Rossometile e mOs Trio, il Sud che si fa Musica

Che molti musicisti del/dal Sud rappresentino una realtà a dir poco effervescente lo si deduce anche dai nuovi dischi in circolazione. 
"Desdemona", dei campani Rossometile, al secolo Ilaria Hela Bernardini (voce), Rosario Ruis Reina (chitarra), Pasquale Pat Murino (basso) e Gennaro Rino Barletta (batteria) sarebbe un album catalogabile, in senso lato, nel genere metal, se non fosse per alcuni ricami che la band dei quattro ordisce rinviando, che so, ai Goblin e, comunque, a un certo rock vintage che guarda al passato, sia barocco che medioevo.
La cura dei testi e le ricorrenti concessioni all'ambient (in "Whales of The Baltic Sea Orchestra" che vede la presenza di Emilio Antonio Cozza in " Canzone del tramonto" alla ghironda, cornamusa e tin whistle)) la cui cadenza infrange fra le alghe (possiamo chiamarlo algo/ritmo?) la tensione del brano che da titolo al cd, offre un prodotto "rosso violaceo" talora etnicamente contaminato (vedansi "Sole che cammini" col bouzouki di Danilo Lupi). Nell'"economia" del lavoro risaltano la traccia orchestrale di Umberto D'Auria mentre la cover alla "Maleficent" suona come indiretto omaggio al mitico personaggio femminile dell'Otello di Shakespeare. Medesima scia tragica in "Oblivion" - niente a che vedere con l'omonimo brano di Piazzolla - tanto per citare un'altra composizione dark. Ma i brani sono undici in tutto e ognuno riserva al proprio interno una sorpresa che affidiamo all'ascolto.

Giunge dalla Calabria, ad opera del mOs Trio, il cd jazz "Metamorfosi", edito da Emme Records.
Un progetto giovane, quello del piccolo grande gruppo che vede affiancati il pianista cosentino Giuseppe Santelli, il bassista Renzo Genovese ed il batterista Simone Ritacca.
Su un totale di otto, son sette i brani dello stesso Santelli che si cimenta in diversi contesti - ballad in "La strada del ritorno" e "My Thoughts", latin sostenuto in "Nostalgia" e blando in "Smile" (nessuna parentela con l'hit di Cole), waltz in "Flowing", modaleggiante in "Metamorfosi", ispaneggiante in "A Toledo"... Di nota in nota avviene la trasformazione del trio quasi una metamorfosi ridente e lirica, per niente kafkiana, scritta con matite colorate, a seconda del suono da disegnare, di volta in volta, non senza rimandi pianistici a maestri come Michel Petrucciani o Michel Camilo. Oltre che naturalmente a Dave Brubeck per il gran finale in 5/4 di "Take Five", occasione liberatoria per l'improvvisazione del basso e per i "fuochi d"artificio" della batteria.

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