolica per privilegiare, in una sorta di epopea del trash, una più ampia serie di tecniche e di materiali ceramici di derivazione industriale, variandone i processi e le composizioni.

La fisica presenza degli oggetti e delle figure messi in rappresentazione attrae per complessità ideativa ed ellittici riferimenti, la suggestione aumenta con la scoperta del materiale utilizzato e della perfetta mimesi raggiunta e, infine, emergono le implicazioni formali, anche pittoriche, di opere prepotentemente figurative ma, in fondo, concettuali e astratte. Una versione contemporanea del tema della vanitas che ha visto grandi maestri del passato comprimere nello spazio di una tela fulgidi fiori, frutta, cibi e simbolici animali. Allusioni a una impermanenza (memento mori) che Bertozzi e Casoni, maestri del dubbio e del “forse” ribaltano in una ricerca di bellezza; una bellezza rinvenibile anche nell’oggetto più negletto e martoriato. Virtù di un’arte che, con ironia, “rifacendo” nobilita. 

Tra le preziose opere custodite spiccano per importanza il Piviale del XIII secolo, di manifattura inglese, donato nel 1288 al Duomo di Ascoli da Papa Niccolò IV, i dipinti di Carlo Crivelli (i due trittici di Valle Castellana XV sec.), Cola dell’Amatrice (La salita al Calvario,1527), Tiziano (San Francesco riceve le stigmate, XVI sec.), Guido Reni (Annunciazione, 1575), Strozzi, De Ferrari, Magnasco, Mancini, Morelli, Palizzi e Pellizza da Volpedo (Passeggiata amorosa, 1901). Le opere sono ambientate in splendide sale, ammobiliate con rare consolles, poltrone, specchiere e cassettoni del XVIII e XIX secolo che, con i preziosi tendaggi e i lampadari di Murano, ricreano l’atmosfera e la suggestione di un palazzo aristocratico.

Nato nel 1978 sull’isola di Chios, in Grecia, Stratis Vogiatzis ha studiato Economia e Scienze politiche all’Università di Salonicco e Antropologia Sociale ad Amsterdam, dove si è laureato con una tesi sull’infanzia e la violenza politica. Ha lavorato come insegnante in Palestina, come educatore nelle comunità zingare alla periferia di Salonicco e come ricercatore per una ONG di Nuova Delhi. Come fotografo freelance ha realizzato lavori commissionati in vari Paesi del mondo, tra cui Turchia, India, Vietnam, Tanzania, Kosovo, Marocco, Messico e Iran.

Dal 2005 ha deciso di dedicarsi a progetti sociali a lungo-termine. Dopo la sua partecipazione alla Photo Biennale di Salonicco nel 2010 il suo lavoro è stato presentato in una serie di mostre in giro per il mondo (New York, Washington DC, Istanbul, Torino, Trieste, Parigi, Stoccolma). Nel 2011 ha cominciato a produrre film documentari con i quali ha partecipato a vari festival internazionali.  Attualmente lavora alla realizzazione del Caravan Project, un viaggio a bordo di un camper nelle aree più remote della Grecia con lo scopo di documentare e svelare personaggi e storie personali di un mondo che sta scomparendo (www.caravanproject). Nel 2014 è stato selezionato trai i 24 artisti che hanno rappresentato la Grecia alla grande mostra Nautilus, organizzata al Bozar di Bruxelles in occasione dell’apertura del semestre di Presidenza Greca all’UE.

Il fotografo greco Stratis Vogiatzis è un artista di talento, un giovane appassionato, un sognatore, dedito alla sua arte e determinato a lottare per i valori in cui crede. Le sue opere vengono presentate per la prima volta a Milano dalla Fondazione Ellenica di Cultura e da COCO-MAT, azienda innovativa greca, che ospiterà presso il suo showroom milanese 15 fotografie della collezione Inner World – Memorie Sospese. Un progetto fotografico realizzato tra il 2007 e il 2010 nei Villaggi del mastice dell’isola di Chios.

Dopo aver lavorato in diversi paesi del mondo, Stratis Vogiatzis torna alla sua amata terra e rivisita i luoghi della sua infanzia. Con la macchina fotografica cattura un pezzo della cultura popolare dell’Egeo, scopre e ci rivela il mondo nascosto dei cosiddetti “Mastihohoria” di Chios: 24 borghi medievali che sono diventati ricchi e famosi grazie alla coltivazione di un piccolo albero che “lacrima” una resina profumata, ampiamente utilizzata dal 14° secolo. Ma, in epoca recente, il commercio del mastice perde la sua importanza, gli abitanti migrano e interi villaggi rimangono vuoti. Case, bar, negozi, cantine, scuole diventano luoghi dimenticati di una cultura popolare, luoghi sospesi nel tempo e nella memoria collettiva. Stratis usa la sua sensibilità e il suo talento per esplorarli senza invadenza; coglie l'anima delle persone che li hanno popolati, intuisce il senso della loro vita, gestisce magistralmente la luce, le ombre, il vento, i profumi della sua patria. Col rispetto di un pellegrino il fotografo entra nei luoghi abbandonati e racconta i loro “paesaggi interiori”.  

La figura umana è completamente assente negli scatti, ma dietro ogni assenza si avverte una presenza forte: oggetti abbandonati, tracce evidenti di semplice vita quotidiana, segni indelebili che tradiscono abitudini e raccontano tradizioni, cose lasciate come se all’improvviso qualcuno potesse tornare... La polvere che li ricopre è un monito all’effimera condizione dell’esistenza. Le immagini sono sobrie ed essenziali, mai pretenziose, quasi dipinti popolari, dai colori sgargianti e con dettagli così sorprendenti da creare un’intensa atmosfera emotiva. Sono scenari al limite tra memoria e realtà, che diventano testimonianze di un passato recente, un documento storico di vita vissuta e nello stesso tempo l’introspezione dell’artista nella propria identità

Lungo i secoli la produzione e il monopolio della Mastiha ha avuto un ruolo fondamentale allo sviluppo e l’economia dell’isola di Chios. Intorno alla coltivazione di circa due milioni di arbusti, sono nati, nel sud dell’isola, 24 insediamenti, i cosiddetti Mastihohoria. La creazione degli insediamenti risale al periodo bizantino, ma durante il dominio Genovese hanno preso la loro forma definitiva. Si tratta di villaggi fortificati, costruiti lontano dal mare, per proteggere gli abitanti dalle incursioni dei pirati che infestavano l'Egeo durante il Medioevo. I Mastihohoria fanno parte del patrimonio culturale della Grecia e sono: Agios Georgios, Armolia, Vavyloi, Vessa, Vouno, Elata, Exo Didyma, Tholopotami, Thymiana, Kalamoti, Kallimasia, Kataraktis, Koini, Lithi, Mesa Didyma, Mesta, Myrmingi, Nenita, Nehori, Olympi, Pagida, Patrikia, Pyrgi e Flatsia.

La pianta della Mastiha è un arbusto (Pistacia lentiscus) dal tronco grigio, rigoglioso e sempreverde. Come pianta fa parte della macchia mediterranea ma solo sull'isola di Chios, e in particolare nella parte sud, viene coltivata una speciale varietà dell’albero, il mastihodendro, dal quale si estrae la resina naturale profumata. Il sole, le precipitazioni minime e il terreno calcareo creano una magica combinazione, un ambiente singolare dove fiorisce questa unica specie vegetale. Molti tentativi sono stati fatti per impiantare il mastihodendro in altre parti del mondo, ma senza successo. La resina si ottiene con il “ricamo”, l’incisione con uno strumento appuntito che fa lacrimare l’albero. Le lacrime cristallizzate pulite e lavate sono il prodotto prezioso e profumato che ha fatto la fortuna dell’isola.

La Mastiha di Chios è conosciuta dai tempi antichi, sia per il particolare aroma, sia per le sue proprietà medicinali e curative. Gli antichi Egizi la usavano per l’imbalsamazione dei morti. I medici greci e romani come Ippocrate, Galeno e Dioscurides, conoscevano i suoi benefici sulla salute. E grandi storici come Erodoto, Diodoro il Siculo e Plinio, ne citano i diversi modi d’uso nel mondo antico. Le donne dell’aristocrazia romana usavano stuzzicadenti in legno di Mastiha per tenere l’alito fresco, mente gli imperatori romani ne aromatizzavano il vino. Durante il periodo Bizantino questo prodotto divenne uno dei generi di esportazione di lusso che portava ingenti somme nelle casse dello Stato. Ma il commercio sistematico iniziò con l’occupazione dell’isola dai Genovesi (1346-1566) i quali estesero la compravendita della preziosa resina, portandola ai grandi mercati dell’Est e dell’Ovest. La Mastiha diventò famosa e viaggiò lungo le rotte commerciali dell’epoca: Alexandria, Damasco, Bursa, Yerevan, Bagdad, Cipro, Odessa, Venezia, Pisa, Firenze, Trieste, Marsiglia, Londra… Nel periodo dell’impero Ottomano, che ha seguito quello Genovese, l’isola acquisì speciali privilegi di autonomia concessi dal Sultano grazie alla produzione della Mastiha che veniva utilizzata per la preparazione di una gomma da masticare molto apprezzata dalle 300 donne del harem. Nel mondo arabo veniva utilizzata, oltre che per la preparazione di dolci e di cibi, anche per produrre una medicina per l’ulcera. Dopo la prima guerra mondiale, a causa dell’uscita sul mercato di nuovi prodotti chimici che hanno sostituito la Mastiha, la produzione è diminuita e i Mastihohoria sono stati parzialmente abbandonati.

Oggi, la ricerca scientifica conferma le proprietà medicinali di questa resina, già storicamente registrate. La Mastiha ha proprietà anti-ossidanti, anti-batteriche e antinfiammatorie, presenta effetti benefici nei disturbi dell'apparato digerente, contribuisce all’equilibrio del sistema gastrointestinale, all'igiene orale, aiuta alla guarigione delle ferite e alla rigenerazione della pelle. Accanto al suo uso tradizionale come la naturale gomma da masticare e come spezia per aromatizzare cibi e dolci, la Mastiha di Chios viene usata come ingrediente attivo in vari preparati farmaceutici e in cosmesi per prodotti per la cura del viso e del corpo. Oggi viene esportata in tutto il mondo in una vasta gamma di prodotti come dolci, gelati, gomme da masticare, caramelle, bibite, tè, caffè, latte, liquori, superalcolici, vino, integratori alimentari, prodotti per l'igiene orale, fili dentali e chirurgici, medicazioni, saponi, cosmetici, candele profumate, oli essenziali, vernici coloranti, adesivi e resine. Negli ultimi anni, grazie al rinnovato interesse verso i prodotti naturali e alla creazione della "Cooperativa Produttori della Mastiha" si è avuta una ripresa del commercio e un considerevole aumento della produzione. La Mastiha di Chios è protetta dall'Unione Europea come prodotto di Denominazione di Origine Protetta (DOP).

 

PRINCIPALI MOSTRE

Caravan Project – Another World is here, eventi itineranti in varie località greche, 2015 - 2016

Uomini del mare. I pescatori del mediterraneo-Sala Dogana, Palazzo Ducale, Genova, 2014

Inner World, Rosphoto-San Pietroburgo, Luglio-Agosto 2014

Nautilus – Navigating Greece, Bozar-Brussels, Gennaio 2014

People of the Sea, Beirut Souks-Beirut, Gennaio 2014

People of the Sea, Photomed-Marsiglia, Maggio 2013

Inner World, Consolato Greco ad Ankara, Gennaio 2012

Inner World, DEPO-Istanbul, Dicembre 2011

Topos, Mostra collettiva a Torino e Trieste, Ottobre 2010-Febbraio 2011

Unreal Steps, Centro Culturale-Stockholm, Novembre 2010

Inner World, Chelsea Hotel-New York, Maggio 2010

Inner World, Ambasciata Greca-Washington DC, Giugno 2010

Inner World, Thessaloniki Photobiennale-Salonicco, Aprile 2010

Inner World, Citrus-Chios, Agosto 2009

Athletes with Disabilities, Beijing Sports Hall, Marzo 2009

Foundation Maria Tsakos-Montevideo, Uruguay, Maggio 2008

 

PUBBLICAZIONI

Meditteranean Seafood Odyssey, 2014/ The Caravan Project, 2014/ People of the sea, 2013/ Inner World, 2009/ From Athens to Beijing, 2008/ Chios, 2006/ Kosovo: Refugees Returning Home, 2003

 

FILM

Sculpting Land, 2014/ The Forest of Gold, 2014/ Man at Home, 2014/ Suspended People,2014/ Paporias, 2014/ Black Land, 2013/ The Blind Fisherman, 2011

 

 

La mostra personale del M.° Verdirosi e’ allestita a Roma, presso l'Accademia di Romania, a partire dallo scorso 8 febbraio e fino al prossimo 21 febbraio 2017.

Si tratta di un percorso a tutto colore, ma non solo: sono presenti 70 dipinti (olio su tela) ed alcune sculture, in rappresentanza della vasta produzione artistica che si ha modo di visitare anche ad Orvieto, nell'atelier di Verdirosi. Il suo lavoro e' infatti con-diviso tra Roma, San Teodoro ed Orvieto.

Umberto Verdirosi e' figlio d'arte, i suoi genitori erano attori e lui stesso ha speso tutta una vita tra varie forme artistiche: e' attore, poeta, pittore e scultore. Con un curriculum artistico come il suo, non stupisce che la mostra presente ora a Roma sia un'esperienza intensa per il visitatore.

Il Maestro e' presente ed accoglie il pubblico con generosa espressione d'arte, aprendosi al pubblico attraverso la visione dei suoi quadri ma anche recitando con fervore e perizia le poesie da lui scritte e relative alle opere.

Il mondo di Umberto Verdirosi, che si definisce "maestro di se stesso" e' una continua dedica all'uomo, in sospesi attimi d'arte che le tele accolgono e rivolgono al pubblico, uno specchio dove gli argini sono ammorbiditi, un luogo interpretato per l'uomo stesso visto nel suo eterno viaggio, che si rinnova quotidianamente. In cerca di un viatico per la liberta' di trovare ed esprimere la propria essenza.

In questo senso, si consiglia di approfondire il lavoro di Osho, che Verdirosi stima molto ed al quale ha dedicato spesso diversi spicchi dei suoi quadri.

Verdirosi del resto, si definisce anche un simbolista: ogni suo dipinto si serve di oggetti rappresentativi, scelti dall'artista ed arricchiti di plus-valenza, riportati sulla macchia di colore rilasciata sul bianco della tela prima di donare vita al senso di ogni singolo quadro.

La mostra ne e' ricca. Tra i molteplici, si prenda ad esempio "Il gioco": un sipario aperto da due diavoli che osservano gli attori sulla tela, personaggi vari e variegati che giocano con e su se stessi, l'uomo che si cerca inesorabilmente, da sempre, nel repertorio ripetuto di guerra, droga, politica, potere...E' il gioco della Vita, dove il viandante tira avanti col suo lume ed offre luce alla morte; ed i vari Pulcinella, Arlecchino, corpi e spirito continuano la recita che e' commedia e tragedia all'unisono. Tele bianche ancora volteggiano nel quadro, perche' il gioco continua ed attende di essere rappresentato a soggetto.

Il Maestro Verdirosi recita le parole che ha scritto per questo quadro, con la sua voce piena e pregna esprime il suo amore per l'opera e per l'Arte in se', poi afferma "...Noi siamo parte del teatro della vita" e "L'arte e' sempre nell'oltre ed io sono un simbolista: si veda il dualismo, qui con la tela nella tela...Dietro la tela c'e' l'autore, davanti ad essa c'e' l'osservatore che guarda il quadro. L'Arte ha valore se comunica, se mi fermo a guardare...Kant afferma: ogni arte che non comunica e' fine a se' stessa."

Ogni atto di colore o di grigio, sfumato da Verdirosi, avvicina alla fiamma interiore con cui ogni uomo viene al mondo. Chi osserva i suoi quadri non resta indifferente al calore ed all'armonia con cui entra in contatto.

La mostra personale di Verdirosi e’ lieta occasione per chiedere al Maestro in merito alla sciarpa rossa, sempre presente nei suoi lavori:

-          Verdirosi: “La sciarpa e’ un sigillo. Come vera arte altro non e’ che movimento e nei miei quadri si muove, palpita e sospira per recitare la sua parte, in quanto il quadro di Verdirosi non e’ mai fermo, esso stesso e’ movimento, non e’ mai statico come una fotografia ma palpita come l’anima del soggetto, che e’ poi Verdirosi. Per cui tutta l’arte banale, per dirla con Kant “e’ fine a se stessa”. Quando guardiamo un’opera di Verdirosi riceviamo una forma di meditazione e ne usciamo arricchiti. Bisogna guardare questa mostra non una, ma piu’ volte...Che l’arte e’ un linguaggio, parla diverse lingue senza averle studiate. Ed ecco….Verdirosi accusa l’informale ed astratto, scrive necrologi al critico d’arte che si e’ permesso di imporre la banalita’. Questa mia mostra e’ ricca di tutto cio’, i miei libri spiegano il perche’ di tutte le cose che vediamo ma … Non si fermano al perche’. Dobbiamo chiederci “come mai”... Dietro un quadro c’e’ sempre l’artista”.

Un’ altra domanda al Maestro, questa volta sulla sua idea di “Tempo”:

-          Verdirosi: “Il Tempo e’ galantuomo e cammina inesorabilmente, non guarda in faccia a nessuno. Vivere il Tempo significa usarlo”.

E per meglio comprendere il fitto legame tra Verdirosi, uomo ed arte, e' di certo utile visitare la mostra del Maestro, ma anche curiosare nell'atelier di Orvieto e tra i numerosi libri che ha scritto. Si segnala l'ultimo, uscito appena da qualche giorno: U. Verdirosi, "il TANTRA", Edizioni A.C.S.D.V., Roma- I edizione, nov.2016, stampa febbraio 2017.

Libera-mente.

L’arte che guida, accompagna, sorregge e accoglie. Come un fiume che avanza, silenzioso, costante ed energico. Lasciarsi andare alle sue acque, affidarsi al suo scorrere, abbandonarsi al suo movimento, flusso continuo, impetuoso eppure così apparentemente immobilizzante. Accogliere il nuovo, in uno stato di dimenticanza assoluta e insieme ispiratore del nuovo. L’oblio che si lega inesorabilmente alla memoria, l’aprire e l’abbandonarsi, da un lato, e il trattenere, l’accogliere, il proteggere, dall’altro. E l’arte diventa linguaggio espressivo, binario conduttore di emozioni, stati d’animo, pensieri, che porta alla sfera intima, ridando al proprio sé una nuova collocazione, privata, quasi liberatoria. Accade visitando la collettiva d’arte contemporanea “Oblivion”, inaugurata questo sabato sera 4 marzo all’Antica Centrale Elettrica di piazza Enriquez a Vittoria. La mostra, organizzata dall’associazione culturale MPGArt di Vittoria e curata da Melissan Gurrieri e Giovanna La Cava, è un esperimento di fusione creativa, interconnessione fra il mondo, il territorio locale e il genio artistico di 38 esteti ed artisti, provenienti da diversi Paesi, che con le loro opere hanno dato voce, la loro, all’oblio. La pittura, la scultura, la fotografia, la video art e le installazioni: l’arte come mezzo per favorire lo scambio culturale e generazionale fra artisti contemporanei e promuovere e valorizzare il territorio locale, le sue eccellenze culturali, naturalistiche, artistiche e il suo fermento.

 

La collettiva racchiude le opere di 20 artisti ospiti e di 18 artisti che hanno partecipato al bando lanciato nei mesi scorsi dall’associazione e che sono stati selezionati da una giuria composta dal professore Arturo Barbante, da Giovanna La Cava e da Melissan Gurrieri. Gli artisti sono: Salvo Barone, Arturo Barbante, Sandro Bracchitta, Momò Calascibetta, Carmelo Candiano, Salvo Catania Zingali, Bartolomeo Conciauro, Naire Feo, Sergio Fiorentino, Giovanna Gennaro, Franco Iacono, Paolo Greco, Sebastiano Messina, Fabio Modica, Michele Nigro, Alida Pardo, Giuseppe Pizzenti, Francesco Rinzivillo, Piero Roccasalvo Rub e Giovanni Stella, Anita Le Sech, Ay Bm, Dariusz Romanowski, Fiorenza Gurrieri, Giovanna Giaquinta, Irene Pouliassi, Jason B Bernard, Luca Scarpa, Marco Lando, Margarita Henriksson, Natasha Van Budman, Rebecca Key, Sarbast Ahmad Mustafa, Sara Spizzichino, Sara Vacchi, Simon Kloss, Sthephanie Mercedes e Victor Alaluf.

L’arte dunque come linguaggio espressivo, ma anche come strumento di sensibilizzazione: il progetto ha infatti anche una finalità solidale, devolvendo il 25% del ricavato della vendita delle opere all’associazione MoVis di Vittoria, impegnata nell’abbattimento delle barriere architettoniche.

La mostra sarà visitabile a Vittoria fino al 23 marzo e poi, dal 28 aprile al 7 maggio, si sposterà al Teatro Naselli di Comiso.

L’iniziativa gode del patrocinio del Libero consorzio comunale (già Provincia regionale di Ragusa), del Comune di Comiso, del Comune di Vittoria, e del supporto di Siriac, M.P. Trade, Marimaserre, C.F. Farruggio, Nuova Sud Imballaggi. Per maggiori informazioni  www.mpgart.it, la pagina facebook MPGArt. Orari di vista: 17.00 - 20.00.

Dal 4 febbraio al 1° aprile 2017, il MARCA - Museo delle Arti di Catanzaro, diretto da Rocco Guglielmo, ospita l’antologica che analizza il percorso creativo di Pino Pinelli (Catania, 1938), tra i maggiori esponenti dell’arte italiana del dopoguerra e gli interpreti principali dell’Arte Analitica.

La mostra, curata da Giorgio Bonomi, organizzata dalla Fondazione Rocco Guglielmo e dall’Amministrazione Provinciale di Catanzaro, in collaborazione con l’Archivio Pino Pinelli di Milano, presenta 21 opere, realizzate dall’artista siciliano dagli anni settanta a oggi, sia di grandi dimensioni sia di misure più contenute, che delineano in maniera esaustiva le diverse sfumature della sua poetica.A partire dagli anni sessanta in Italia abbiamo assistito alla nascita di una vera e propria rivoluzione stilistica. Gli artisti avvertirono il limite del quadro, inteso come insieme di tela e cornice: le superfici videro la comparsa di estroflessioni, come nel caso di Bonalumi e Castellani, così come era stato nel decennio precedente per i tagli di Lucio Fontana.

Dal canto suo, Pino Pinelli, che nasce pittore utilizzando i classici mezzi del mestiere, respirò la temperie culturale di quel periodo e giunse alla “disseminazione” - per utilizzare un termine proprio dell’arte di Pinelli - “frammentando” l’oggetto quadro negli elementi che lo compongono (tela e telaio) e coinvolgendo in questo processo l’elemento estraneo al quadro stesso: la parete che, perdendo la sua condizione di neutralità, ne diventa coprotagonista capace di accogliere elementi di colore puro, declinati in forme ora corrucciate, ora raggrumate, ora lineari e asciutte, ora a frattali e libere, raccolte in genere in un percorso leggermente arcuato, quasi a voler imitare il gesto del seminatore.

Dapprima le “disseminazioni” sono composte di pochi elementi, poi nel corso degli anni, fino a oggi, i “pezzi” si moltiplicano anche in modo considerevole.

I suoi lavori usano in prevalenza i colori fondamentali (rosso, blu, giallo, nero, bianco e grigio), ma anche i complementari. La pluralità della disseminazione, a volte, si riduce, ma mai a meno di due “parti” e, anche quando non tutta l’opera è monocroma, lo sono i singoli componenti.

Quella di Pinelli è una pittura “materica”, una sorta di concentrazione atomica del colore (realizzato con una tecnica molto personale) per cui le sue opere che con la “frammentazione” hanno una forza centrifuga, poi nella totalità dell’opera acquistano una forza, uguale e contraria, cioè centripeta: la parete così, da passivo elemento di appoggio, diviene il vero e proprio supporto, come lo sono la tela o il legno nella pittura più tradizionale, e su di essa l’artista, novello “seminatore” “sparge le parti dell’opera.Accompagna l’esposizione un catalogo bilingue (italiano e inglese) Silvana editoriale, con una lunga conversazione tra Pino Pinelli e Giorgio Bonomi, a cura di Lara Caccia.

Pino Pinelli nasce a Catania nel 1938, dove compie gli studi artistici. Nel 1963 si trasferisce a Milano, dove tuttora vive e lavora, affascinato e attratto dal dibattito artistico di quegli anni, animato da figure quali Lucio Fontana, Piero Manzoni, Enrico Castellani. Partecipa ai premi San Fedele e nel 1968 tiene la sua prima mostra personale alla Galleria Bergamini. Nei primi anni ’70 Pinelli avvia una fase di riflessione e di ricerca, in cui tenta di mettere a fuoco l’imprescindibile nesso fra tradizione e innovazione, con particolare attenzione alla superficie pittorica, alle vibrazioni della pittura. Nascono così i cicli delle “Topologie” e quelli dei “Monocromi”, la cui superficie comincia a essere mossa da sottile inquietudine, quasi che l’artista volesse restituire il respiro stesso della pittura. Queste esperienze lo fanno collocare nella tendenza che Filiberto Menna definì “pittura analitica”, anche se dal 1976 Pinelli riduce drasticamente la dimensione delle sue opere, che si vanno collocando nello spazio, accostate l’una all’altra, quasi che una deflagrazione avesse investito le sue grandi tele e avesse generato una disseminazione dei loro frammenti nello spazio: l’artista abbandona tela e telaio, attratto dal concetto stesso di pittura.

Rompere il concetto di quadro in frammenti è l’atto “disperato” del pittore europeo che avverte il peso della storia, si sente schiacciato da questa enormità imprescindibile che è la coscienza di ciò che è stato prima: l’unico atto possibile è dunque quello di “pensare” la pittura più che di “farla”. Gli artisti italiani non possono avere l’atteggiamento dell’artista americano che, giorno dopo giorno, si deve creare e ritagliare la propria storia; ma per l’artista che vive nella terra di Piero della Francesca, di Masaccio e che avverte il peso della Storia dell’Arte, l’unico atteggiamento possibile è quello di “caricare” la pittura di un nuovo senso.

Nell’opera il “rettangolo tagliato” la parete diventa protagonista in quanto perde la sua condizione di neutralità creando un tutt’uno con il lavoro, mentre nei lavori costituiti da più elementi pittorici questi si moltiplicano e migrano seguendo un percorso prestabilito, leggermente ad arco, quasi a voler mimare il gesto del seminatore, dando così luogo alla disseminazione.

Al di là delle etichette di “pittura analitica”, le opere di Pinelli sono corpi inquieti di pittura in cammino nello spazio, fluttuanti e migranti in piccole o grandi formazioni, fatte di materiali che recano impressi i segni di un’ansiosa duttilità, e che esaltano la fisicità tattile e la felicità visiva di un colore pulsante di vibrazioni luminose. Ha tenuto oltre cento mostre personali in musei e istituzioni culturali italiane e internazionali, tra cui: Kunstverein Villa Franck di Ludwigsburg, Musée d’Art di Langres, Forum Kunst di Rottweil, Civica Galleria d’Arte di Gallarate, Kunstverein Schloss Lamberg di Steyr, Centro Espositivo la Rocca Paolina di Perugia, Istituto Italiano di Cultura di Londra e Praga, Cascina Roma di San Donato Milanese, Villa La Versiliana di Pietrasanta, Museo Archeologico Eoliano “Bernabò Brea” di Lipari, Palazzo del Duca di Senigallia, Palazzo della Cultura di Catania.

Tra le numerosissime mostre collettive, ricordiamo: Biennale di Venezia (1986 / 1997), Quadriennale di Roma (1986 / 2006), Triennale d’Arte Lalit Kala Akademi di Nuova Delhi, e tra i musei: Galleria Civica di Modena, Galleria Civica di Torino, Musée d’Art Moderne di Parigi, Galleria Nazionale di Roma, Palazzo Forti a Verona, Villa Arson di Nizza, Kunstverein di Hannover, Haus am Waldsee di Berlino, Kunstverein di Bregenz, Hochschule für Angewandte Kunst di Vienna, Kunstverein di Francoforte.

Tra le esposizioni più recenti: Trademark, Fabbriche Chiaramontane di Agrigento, Figure Astratte, Palazzo Rospigliosi di Roma, Fontana Manzoni Pinelli presso la Kreissparkasse di Rottweil, Figure Mancanti, Palazzo Bricherasio di Torino, Pittura 70, Fondazione Zappettini di Chiavari e Milano, Arte italiana al MART di Rovereto, Pittura analitica al Museo della Permanente di Milano, Pittura Aniconica. Percorsi tra arte e critica in Italia 1968-2007, Casa del Mantegna di Mantova, Pensare Pittura – Una linea internazionale di ricerca negli anni ‘70, Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce di Genova , Le noir absolu et le lecons de ténèbres, Villa Tamaris Centre D’Art di La Seyne sur Mer, in Francia, Monocromo. L’utopia del colore, Convento del Carmine di Marsala, Superfici sensibili, CAMeC di La Spezia, Immagine della Luce, Villa Clerici di Milano, BAG, installazione all’Università Bocconi di Milano.

Nel 2016 ha tenuto una grande monografica al Multimedia Art Museum di Mosca.

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