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Sarà Henri de Toulouse-Lautrec il protagonista dell’appuntamento annuale della primavera di Palazzo Roverella con l’ arte internazionale.

La grande mostra del 2024 è riservata all’artista francese tra i più rappresentativi della Parigi di fine secolo e si potrà ammirare al Roverella dal 23 febbraio al 30 giugno 2024.  A promuoverla è la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi, con il sostegno di Intesa Sanpaolo. La mostra, prodotta da Dario Cimorelli Editore, è a cura di Jean-David Jumeau-Lafond, Francesco Parisi e Fanny Girard (direttrice del Museo Toulouse-Lautrec di Albi), con la collaborazione di Nicholas Zmelty (sezione Manifesti e Incisioni).

Superando l’approccio che tanto spesso riduce Toulouse-Lautrec a un universo privo di sfaccettature e talvolta persino relegandolo alla sola attività di creatore di manifesti, questa mostra si sofferma sulla sua attività di pittore, con dipinti e pastelli provenienti da importanti musei americani ed europei oltre che francesi, in rapporto all’ambiente parigino in cui operava mettendo l’artista a confronto con realisti, impressionisti, simbolisti con cui condivideva esperienze e momenti di vita quotidiana.

L’esposizione non trascura ovviamente l’attività di Toulouse-Lautrec nel campo del manifesto. Oltre alle celebri Affiches, vengono esposti  dipinti e disegni preparatori dell’artista, affiancandoli in un rapporto dialettico ai lavori dei numerosi artisti attivi contemporaneamente negli stessi ambienti, che spesso affrontano le medesime tematiche. Questa attenta ricostruzione dell’intera attività di Toulouse-Lautrec, attraverso le sue opere (60 opere dell’artista su più di 200 opere complessive esposte) intende evocare in maniera più vasta e organica la vivacità della scena artistica parigina, superando il riduttivo concetto di Belle Époque.

L’esposizione è arricchita da numerosi focus per meglio descrivere l’ambiente artistico parigino in cui operava l’artista: “Parigi 1885-1900”; “Le Chat Noir”; “Toulouse-Lautrec e gli amici artisti”; “Il rinnovamento della grafica” e soprattutto una sezione inedita agli studi dedicata al movimento artistico francese “Les Arts Incohérents” (a cura di Johan Naldi), anticipatore di molte delle tecniche adottate dalle avanguardie del Novecento come il Dadaismo. Tutte le opere del gruppo date per disperse da oltre un secolo sono state ritrovate nel 2018 ed alcune di queste recano, al verso, l’etichetta di una delle loro esposizioni corredata dal catalogo pubblicato dalle edizioni del celebre locale Chat Noir. La mostra di Rovigo è la prima occasione per poterle nuovamente ammirare.

Oltre ai saggi dei curatori il catalogo è arricchito dagli studi di Nicholas Zmelty sulla Grafica, di Johan Naldi su Les Arts Incohérents, di Mario Finazzi sugli artisti spagnoli a Parigi tra Ottocento e Novecento e di Bertrand du Vignaud – pronipote di Toulouse-Lautrec – sul rapporto tra Marcel Proust e l’artista.

 fonte studio esseci

È stata inaugurata il 15 dicembre 2023 la mostra “L’altra Pompei: vite comuni all’ombra del Vesuvio”, allestita nella Palestra Grande dell’area archeologica di Pompei.
E ieri abbiamo visitato la mostra e i scavi noi della Stampa Estera di Roma 50 giornalisti di varie nazionalita ospiti del Direttore  del Parco archeologico di Pompei e curatore della mostra, Gabriel Zuchtriegel e di un Ufficio Stampa che ci ha aiutato e ci ha spiegato insieme al Direttore le meraviglie di Pompei che abbiamo visitato tutta la mattinata.

«Quello che vediamo – ha spiegato il direttore del Parco archeologico di Pompei e curatore della mostra, Gabriel Zuchtriegel – rispecchia le condizioni di vita dell’80% delle persone che vivevano a Pompei. Mentre le case ad atrio che siamo abituati a considerare caratteristiche dell’architettura domestica romana, in realtà rappresentano una piccola minoranza».

«La mostra – ha proseguito il direttore – vuole raccontare questa “altra Pompei”: la città dei ceti medio e basso, degli artigiani, dei negozianti, delle prostitute, dei liberti e degli schiavi. La gente comune che è rimasta nell’ombra dei grandi eventi della storia, ma la cui vita a Pompei può essere ricostruita in maniera unica».

“L’altra Pompei: vite comuni all’ombra del Vesuvio”, allestita nella “Palestra Grande” dell’area archeologica di Pompei. Intanto, nel Parco è possibile vedere : la ricostruzione di una branda, un letto della tipologia più semplice nota, trovata nella villa extraurbana di Civita Giuliana, nella “stanza degli schiavi”. Il letto, composto da assi in legno e una rete di cordini e facilmente smontabile, è stato ricostruito con la tecnica dei calchi vuoti nella cinerite lasciati da legno e tessuto vengono riempiti di gesso ed è esposto, sotto la scala (conservata come traccia nel muro) , a fianco della casa del Larario di Achille, dove si ipotizza fosse collocata un’officina ferraia con retrobottega e ambienti abitativi al primo piano.

Sembra una pizza, quello che si vede su un dipinto pompeiano di 2000 anni fa, ma ovviamente non lo può essere, a rigore, dato che mancavano alcuni degli ingredienti più caratteristici, ovvero pomodori e mozzarella. Tuttavia, come risulta da una prima analisi iconografica di un affresco con natura morta, emerso  nell’ambito dei nuovi scavi nell’insula 10 della Regio IX a Pompei, ciò che era rappresentato sulla parete di un’antica casa pompeiana potrebbe essere un lontano antenato della pietanza moderna, elevata a patrimonio dell’umanità nel 2017 in quanto “arte tradizionale del pizzaiolo napoletano”.

Come spiegano gli archeologi del Parco Archeologico di Pompei, si suppone che accanto a un calice di vino, posato su un vassoio di argento, sia raffigurata una focaccia di forma piatta che funge da supporto per frutti vari (individuabili un melograno e forse un dattero), condita con spezie o forse piuttosto con un tipo di pesto (moretum in latino), indicato da puntini color giallastro e ocra. Inoltre, presenti sullo stesso vassoio, frutta secca e una ghirlanda di corbezzoli gialli, accanto a datteri e melograni.

Tale genere di immagini, noto in antico con il nome xenia, prendeva spunto dai “doni ospitali” che si offrivano agli ospiti secondo una tradizione greca, risalente al periodo ellenistico (III-I secolo a.C.). Dalle città vesuviane si conoscono circa trecento di queste raffigurazioni, che spesso alludono anche alla sfera sacra, oltre a quella dell’ospitalità, senza che tra le attestazioni rinvenute finora ci sia un confronto puntuale per l’affresco recentemente scoperto, che colpisce anche per la sua notevole qualità di esecuzione.

“Oltre all’identificazione precisa dei cibi rappresentati – commenta il direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel – ritroviamo in questo affresco alcuni temi della tradizione ellenistica, elaborata poi da autori di epoca romana-imperiale come Virgilio, Marziale e Filostrato. Penso al contrasto tra un pasto frugale e semplice, che rimanda a una sfera tra il bucolico e il sacro, da un lato, e il lusso dei vassoi d’argento e la raffinatezza delle rappresentazioni artistiche e letterarie dall’altro. Come non pensare, a tal proposito, alla pizza, anch’essa nata come un piatto ‘povero’ nell’Italia meridionale, che ormai ha conquistato il mondo e viene servito anche in ristoranti stellati.”  

A Pompei, si sta nuovamente scavando in un’area estesa per circa 3.200 mq, quasi un intero isolato della città antica sepolta nel 79 d.C. dal Vesuvio. Il progetto si inserisce in un più ampio approccio che, sviluppato durante gli anni del Grande Progetto Pompei, mira a rettificare e risolvere i problemi idrogeologici e conservativi dei fronti di scavo, ovvero il confine tra la parte scavata e quella inesplorata della città antica. Quest’ultima ammonta a circa 15 ettari di isolati e case ancora sepolti sotto lapilli e cenere, quasi un terzo dell’abitato antico.

L’impostazione del nuovo scavo, ubicato nell'Insula 10 della Regio IX, lungo Via di Nola, è dunque la stessa già attuata nello scavo della regio V durante gli anni 2018-2020 che, sotto la direzione dell’allora direttore, Massimo Osanna, ha visto emergere la casa di Orione, la casa con Giardino e il Thermopolium. Oltre a migliorare le condizioni di conservazione e tutela delle strutture millenarie attraverso una sistemazione dei fronti di scavo, da sempre elementi di vulnerabilità a causa della pressione del terreno sui muri antichi e del deflusso delle acque meteoriche, i nuovi scavi si avvalgono dell'impiego delle diverse professionalità dell'archeologia, tra cui archeologi, archeobotanici, vulcanologi numismatici, topografi antichi, oltre ad architetti, ingegneri e geologi, per trarre il massimo di informazioni e dati dalle operazioni di indagine stratigrafica.

Nuovi scavi della Regio IX, in un’area finora inesplorata, nell’ambito del progetto di tutela e manutenzione dei fronti di scavi del Parco archeologico. Emergono i primi reperti e alcuni scheletri di vittime dell’eruzione del 79 d. C. Sono stati avviati a febbraio nuove indagini nella cosiddetta Regio IX di Pompei - uno dei nove quartieri in cui è suddiviso il sito - in un’area estesa per circa 3.200 mq, quasi un intero isolato della città antica sepolta nel 79 d.C. dal Vesuvio. Il progetto si inserisce in un più ampio approccio che, sviluppato durante gli anni del Grande Progetto Pompei, mira a rettificare e risolvere i problemi idrogeologici e conservativi dei fronti di scavo, ovvero il confine tra la parte scavata e quella inesplorata della città antica. Quest’ultima ammonta a circa 22 ettari di isolati e case ancora sepolti sotto lapilli e cenere, quasi un terzo dell’abitato antico.

“Scavare a Pompei è un’enorme responsabilità – dichiara il Direttore del sito, Gabriel Zuchtriegel –. Lo scavo è un’operazione non ripetibile, quello che è scavato lo è per sempre. Perciò bisogna documentare e analizzare bene ogni reperto e tutte le relazioni stratigrafiche e pensare sin da subito a come mettere in sicurezza e restaurare quello che troviamo.”

Lo scavo è ancora all'inizio, ma cominciano già ad affiorare le creste murarie dei piani superiori degli edifici antichi, tra cui una casa, trasformata nelle sue ultime fasi in fullonica (lavanderia) e scavata già intorno al 1912, e una casa con forno e cella superiore. Nei livelli ancora più alti, gli archeologi hanno documentato una serie di buche praticate nel terreno in anni forse più recenti e presumibilmente funzionali all'utilizzo agricolo del terreno o forse legati alle attività di cava di lapilli che subì l'area in epoca moderna. Vedute sette-ottocentesche (v. dipinto di Jacob Philipp Hackert in allegato) mostrano come il plateau al di sopra degli scavi fosse adibito a diverse coltivazioni agricole, tra zone boscose e edifici rurali, e serre di agricoltori erano ancora presenti fino al 2015. Un paesaggio, quello storico dei decenni della riscoperta di Pompei, che il Parco vuole valorizzare e raccontare anche attraverso un altro progetto che punta alla riqualificazione delle aree verdi del sito e dei suoi dintorni. Proprio in queste settimane è in corso la procedura di selezione di un partner per la coltivazione dei vigneti del Parco nell’ambito di un partenariato pubblico-privato, che prevede l’ampliamento delle aree coltivate, e in futuro anche la messa a regime di uliveti, frutteti e orti sociali.

L’impostazione del nuovo scavo, ubicato nell'Insula 10 della Regio IX, lungo Via di Nola, è dunque la stessa già attuata nello scavo della Regio V durante gli anni 2018-2020 che, sotto la direzione dell’allora direttore, Massimo Osanna, ha visto emergere la casa di Orione, la casa con Giardino e il Thermopolium. Oltre a migliorare le condizioni di conservazione e tutela delle strutture millenarie attraverso una risistemazione dei fronti di scavo, da sempre elementi di vulnerabilità a causa della pressione del terreno sui muri antichi e del deflusso delle acque meteoriche, i nuovi scavi si avvalgono dell'impiego delle diverse professionalità, tra cui archeologi, archeobotanici, vulcanologi, sismologi, numismatici, oltre ad architetti, ingegneri e geologi, per trarre il massimo di informazioni e dati dalle operazioni di indagine stratigrafica.

L'obiettivo è migliorare la conservazione, rimodulando il fronte di scavo e acquisire nuovi dati archeologici

Dalla prefazione di Silvia Martina Bertesago, e di Gabriel Zuchtriege del catalogo si legge che : L’altra Pompei è una mostra che invita il pubblico a gettare uno sguardo inconsueto sulla città antica. Ci siamo accorti che in uno dei siti più frequentati al mondo, ma anche meglio conservati dell’antichità, si tende a raccontare una storia parziale, minoritaria, dimenticando sistematicamente e per ragioni diverse (per tradizione degli studi, abitudine, difficoltà a recuperare i dati, eccetera…) le vicende dei più. E non può che essere altrimenti, perché la storia adotta sempre un punto di osservazione e ciò che possiamo ricostruire del passato si scontra con la frammentarietà delle fonti. C’è però anche da registrare una tendenza ben radicata, che parte dagli scrittori antichi e che continua negli studi moderni, che è quella di privilegiare tendenzialmente la posizione dei ceti sociali emergenti, quelli che conosciamo meglio, perché in un certo senso hanno fatto la storia e sono riusciti a tramandare. Anche la visita al sito, risentendo di questo approccio, si fa spesso discontinua: si attraversa la città passando da un’importante domus all’altra, da un edificio pubblico a un altro, superando distrattamente e tralasciando una miriade di spazi indistinti, privi di connotati, che però esistono e completano la trama urbana. E le persone che vi hanno vissuto e operato, ugualmente dimenticate, costituivano il tessuto sociale della Pompei del I secolo d.C., la maggioranza della popolazione. Questa mostra è stata dunque un atto di memoria verso questa maggioranza, uno sforzo di immedesimazione e per certi versi di immaginazione, condotto scavando nella massa indistinta che definiamo genericamente come ceti umili, classi medio basse, per tirare fuori le persone e le loro storie, setacciando e unità abitative alla ricerca di quei luoghi muti che hanno ripreso vita. 

In tutta la nostra visita a Pompei siamo stati accompagnati dal Direttore generale, dai funzionari responsabili e dagli esperti, e noi abbiamo potuto ammirare dal vivo tutte le ultime novità del sito archeologico.

Fonte : Parco archeologico di Pompei, ufficio comunicazione e stampa 

 

 

Per 1700 anni Pompei fu letteralmente cancellata dalla faccia della terra, nessuno sapeva nemmeno più indicare il luogo in cui sorgeva, poi pian piano è riemersa ed è oggi una delle meraviglie dell'archeologia.

La giornata del 24 agosto del 79 dopo Cristo cominciò con una improvvisa eruzione del Vesuvio. Nessuno capì quello che stava succedendo: non si era mai vista una cosa del genere. Un'immensa colonna di fumo che si alzava per chilometri, seguita da un'enorme nube nera che arrivava sulla città coprendola completamente e oscurando il cielo con questa strana pioggia di sassolini leggeri e porosi, ancora caldi.

Lo stupore lasciò ben presto il posto alla paura e poi al panico, quello che successe in quelle 24 ore in cui Pompei fu investita a più riprese dalla furia del vulcano è stato pazientemente ricostruito con un lungo lavoro di scavi e di ricerche.

Oggi, le rovine di Pompei sono di gran lunga una delle maggiori attrazioni turistiche d'Italia e del mondo. Visitare questo sito archeologico va ben oltre la passione verso l'arte e la storia, ma è un qualcosa che va a toccare corde particolari, in grado di attirare gli amanti del mistero, dei riti e dei culti di popolazioni così lontane da noi nel tempo, ma così vicine "fisicamente".

Il fatto che Pompei sia stata distrutta, ma allo stesso tempo preservata, dall'eruzione del Vesuvio, rende ancora più affascinante questo luogo, dove, passeggiando tra i viottoli dell'epoca, sembra di rivivere un'epoca remota, anche grazie alle case, alle botteghe e agli utensili rimasti intatti, dandoci modo di avvicinarci con cognizione di causa allo stile di vita dell'epoca.

Cosi oggi le classi più umili dell’antica città sono al centro della mostra inaugurata nella Palestra Grande del Parco Archeologico cui concorrono circa 300 reperti provenienti da nuovi scavi e dai depositi. Uno sguardo alternativo alla società dell’antica città con un percorso espositivo di circa 300 reperti, molti mai esposti prima, provenienti dai nuovi scavi ..Civita Giuliana e non solo, e dai depositi. Un universo che «parla di un mondo classico che non ha la bellezza e la civiltà che ci è stata trasmessa e che pone delle domande su quella nobile semplicità e quieta grandezza definite dal Winckelmann», secondo il direttore del Parco Gabriel Zuchtriegel, curatore della mostra insieme con Silvia Martina Bertesago. L’itinerario propone in sette sezioni l’esistenza delle classi indigenti, dall’infanzia alla morte, dalla religiosità al cibo e all’abbigliamento.

Il racconto della vita quotidiana di schiavi, prostitute, panettieri o venditori ambulanti, dei ceti meno abbienti che rappresentavano circa l’80% della popolazione, è al centro della mostra «L’altra Pompei. Vite comuni all’ombra del Vesuvio», nella Palestra Grande del Parco Archeologico di Pompei fino al 15 dicembre 2024

Copie dei calchi dei letti e la ricostruzione degli ambienti degli schiavi della Casa del Larario di Pompei e di quello di Civita Giuliana offrono un focus sulle dimensioni reali dello spazio vitale personale, di come a seconda della volontà del proprietario, cambiassero le condizioni dello schiavo. Un Armilla d’oro trovata a Moregine con l’iscrizione «Il padrone alla sua schiava», come quella del piccolo affresco con una donna che lava i piedi a una figura maschile, mostra l’utilizzo sessuale personale delle schiave in casa. Frammenti carbonizzati di stoffa o di suola di sandali accompagnano tracce lasciate sui calchi dai tessuti e sculture dai ricchi panneggi a rimarcare la differenza del «tunicatus populus» che possedeva come unico vestito solo la tunica.

La mostra indaga anche il gioco e l’idea dell’aldilà grazie anche al supporto di apparati multimediali sviluppati da Studio Azzurro. Immersione e identificazione che avvengono anche con l’app My Pompeii che in una specie di sorteggio affida l’identità di un antico abitante pompeiano e un ambiente del Parco a cui la sua attività è connessa.

«La mostra, pensata come percorso di vita, secondo il direttore del Parco Gabriel  Zuchtriegel, che  lo ha dichiarato alla collega Graziella Melania Geraci, per il " il Giornale dell Arte"  offre scorci di umanità. Non si avvale di opere artistiche spettacolari ma il racconto è costruito con materiali poveri, con i calchi delle vittime, con le immagini date dagli affreschi che restituiscono aspetti della vita comune. A volte abbiamo tentato di creare contrasti, come ad esempio tra la rappresentazione del bambino felice, un tema ricorrente dell’arte antica, e un numero elevato di stele funerarie su cui è inciso il nome dei bimbi deceduti o l’anno di vita che hanno raggiunto; questa contrapposizione esprime molto di più di tante parole». Così la tavola imbandita con il pane, elemento primario per il sostentamento dei poveri, nella sezione dedicata all’alimentazione, fa da contraltare agli affreschi dalle rappresentazioni opulente con pasti raffinati.

Fonti varie agenzie / il giornale dell arte

 

Torna a Roma, ai Musei Capitolini, dopo ventitré anni dalla sua unica apparizione nella capitale (Galleria Nazionale d’Arte Antica, 18 marzo – 18 giugno 2000) il Parasole di Francisco Goya, capolavoro giovanile del maestro spagnolo (1777), che sarà esposto dal 12 gennaio al 25 febbraio 2024 nella Pinacoteca Capitolina.

L’arrivo della tela è frutto della politica culturale di scambi di opere d’arte avviata già da tempo dalla Sovrintendenza Capitolina con importanti istituzioni museali italiane e internazionali. Il museo prestatore è il Museo Nazionale del Prado che ha concesso il dipinto di Goya come contro prestito de “L’Anima Beata” di Guido Reni, in occasione della mostra “Guido Reni” (Museo Nazionale del Prado, 28 marzo – 9 luglio 2023).

Il “Parasole” di Goya (cm 104 x 152) sarà ospitato nella Sala Santa Petronilla della Pinacoteca Capitolina e posizionato a fianco alla “Buona Ventura” di Caravaggio (1597), con l’intento di arricchire il percorso di visita e offrire al pubblico nuovi spunti di riflessione sui grandi temi della storia dell’arte.

Il progetto espositivo, dal titolo “Goya e Caravaggio: verità e ribellione”, intende mettere in risalto come i due grandi artisti si fecero magistrali interpreti della società del loro tempo e come l'abbiamo descritta, introducendo nel loro linguaggio figurativo rivoluzionarie novità iconografiche e stilistiche.

Tante le analogie: entrambe le tele appartengono alla loro attività giovanile, in entrambe i protagonisti sono una donna e un uomo, entrambe descrivono con “verità” una scena di vita quotidiana della società contemporanea e, infine, entrambe rivelano quei sintomi di “ribellione” nei confronti dei condizionamenti iconografici e stilistici imposti dalle consuetudini e regole accademiche del loro tempo.

Un confronto ardito tra due opere tanto lontane nello stile e nel tempo – sono distanti circa 180 anni – ma che annunciano ciascuna il passaggio verso una nuova epoca: se Caravaggio può essere considerato il primo pittore moderno, Goya fu invece il primo dei “romantici” e colui che aprì la strada verso l’arte contemporanea.

L’iniziativa “Goya e Caravaggio: verità e ribellione” è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e gli apparati didattici sono a cura di Federica Papi e Chiara Smeraldi. Organizzazione di Zètema Progetto Cultura.

Il Parasole

El Quitasol, titolo spagnolo del dipinto, è uno dei cartoni preparatori realizzati da Goya per il ciclo di arazzi destinati a decorare la sala da pranzo del Palazzo del Prado a Madrid, la residenza di caccia dei principi delle Asturie: il futuro re Carlo IV e sua moglie Maria Luisa di Parma. Il bozzetto fu consegnato da Goya alla Real Fábrica de Santa Bárbara il 12 agosto 1777 ed è così descritto dallo stesso artista nella ricevuta di consegna: “rappresenta una ragazza seduta su una riva, con un cagnolino e con un ragazzo al suo fianco che le fa ombra con un parasole”. 

Alla semplicità del soggetto fa riscontro l’assoluta libertà dell’invenzione, non più temi di caccia o composizioni allegoriche come voleva la tradizione nordica fiamminga, ma scene e figure ispirate al mondo reale e alla società contemporanea spagnola. La giovane donna protetta dall’ombrellino, oggetto di gran moda nel XVIII secolo, è infatti una maja, cioè una donna del popolo, che indossa un elegante e sfarzoso abito di foggia francese come avveniva in Spagna nei giorni di festa. 

La donna si mostra in tutta la sua bellezza al giovane majo vestito con il tipico abbigliamento madrileno e al pubblico a cui sembra rivolgere un civettuolo sguardo. Tutto contribuisce a rendere la scena un gioco di seduzione: i colori sgargianti delle vesti di lei, il cagnolino accucciato sul suo grembo, il sottile gioco di luci e ombre che il parasole crea sul volto della fanciulla. Luci e colori sono senza dubbio i principali protagonisti del dipinto e rivelano la conoscenza di Goya della pittura antica, in particolare di quella rinascimentale veneziana, ma non solo. 

Se l’influenza di Tiepolo e della pittura francese appare evidente nell'aridità del dipinto, l’interpretazione profondamente realistica, il tema della seduzione, la tecnica pittorica con il colore steso direttamente sulla tela con la preparazione lasciata a tratti a vista, così come gli effetti di luce ottenuti con il bianco di piombo e il vivace gioco degli sguardi farebbero quasi pensare che l’occhio del maestro spagnolo si sia appoggiato per un attimo anche sulla Buona Ventura di Caravaggio quando circa sei anni prima (1770-1771) venne in Italia e risiedette a Roma, dove frequentò la Scuola del Nudo in Campidoglio nella cui celebre Galleria la Buona Ventura già vi era conservata.

 Fonte Zetema

A seguito di un periodo di studio e inventariazione dei fondi archivistici, bibliografici e dei volumi e cataloghi storici presenti nella Galleria d’Arte Moderna, dall’11 dicembre 2023, apre al pubblico di studiosi, studenti, cultori e appassionati dell'arte e della cultura della prima metà del Novecento a Roma, l’ARCHIVIO DELLA COLLEZIONE GAM, promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.

L'apertura rientra nel ciclo d'iniziative collegato al Centenario della costituzione della Galleria d'Arte Moderna di Roma (1925-2025), identificato nella formula 100 GAM, da considerare come anticipazione del programma di manifestazioni scientifiche, conservative ed espositive legato al Centenario stesso e che prende avvio proprio dalla riappropriazione del patrimonio archivistico e documentale presente nell’attuale sede del museo di via Francesco Crispi 24.

Strettamente collegato alla collezione della Galleria d’Arte Moderna, l’Archivio vanta una raccolta di oltre 1600 volumi risalenti al periodo che va dagli anni Ottanta dell’Ottocento alla metà del Novecento. Il corpus è costituito prevalentemente da monografie degli artisti appartenenti alla collezione della Galleria e da pubblicazioni relative alle opere della collezione storica, tra i quali i cataloghi delle mostre romane dove, nella prima metà del secolo scorso, vennero effettuate le principali acquisizioni. E poi ancora i cataloghi di mostre allestite alla GAM oltre a una peculiare sezione di volumi storici riguardanti la Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma e le Biennali sia romane che veneziane.

All’interno dell’Archivio è anche presente un FONDO ARTISTI, accessibile per la prima volta al pubblico, al cui interno si potranno consultare centinaia di preziose informazioni biografiche ed espositive dei singoli artisti, oltre a materiale minore costituito da brochures di mostre e articoli di giornale. In questo Fondo è contenuto anche l’ARCHIVIO MIMÌ QUILICI-BUZZACCHI, a sua volta composto da fascicoli, divisi per anni di esposizione (1937,1939 e dal 1946 al 1987), brochures, articoli di giornale e riviste relative alle mostre a cui ha partecipato direttamente l’artista. Si tratta del primo nucleo del costituendo ARCHIVIO DONNA E ARTISTA che comprenderà tutte le artiste presenti nella collezione GAM oltre a quelle già presenti nel predetto “Fondo Artisti”.

Nel prossimo futuro si potrà consultare anche un ARCHIVIO ACQUISTI, attualmente in corso di inventariazione, composto da oltre 250 Delibere originali o in copia storica prodotte dal Governatorato di Roma e dalla Giunta Capitolina, dal 1921 al 2002, ai fini delle acquisizioni delle opere della collezione GAM. Le Delibere riportano l'occasione dell'acquisto, i dati relativi all'artista, l'opera, la tipologia e la definizione economica d’acquisizione. Informazioni preziose per capire la storia dell’opera d’arte nella collezione GAM ma anche il rapporto selettivo dei gusti e delle scelte estetiche dell’Amministrazione pubblica nei diversi contesti storici attraversati.

Nel suo insieme, l’ARCHIVIO DELLA COLLEZIONE GAM si presenterà come un vero e proprio hub scientifico e culturale, un aggregatore in cui tutte quelle realtà interessate a raccontare l’arte a Roma in un’ottica nazionale potranno contribuire ad ampliare, e pertanto preservare, il corpus di documenti, volumi e informazioni presenti al suo interno. Le future collaborazioni con Università, Accademie e altri Enti di studio, locali e nazionali, consentiranno di riunire, conservare, valorizzare e tutelare libri, documenti grafici e archivi relativi all'arte di parte dell’Ottocento e la prima metà del Novecento romano.

 

Fonte Zetema 

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